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Palazzo de'Rossi. Una storia pistoiese

a cura di Roberto Cadonici fotografie di Aurelio Amendola

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clamazione, nel 1797, della Repubblica Cispadana. Ivi, sulla<br />

volta della terza sala, il pittore-decoratore Serafino Barozzi<br />

dipinse uno splendido velario, attualizzandone il motivo decorativo:<br />

cfr. F. Lui, <strong>Palazzo</strong> Pubblico in Piazza Maggiore a Bologna,<br />

in A. M. Matteucci, I decoratori di formazione bolognese,<br />

cit., pp. 394-397: 394, ill. 212. Tale tipologia ornamentale<br />

era divenuta di moda nella Parigi del Direttorio e si riferiva<br />

alle ideologie giacobine. Per Pistoia, il pittore <strong>pistoiese</strong><br />

Giuseppe Valiani (1731-1800), di formazione bolognese, zio<br />

di Bartolomeo Valiani e attivo anche nello stesso <strong>Palazzo</strong><br />

Pubblico di Bologna (cfr. F. Lui, <strong>Palazzo</strong> Pubblico, cit., p.<br />

396), forse poté essere tramite, in patria, di questo particolare<br />

significato del motivo decorativo: con allusione ad<br />

ideologie anti-aristocratiche, anti-clericali e talvolta anche<br />

massoniche. Non a caso lo stesso Niccolò Puccini avrebbe<br />

fatto dipingere una stanza, destinata alle segrete riunioni<br />

dei suoi sodali, di tipo progressista e massonico, nella sua<br />

villa di Scornio, col motivo della “Tenda cispadana”: fu Luigi<br />

Sabatelli con il figlio Luigi che vi realizzò la suggestiva Stanza<br />

della Tenda Romana nel più tardo 1840: cfr. L. Dominici,<br />

Gli affreschi del Villone di Scornio, cit., pp. 51-52, ill. tav. XIV.<br />

È significativo, comunque, che le nuove decorazioni “alla<br />

pompeiana” siano entrate a Pistoia molto più tardi che a Firenze<br />

e Bologna, dov’erano attestate già dagli anni Settanta<br />

del secolo XVIII, come innovazioni (non ‘neutre’) contro<br />

l’armamentario figurativo e concettuale dell’ancien régime.<br />

Per la Villa di Poggio Imperiale, la cui decorazione d’interni<br />

fu mutata per decisione del granduca riformatore Pietro<br />

Leopoldo, cfr. O. Panichi, Il rinnovamento dell’architettura e<br />

della decorazione di interni a Firenze nell’età leopoldina, in Florence<br />

et la France. Rapports sous la Révolution et l’Empire, Atti del<br />

Convegno (Firenze, 2-4 giugno 1977), Firenze-Paris, Centro<br />

Di-Ediart Quatre-Chemins, 1979, pp. 15-37.<br />

246. La vita militare condotta in gioventù come cavaliere<br />

di Santo Stefano aveva fatto divenire Francesco un buon<br />

cavallerizzo e un appassionato di cavalli, fino a ‘collezionarli’:<br />

cfr. <strong>Palazzo</strong> dei Rossi, p. 96 nota 261; BCF, Rossi, 26, c.<br />

52v (=165v), con osservazioni critiche (del 1794) da parte del<br />

canonico Tommaso su questa dispendiosa passione. È possibile,<br />

comunque, che le immagini dei cavallini scalpitanti<br />

e ‘senza freno’ facciano parte dell’adeguamento figurativo<br />

della sala “a grottesche”, come allegoria (ben nota dal Medioevo)<br />

dell’Indisciplina, da sottoporre ai rigori delle leggi e<br />

della Giustizia.<br />

247. L’ideazione di Luigi Catani delle “grottesche” dipinte<br />

sui peducci della volta e sulle porte della Camera della Badessa<br />

nel Conservatorio di San Clemente a Prato, nel 1786,<br />

si rivela di grande raffinatezza anche nelle ‘citazioni’ antiquarie:<br />

cfr. C. Morandi, Luigi Catani, cit., pp. 20-23: ill. n.<br />

4 p. 23 per il particolare segnalato, cui pare ispirarsi la più<br />

tarda decorazione nella volta della “galleria nuova” in palazzo<br />

de’ Rossi. Le nugae ornamentali di tale ambiente pratese,<br />

con deliziose figurine da ‘collezionista’ ancora memori delle<br />

pitture raffaellesche d’ornamento nelle Logge Vaticane, sarebbero<br />

state ulteriormente elaborate da Luigi Catani poco<br />

più tardi, con l’inclusione di finti medaglioni e gemme antiche,<br />

come attesta la porta dipinta nella Sala dell’Aurora del<br />

Conservatorio di San Niccolò (1787) e l’analoga nello Studio<br />

del Vescovo nel <strong>Palazzo</strong> vescovile, sempre a Prato (1786-<br />

1789): ibidem, pp. 22-28. La qualità artistica di queste prove<br />

valse a Luigi Catani, com’è noto, commissioni importanti<br />

anche a Pistoia: l’incarico di dipingere un Parnaso in una delle<br />

sale dell’Accademia degli Armonici nel 1788 (ibidem, p. 28)<br />

e l’ulteriore commissione da parte del vescovo Scipione de’<br />

Ricci di decorare il suo nuovo palazzo episcopale a Pistoia.<br />

Occorre comunque riflettere, come già osservato, sulla<br />

qualità consapevolmente non ‘neutra’, dal punto di vista illustrativo<br />

e ideologico, del riarredo pittorico a “grottesche”<br />

(di riferimento paganeggiante) di ambienti che erano stati<br />

monastici o comunque sede di comunità di vita regolare,<br />

quali San Clemente e San Niccolò a Prato. Si trattava, a mio<br />

avviso, di un recupero intenzionale della valenza ‘civile’ del<br />

mondo classico pagano, da contrapporre alle chiusure oscurantiste<br />

che si presupponevano proprie della vita conventuale<br />

e monastica, specialmente femminile.<br />

248. All’argomento è dedicata un’ampia letteratura storiografia<br />

e artistica. In questa occasione, si preferisce fare riferimento<br />

solo alle chiare pagine di A.M. Matteucci, Figuristi,<br />

quadraturisti, ornatisti, cit., pp. 27-30, dove è delineato, per<br />

l’ambiente bolognese, quanto accadde anche altrove e in<br />

Toscana, col subentrare del gusto archeologizzante di origine<br />

romana – prevalentemente dovuto alla ri-frequentazione<br />

della Domus Aurea ed ai nuovi scavi compiuti sotto il pontificato<br />

di Pio VI Braschi – alla decorazione detta “alla raffaella”.<br />

249. Ne è esempio la decorazione “a grottesche” realizzata,<br />

dopo il 1858, da Pietro Pezzati ed Eustachio Turchini sulla<br />

volta della sala destinata allora come Galleria Comunale nel<br />

<strong>Palazzo</strong> Pubblico a Prato (oggi sala del sindaco): cfr. F. Nenci,<br />

Gaetano Guasti: un erudito dimenticato, in “Prato <strong>storia</strong> e<br />

arte”, 110, dicembre 2011, pp. 93-107: 95-97, ill. n. 4 p. 97. Si<br />

veda anche, in proposito, la nota 251.<br />

250. Devo questa notizia a Claudia Becarelli, che ringrazio.<br />

Ferdinando Marini, figlio di Luigi, risulta morto l’8 novembre<br />

1863: cfr. ASP, Catasto, n. 71, 1864, Arroti di volture, n.<br />

72, Voltura di varie frazioni di proprietà a favore di Giosuè,<br />

Torello e Daniele di Luigi Marini, eredi del defunto Ferdinando<br />

loro fratello. Non è stata per il momento rintracciata<br />

la data di nascita di Ferdinando.<br />

251. Cenni all’attività e alla biografia del pittore-decoratore,<br />

non ancora studiato per quanto noto all’epoca, sono in C.<br />

Becarelli, L. Di Zanni, Il palazzo e la famiglia Rossi Cassigoli,<br />

cit., pp. 69-70 nota 140. Era figlio di un ciabattino di Porta<br />

al Borgo di Pistoia; le notizie sulla sua attività comprendo-<br />

no il periodo 1818-1859. Giuseppe Tigri, Pistoia e il suo territorio,<br />

cit., pp. 328-329, segnalava l’attività di Ferdinando Marini<br />

come pittore-decoratore, ma anche ideatore di forme<br />

architettoniche ispirate al revival gotico del romanticismo:<br />

come nella villa Fabroni, allora Caselli, a Celle. Ristrutturata<br />

per volere di Carlo Fabroni su disegno dell’architetto<br />

Manetti, e di nuovo riconfigurata dall’ultimo proprietario,<br />

la villa fu allora decorata all’interno anche con “grottesche”<br />

di Ferdinando Marini. L’artista contribuì alla trasformazione<br />

dell’annesso parco in giardino romantico, che era stato<br />

arricchito con “fabbriche d’ornamento”; fra queste Marini<br />

aveva disegnato e ornato con pitture la Fonte gotica. Sui dipinti<br />

di Ferdinando Marini a Celle cfr. anche F. Ceccanti,<br />

“La casa ove nel 10 giugno 1799...”, cit., p. 79 nota 67. Peraltro,<br />

lo stesso artista risulta impegnato con Bartolomeo Valiani<br />

nella decorazione all’interno del Castello Gotico nel parco<br />

di Scornio, fra 1826 e 1830: cfr. G. Bonacchi Gazzarrini, Fabbriche<br />

pittoresche, feste e simulacri nel parco romantico di Scornio,<br />

in Le dimore di Pistoia, cit., pp. 91-101: 92 fig. 3, pp. 98-99.<br />

Ferdinando Marini pare essere stato attivo anche a Monsummano,<br />

alla decorazione degli interni di casa Giusti. Cfr.<br />

C. Sisi, Casa Giusti: decorazioni di un interno borghese, in Casa<br />

Giusti. Decorazioni, documenti, restauri, a cura di A. Calvani<br />

e F. Gurrieri, Monsummano Terme, 1984, pp. 11-26 : 21; I.<br />

Ciseri, Il Museo Nazionale di Casa Giusti: curiosità da tempi lontani,<br />

in Piccolo viaggio al centro della Toscana, cit., pp. 107-117 :<br />

117; nell’appartamento al secondo piano, un tempo abitato<br />

dallo zio di Giuseppe Giusti, Giovacchino, morto nel 1843,<br />

“un ciclo più uniforme di pitture mostra [...] il riflesso di<br />

una tradizione in voga nella prima metà del secolo, fatta di<br />

decorazioni a grottesca, medaglioni con figurine mitologiche<br />

o delicate scene di paesaggio [...]”.<br />

Ad alcune altre notizie note su Ferdinando Martini si aggiungono<br />

altre inedite: ma non ritengo sia opportuno in<br />

questa occasione fornire un dossier completo sull’artista.<br />

252. <strong>Palazzo</strong> dei Rossi, pp. 90, 99 nota 266.<br />

253. Sulle pareti della prima stanza, corrispondente all’originario<br />

ingresso al “quartiere” ovest al primo piano, erano<br />

dipinti quadri con paesaggi à trompe-l’oeil (di cui è stato<br />

trattato in precedenza); al sommo delle porte interne, da<br />

cui il canonico Giulio aveva fatto togliere i tardo-barocchi<br />

ornamenti in stucco a rilievo nel 1799, erano dipinte finte<br />

trabeazioni con cornici piane di tipo classico, anch’esse<br />

recuperate nell’ultimo restauro: cfr. comunque anche le<br />

considerazioni in relazione alla nota 177. La riemersione da<br />

sotto l’intonaco di tale stratificazione pittorica ha portato<br />

attualmente alla disarmonica coesistenza di due diversi<br />

modi, non coevi, di concepire l’arredo decorativo interno,<br />

come è stato già osservato. Della fase 1828 sussistono tuttora<br />

sul soffitto il riquadro dipinto da Nicola Monti con il Pier<br />

Capponi, la ricca incorniciatura complementare dipinta da<br />

Ferdinando Marini e anche, di quest’ultimo, il lambrì o zoccolo<br />

decorativo in basso sulle pareti. A causa della scelta restaurativa<br />

sopra indicata, non è possibile conoscere il modo<br />

in cui erano state dipinte nel 1828 le pareti della stanza.<br />

Migliore risulta invece la situazione nell’ambiente attiguo,<br />

accanto alla “galleria nuova”. Ivi ricche decorazioni d’incorniciatura,<br />

opera anche qui di Ferdinando Marini, intorno<br />

al “quadro” dipinto da Nicola Monti con il Gian Galeazzo<br />

Sforza morente, risultano ora completate, nell’effetto finale<br />

progettato fin dal principio, col recupero del finto panno<br />

a righe verticali gialle e rosso-arancio (i colori araldici del<br />

blasone dei Rossi)che ricopriva illusivamente le pareti, con<br />

l’originaria balza in basso. Un discorso a parte, più analitico,<br />

meriterebbe l’ornato ideato da Ferdinando Marini intorno<br />

ai due “quadri” di Monti nelle due stanze, in cui il primo<br />

fece sfoggio, anche eccessivo, di bravura tecnica, dimensionando<br />

i suoi decori in una scala troppo grande rispetto alla<br />

scena principale, dando motivo anche per questo – come<br />

credo – al rammarico di Monti: cfr. la nota 267. Tali scelte<br />

ovviamente non potevano che essere autorizzate dal committente,<br />

Girolamo de’ Rossi, più propenso forse a sottolineature<br />

contenutistiche e formali più appariscenti. Il risultato<br />

finale della decorazione complessiva delle due stanze<br />

nel 1828 segna l’affermarsi, a mio avviso, di Girolamo sulle<br />

diverse vedute artistiche del padre. È l’anno in cui si era<br />

consumata la definitiva separazione fra i due, anche con la<br />

commissione della nuova residenza di Girolamo e della sua<br />

famiglia, la palazzina progettata dall’architetto Alessandro<br />

Gherardesca, da costruire accanto al tardo-settecentesco<br />

palazzo avìto.<br />

254. Alessandro Manzoni (1785-1873) era uno dei letterati<br />

cui Niccolò Puccini e la sua cerchia prestavano attenzione<br />

per le tematiche che trattava. Il suo storicismo di tipo<br />

romantico era espresso in varie opere: fra il 1820 e il 1822<br />

componeva l’Adelchi, cui si aggiungeva il Discorso sopra alcuni<br />

punti della <strong>storia</strong> longobardica in Italia, del 1822; sono coevi gli<br />

inni del Cinque Maggio e del Marzo 1821, insieme con i cori<br />

dell’Adelchi, in cui si esprime la profonda riflessione manzoniana<br />

sulla <strong>storia</strong> e sul destino dei popoli e dei grandi personaggi<br />

del passato e del presente.<br />

255. In quegli anni gli intellettuali ‘patriottici’ a Pistoia, riuniti<br />

periodicamente nelle Accademie, volgevano i loro interessi<br />

dall’antichità greco-romana (come metafora dei valori<br />

eterni che dovevano formare ogni ‘cittadino’) ai più concreti<br />

esempi della <strong>storia</strong> italiana medioevale e rinascimentale,<br />

fra i quali larga parte avevano le tematiche anti-tiranniche,<br />

anche nelle coeve commissioni e nelle opere pittoriche dei<br />

principali esponenti della cultura artistica accademica.<br />

256. I due dipinti furono eseguiti da Nicola Monti nell’estate<br />

del 1828. Da una lettera del pittore a Niccolò Puccini del<br />

10 (o 11) febbraio di quell’anno risulta che il primo aveva<br />

già in programma di recarsi nel successivo mese di giugno a<br />

dipingere “a Casa Rossi”: nel chiedere un prestito all’illustre<br />

and reception rooms of the Cardinal Legate, made the seat<br />

of the Executive Directorate after the proclamation of the<br />

Cispadane Republic in 1797. Here the painter-decorator Serafino<br />

Barozzi painted a splendid velarium on the ceiling of<br />

the third room, bringing its decorative motif up to date: see<br />

F. Lui, “<strong>Palazzo</strong> Pubblico in Piazza Maggiore a Bologna,” in<br />

Matteucci, I decoratori di formazione bolognese, 394-97: 394, ill.<br />

212. This type of ornamentation had become fashionable in<br />

the Paris of the Directoire and drew on Jacobin ideologies.<br />

The Pistoian painter Giuseppe Valiani (1731-1800), trained<br />

in Bologna, the uncle of Bartolomeo Valiani and also active<br />

in Bologna’s <strong>Palazzo</strong> Pubblico (see Lui, “<strong>Palazzo</strong> Pubblico,”<br />

396), may have been the one who brought this particular significance<br />

of the decorative motif to Pistoia: with its allusion<br />

to anti-aristocratic, anticlerical and sometimes even Masonic<br />

ideologies. It is no coincidence that Niccolò Puccini had<br />

a room in his Villa di Scornio, used for secret meetings of his<br />

society, of a progressive and Masonic character, painted with<br />

the motif of the Tenda cispadana, or “Cispadane Tent”: it was<br />

Luigi Sabatelli and his son, also called Luigi, who created the<br />

evocative Room of the Roman Tent there later, in 1840: see<br />

L. Dominici, “Gli affreschi del Villone di Scornio,” 51-52, pl.<br />

XIV. It is significant, however, that the new decorations “in<br />

the Pompeiian manner” appeared in Pistoia much later than<br />

in Florence and Bologna, where they had already been introduced<br />

in the 1770s, as innovations (and not “neutral” ones)<br />

in contrast to the figurative and conceptual arsenal of the<br />

ancien régime. For the Villa di Poggio Imperiale, whose interior<br />

decoration was altered at the behest of the reformist<br />

grand duke Peter Leopold, see O. Panichi, “Il rinnovamento<br />

dell’architettura e della decorazione di interni a Firenze<br />

nell’età leopoldina,” in Florence et la France. Rapports sous la<br />

Révolution et l’Empire, proceedings of the convention held in<br />

Florence, June 2-4, 1977 (Florence-Paris: Center Di-Ediart<br />

Quatre-Chemins, 1979), 15-37.<br />

246. The time he spent in the military in his youth as a<br />

knight of Saint Stephen had turned Francesco into an excellent<br />

rider and lover of horses, to the point where he became<br />

a “collector” of them: see “<strong>Palazzo</strong> dei Rossi,” 96 note<br />

261; BCF, Rossi, 26, f. 52 v (=165 v ), with critical remarks (from<br />

1794) by Canon Tommaso on the subject of this expensive<br />

enthusiasm.<br />

247. Luigi Catani’s conception of the “grotesques” painted<br />

on the corbels of the vault and the doors of the Stanza della<br />

Badessa in the Conservatorio di San Clemente at Prato in<br />

1786 was of great refinement even in its antiquarian “citations”:<br />

see Morandi, “Luigi Catani,” 20-23: 23, ill. no. 4, for<br />

the detail in question, from which the later decoration on<br />

the vault of the “new gallery” in <strong>Palazzo</strong> de’ Rossi seems<br />

to have taken its inspiration. The ornamental nugae of the<br />

room in Prato, with their delightful “collector’s” figurines<br />

still reminiscent of Raphael’s ornamental paintings in the<br />

Vatican Logge, would be further elaborated by Luigi Catani<br />

slightly later, with the inclusion of mock medallions and antique<br />

gems, as on the painted door of the Sala dell’Aurora<br />

in the Conservatorio di San Niccolò (1787) and the similar<br />

one in the Studio del Vescovo of the Bishop’s Palace,<br />

again in Prato (1786-89): ibidem, 22-28. The artistic quality<br />

of these works earned Luigi Catani, as is known, important<br />

commissions in Pistoia too: the painting of a Parnassus in<br />

one of the rooms of the Accademia degli Armonici in 1788<br />

(ibidem, 28) and another commission from Bishop Scipione<br />

de’ Ricci to decorate his new palace in Pistoia. In any case<br />

it is necessary to reflect, as has already been pointed out,<br />

on the deliberately non “neutral,” from the illustrative and<br />

ideological viewpoint, quality of the redecoration with<br />

“grotesques” (referring to paganism) of rooms that had once<br />

been monastic or at any rate used by communities that followed<br />

monastic rules, such as San Clemente and San Niccolò<br />

in Prato. It was, in my opinion, an intentional harking<br />

back to the “civil” values of the classical pagan world, to<br />

be contrasted with the obscurantist isolation that was presumed<br />

to be typical of life in monasteries and especially in<br />

nunneries.<br />

248. There is an extensive historical and artistic literature<br />

on the subject. Here we prefer to refer the reader solely to<br />

A.M. Matteucci’s clear outline in “Figuristi, quadraturisti,<br />

ornatisti,” 27-30, of what happened in Bolognese circles, as<br />

well as in Tuscany and elsewhere, under the influence of the<br />

archeological taste of Roman origin—largely due to a revival<br />

of interest in the Domus Aurea and the new excavations<br />

carried out under the pontificate of Pius VI Braschi—to<br />

the style of decoration known as “Raphaelesque.”<br />

249. An example is the decoration “with grotesques” painted,<br />

after 1858, by Pietro Pezzati and Eustachio Turchini on<br />

the ceiling of the room used at the time as the Municipal<br />

Gallery in the <strong>Palazzo</strong> Pubblico in Prato (now the mayor’s<br />

room): see F. Nenci, “Gaetano Guasti: un erudito dimenticato,”<br />

Prato <strong>storia</strong> e arte, 110 (December 2011), 93-107: 95-97,<br />

97, ill. no. 4. See too, in this connection, note 251.<br />

250. I owe this information to Claudia Becarelli, whom I<br />

thank. Ferdinando Marini, son of Luigi, died on November<br />

8, 1863: see ASP, Catasto, no. 71, 1864, Arroti di volture, no.<br />

72, Registration of a transfer deed for various fractions of<br />

property in favor of Giosuè, Torello and Daniele di Luigi<br />

Marini, heirs of their deceased brother Ferdinando. For the<br />

moment the date of Ferdinando’s birth has not been traced.<br />

251. References to the activity and biography of the painter-decorator,<br />

not yet studied despite being well-known at<br />

the time, can be found in Becarelli and Di Zanni, “Il palazzo<br />

e la famiglia Rossi Cassigoli,” 69-70 note 140. He was<br />

the son of a cobbler living at Porta al Borgo in Pistoia; the<br />

information on his activity covers the period from 1818<br />

to 1859. Giuseppe Tigri, in Pistoia e il suo territorio, 328-29,<br />

speaks of Ferdinando Marini’s activity as a painter-decorator,<br />

but also as an inventor of architectural forms inspired<br />

by the Gothic revival of early Romanticism: as in Villa<br />

Fabroni, then Caselli, at Celle. Renovated at the behest<br />

of Carlo Fabroni to a design by the architect Manetti, and<br />

refurbished again by its latest owner, the interior of the<br />

villa was decorated with “grotesques” at the time by Ferdinando<br />

Marini. The artist contributed to the transformation<br />

of the grounds into a garden in the Romantic style,<br />

which had been embellished with “ornamental structures”;<br />

among these Marini had designed a Gothic Fountain and<br />

adorned it with paintings. On Ferdinando Marini’s paintings<br />

at Celle see too F. Ceccanti, “‘La casa ove nel 10 giugno<br />

1799...,’” 79 note 67. Moreover, the same artist worked with<br />

Bartolomeo Valiani on the decoration of the interior of the<br />

Gothic Castle in the park of the Villa di Scornio between<br />

1826 and 1830: see G. Bonacchi Gazzarrini, “Fabbriche pittoresche,<br />

feste e simulacri nel parco romantico di Scornio,”<br />

in Le dimore di Pistoia, 91-101: 92 fig. 3, 98-99. Ferdinando<br />

Marini seems also to have been active at Monsummano, on<br />

the decoration of the interiors of Casa Giusti. See C. Sisi,<br />

“Casa Giusti: decorazioni di un interno borghese,” in Casa<br />

Giusti. Decorazioni, documenti, restauri, ed A. Calvani and F.<br />

Gurrieri (Monsummano Terme, 1984), 11-26: 21; I. Ciseri,<br />

“Il Museo Nazionale di Casa Giusti: curiosità da tempi<br />

lontani,” in Piccolo viaggio al centro della Toscana, 107-17:<br />

117; in the apartment on the third floor, once occupied by<br />

Giuseppe Giusti’s uncle Giovacchino, who died in 1843, “a<br />

more uniform cycle of paintings reflects [...] the tradition in<br />

vogue in the first half of the century, consisting of grotesque<br />

decorations, medallions with small mythological figures or<br />

delicate landscapes [...]”.<br />

There is additional information on Ferdinando Marini,<br />

some of it unpublished, but I do not think this is the place<br />

to present a complete dossier on the artist.<br />

252. “<strong>Palazzo</strong> dei Rossi,” 90, 99 note 266.<br />

253. On the walls of the first room, corresponding to the<br />

original entrance to the western “quarters” on the second<br />

floor, were painted pictures of trompe-l’oeil landscapes<br />

(which have already been described); at the top of the inner<br />

doors, from which Canon Giulio had had the late-baroque<br />

stucco ornaments in relief removed in 1799, were painted<br />

mock entablatures with flat moldings of the classical type,<br />

also brought back to light in the most recent restoration:<br />

see, however, the observations on this in note 177. The reemergence<br />

of this layer of paint from under the plaster has<br />

led to a clash between two different, and not contemporary,<br />

manners of interior decoration, as has already been pointed<br />

out. Still visible from the 1828 phase on the ceiling are the<br />

panel painted by Nicola Monti with a picture of Piero Capponi,<br />

the rich complementary frame painted by Ferdinando<br />

Marini and, again by Marini, the dado or decorative base<br />

running along the bottom of the walls. As a result of the<br />

aforementioned choice made during the restoration, it is<br />

not possible to tell how the walls of the room had been<br />

painted in 1828. The situation is better in the adjoining<br />

room, next to the “new gallery.” Here the rich decorative<br />

framings, again the work of Ferdinando Marini, around the<br />

“picture” of the Dying Gian Galeazzo Sforza painted by Nicola<br />

Monti, have now been completed, with the final effect<br />

that had been planned from the outset, with the restoration<br />

of the mock cloth covering of the walls with vertical yellow<br />

and reddish-orange stripes, together with the original<br />

flounce at the bottom. Worthy of a separate, more analytical<br />

discussion, is the ornamentation conceived by Ferdinando<br />

Marini around two of Monti’s “pictures” in the two<br />

rooms, in which he made too much of a display of his technical<br />

skills, giving his decorations a disproportionately large<br />

scale with respect to the main scene, and thereby providing<br />

another motivation—I believe—for Monti’s complaint: see<br />

note 267. Obviously such choices must have been authorized<br />

by the client Girolamo de’ Rossi, perhaps inclined to a<br />

more marked and ostentatious emphasizing of content and<br />

form. The end result of the overall decoration of the two<br />

rooms in 1828 indicates, in my opinion, the predominance<br />

of Girolamo over the artistic sensibilities of his father. This<br />

was the year which saw the definitive separation of the two<br />

men, with the commission of the new residence for Girolamo<br />

and his family, the smaller building designed by the<br />

architect Alessandro Gherardesca, to be constructed next<br />

to the late 18th-century ancestral residence.<br />

254. Alessandro Manzoni (1785-1873) was one of the writers<br />

to whom Niccolò Puccini and his circle paid attention for<br />

the subjects he tackled. His historicism of a Romantic character<br />

found expression in various works: between 1820 and<br />

1822 he wrote Adelchi, to which he added the essay entitled<br />

Discorso sopra alcuni punti della <strong>storia</strong> longobardica in Italia in<br />

1822. Around the same time he published Il cinque maggio<br />

and Marzo 1821 which, along with the choruses of Adelchi,<br />

express Manzoni’s profound reflection on the history and<br />

destiny of the peoples and the great figures of the past and<br />

the present.<br />

255. In those years the focus of the interest of “patriotic” intellectuals<br />

in Pistoia, meeting periodically in the academies,<br />

shifted from Greco-Roman antiquity (as metaphor for the<br />

eternal values that should mold any “citizen”) to more concrete<br />

examples from the Italian history of the Middle Ages<br />

and Renaissance, in which the theme of the struggle against<br />

tyranny played a large part, including in the contemporary<br />

commissions and pictorial works of the principal exponents<br />

of academic artistic culture.<br />

256. The two paintings were executed by Nicola Monti in<br />

the summer of 1828. From a letter written by the painter<br />

to Niccolò Puccini on February 10 (or 11) of that year we<br />

156<br />

157

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