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FuoriAsse #20

Officina della cultura

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l’Ottocento, o del primo Novecento,<br />

inframmezzate da canzoni; che quando<br />

canta alza nell’aria le sue lunghe braccia<br />

snodate e le mani fini e soavi, assomigliando<br />

a una bella ragazza, o a un<br />

cigno, o a un fiore dall’altissimo stelo;<br />

che suscita ilarità con la grazia, in un<br />

tempo in cui la comicità sembra poter<br />

nascere soltanto su note stridenti e<br />

odiose, da volti e gesti scomposti e ripugnanti.<br />

Lui è comico restando se stesso,<br />

conservando i suoi tratti lindi e gentili.<br />

Non c’è tuttavia nulla di lezioso e vezzoso<br />

nella sua grazia: non c’è in lui nessuna<br />

civetteria, e nessuna timidezza, nei<br />

confronti della realtà. La sua grazia<br />

sembra rispondere a un’armonia intima,<br />

sembra sprigionarsi da un’intima e<br />

lucidissima intelligenza. [...] M’è accaduto<br />

di assistere a suoi spettacoli non<br />

del tutto riusciti; non che fossero mai<br />

sciocchi o freddi, ma avevano qualcosa<br />

di slegato e frammentario; mi dispiaceva<br />

per lui, non per me, perché io mi divertivo<br />

ugualmente, quasi senza ombra di<br />

delusione; un momento di suprema bellezza<br />

c’era sempre. [...] Inoltre la sua fortuna<br />

tra la gente è una fortuna di qualità<br />

particolare, è qualcosa che sembra<br />

rifiorire ogni sera dal nulla e come per<br />

caso, senza alcun legame né con lo snobismo,<br />

né con la pubblicità, né con la<br />

moda. Benché egli abbia tra la gente<br />

grande fortuna, benché il suo teatro sia<br />

ogni sera pieno, pure non mi sembra<br />

che lui sia diventato di moda: e spero<br />

che una cosa tossica, aberrante e pericolosa<br />

come la moda non riesca a giocare<br />

con la sua persona. E del resto forse<br />

ogni essere ha la fortuna che il suo spirito<br />

chiede: e quando uno viene deturpato<br />

e involgarito dal successo, è perché<br />

i germi della volgarità erano in lui preesistenti,<br />

e si potevano scorgere nel suo<br />

Paolo Poli<br />

spirito anche quando era solo e oscuro.<br />

A pensarci bene, il segreto del fascino di<br />

Paolo Poli è proprio nella maniera<br />

nobile, civile e intelligente con cui tocca,<br />

esamina ed esprime la volgarità rimanendone<br />

pienamente immune. Poiché<br />

non c’è ombra di volgarità in lui, le volgarità<br />

e i luoghi comuni che estrae dal<br />

passato egli li illumina con un totale<br />

distacco, non in una caricatura deformante<br />

e grottesca ma in un disegno<br />

penetrante e limpido. [...] E solo lui può<br />

cantare «Giovinezza» in un teatro senza<br />

che riappaia né l’immagine di Mussolini,<br />

né l’ironia ormai vecchia e involgarita<br />

che si è usata su questa immagine» 1 .<br />

Non è casuale iniziare a parlare di<br />

Paolo Poli partendo da un testo di Natalia<br />

Ginzburg, un testo letterario, perché<br />

la letteratura ha, da sempre, rappresentato<br />

per lui il punto di partenza del suo<br />

far teatro. Non si parla di testi scritti per<br />

il teatro, si parla di letteratura tout court<br />

che Poli, con sapienza, ha saputo ritagliare<br />

e ricucire teatralmente. Con la<br />

Ginzburg («e lui di persona lo conosco<br />

appena» 2 ) poi si frequentò da quando,<br />

dopo l’incendio del Teatro delle Muse, lei<br />

si presentò la sera di un ultimo del-<br />

1 Natalia Ginzburg, Mai devi domandarmi, Milano, Garzanti, 1972, pp. 127-132.<br />

2 Ivi, pp. 129-130.<br />

FUOR ASSE<br />

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Redazione Diffusa

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