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FuoriAsse #20

Officina della cultura

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Di questa unità corporea e fenomenica,<br />

potremmo dire di intenzionalità fenomenologica<br />

come di tentativi di auto-chiarimento,<br />

ci sono tracce abbondanti nella<br />

raccolte di Rebora che, nella loro totalità<br />

– da Misure (Guanda, 1940), Dieci anni<br />

(Edizioni del Piccolo Teatro, 1950) a Il<br />

verbo essere (Scheiwiller, 1963), a Non<br />

altro (Scheiwiller, 1977), a Per il momento<br />

(Scheiwiller, 1983), a Parole cose<br />

(Scheiwiller, 1987), a Non ancora (Scheiwiller,<br />

1989) e a Fra poco (Scheiwiller,<br />

1991) –, di poco superano in otto piccoli<br />

libri le duecento poesie. Già dai titoli del -<br />

le raccolte l’atmosfera da Scuola di Milano<br />

aleggia, e sempre la titolazione rimarca<br />

o aspetti temporali o parole cose,<br />

o misure. Parole cose, non oggetti, perché<br />

le cose si danno nell’unità pensante,<br />

percettiva, memorativa, immaginativa,<br />

culturale, della loro estensione, sia visiva,<br />

data alla corporeità senziente, sia<br />

nella figuralità del linguaggio e nei mondi<br />

intersoggettivamente culturali, nonché<br />

alle forze dell’inconscio.<br />

Esemplare di tutto ciò è Testamento, la<br />

prima poesia di Fra poco del 1991:<br />

«Lascio l’albero nel campo / costantemente<br />

verde / tentato dalla luce / allarmato<br />

dai tuoni / attorcigliato alle radici<br />

/ segnato dal furore e dalla gioia / forse<br />

è un fantasma / che porterò con me /<br />

lungo una strada improvvisa / accompagnato<br />

/ da ciò che non si perde //<br />

pochi nomi / nel silenzio colmo di sé /<br />

parole staccate dallo spazio /da raccogliere<br />

nell’erba /e passi che si allontanano<br />

// l’albero verde / lasciato dove<br />

/correrà la vita / per finire viva».<br />

Esperienza, giudizio, sguardo, descrizione,<br />

discorso, «le parole staccate dallo<br />

©Analua Zoé<br />

spazio», sono modulati in vario modo e<br />

si giovano di una retorica di riverbero e<br />

del riverbero, di una rete di richiami a<br />

più tradizioni, ad una coralità poetica, a<br />

cripto-citazioni (ad esempio, con allusioni<br />

al Palazzeschi di Anche la morte<br />

ama la vita: «Non fare che la morte ti<br />

trovi già cadavere» 5 ).<br />

Pieno di dignità e ironicamente «sordo»<br />

6 , alle lusinghe della mondanità,<br />

tetragono testimone del Novecento, i<br />

suoi versi ricordano il Qui sto, e tu?<br />

5 Cfr. Anche la morte ama la vita, in Aldo Palazzeschi, Via delle cento stelle, Milano, Mondadori, 1972, p. 109.<br />

6 Piero Lotito, Roberto Rebora, una delle voci più sincere del Nostro Novecento, vive il tramonto della vita<br />

nell’assoluta indigenza. Se il poeta ha 81 anni e 75 scalini per arrivare in casa, «Il Giorno», 25 aprile 1991. «Il<br />

cronista è venuto a trovarlo nella sua modesta abitazione, in via Cappuccio 3. Una via di quelle ricche, a<br />

Milano, ma l’arrivo in questa casa, tanti anni fa, fu per il poeta un caso fortunato, forse il solo. È venuto ad<br />

aprire aiutandosi col bastone. Sulla porta, quasi un’epigrafe: “Suonare replicatamente. A volte sono sordo”».<br />

FUOR ASSE<br />

54<br />

Il rovescio e il diritto

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