100 •POVERTÀ E PATRIMONIOQuesta favela rappresenta un tipico esempio di insediamento informaledella capitale minera. Arroccata in un’area centrale della città dalla topografiafortemente irregolare, è frutto di un processo lento, ma continuo, di occupazionedei declivi di una antica cava di pietre da cui era stato estratto il materiale per lacostruzione della città.In queste situazioni, ogni metro di allargamento della strada va conquistatocon molta “conversa” ed una buona dose di “cafezinhos”, usando creatività perridurre di quel metro il fronte della casa senza perderne la funzionalità, matrovando la soluzione che, oltre all’evidente beneficio collettivo, offra anche unbeneficio diretto per la famiglia soggetta all’intervento.Un’ area di questa favela destava principalmente la nostra preoccupazione.Si trattava di una ventina di case costruite in un avvallamento del terreno che nelperiodo delle piogge veniva regolarmente allagato poichè non vi era possibilità didrenaggio delle acque 3 . Inoltre la bassa qualità costruttiva, l’alta densità territorialedella zona, l’angustia e la precarietà del sistema viario consigliavano un interventospaziale significativo. Così dopo varie discussioni con gli abitanti, si è deciso dirimuovere le case, formulare una nuova ipotesi distributiva e ricostruire nuoveabitazioni in uno spazio urbano che permettesse una miglior qualità di vita.Di questo gruppo faceva parte anche “dona Efigenia”, una signora di 75anni che da oltre 40 viveva in quell’area. A motivo della sua età non avevapartecipato che saltuariamente agli incontri con il gruppo. Mi recai pertanto acasa sua per spiegarle l’idea e comunicarle ciò che era stato deciso; il tutto conil mio pronunciato accento italiano.Dona Efigenia ricevendomi pacatamente mi ha spiegato che le inondazionistagionali non erano di fatto un grave problema, perchè da tempo aveva trovatouna soluzione.UNCHS, un concorso per selezionare 20 Best Practises da presentare alla Conferenza. Il programma Alvorada venneselezionato tra queste prime 20 proposte, essendo inserito l’anno successivo nelle 100 Best Practises che Habitat II hapresentato all’attenzione di esperti e di “policies makers” come possibili soluzioni alle problematiche della gestione degliinsediamenti umani. Contemporaneamente il programma venne selezionato dalla “Secretaria de Politica Urbana doMinisterio do Planejamento” tra i 20 migliori interventi realizzati in Brasile.Per una descrizione succinta del programma si veda: URBEL: Urbanização de favelas e prevenção em àreas de risco emBelo Horizonte. In: N. Bonduki “Habitat”. As praticas bem-sucedidas em habitação, meio-ambiente e gestão urbananas cidades brasileiras. São Paulo: Studio Nobel, 1996, p.152-155.Mentre per una descrizione metodologica dettagliata si veda UNCHS (Habitat). Putting the Urban Poor on the map: aninformal settlement upgrading methodology supported by information technology. Nairoby: UNCHS, 2000, p. 45-139.2Per una descrizione della favela si veda URBEL: Urbanização de favelas e prevenção em areas de risco em BeloHorizonte in N. Bonduki “Habitat”. As praticas bem-sucedidas em habitação, meio-ambiente e gestão urbana nascidades brasileiras. São Paulo: Studio Nobel, 1996. p.155-169.3Durante le piogge estive (principalmente tra dicembre e gennaio) molte aree di favelas sono esposte a forte rischio dismottamento o di allagamento. Solo in quest’ ultimo periodo, vi sono state oltre 40 vittime di smottamenti in BeloHorizonte.
PERSONA E TALENTI • 101Era infatti sufficiente posizionare una passerella sopra il livello delle acqueed infilare un altro pezzo di legno nei battenti della porta così da impedireall’acqua di invadere la casa.Collocati poi alcuni gradini all’interno era possibile accedere dallapassarella alla casa.Mi aveva spiegato come aveva “risolto” il problema facendo uso di unostrumento che chiamava “porta para a agua”.Una soluzione, quella descritta da dona Efigenia, che in verità avevo giàconosciuto in un altro contesto. E’ usata in grande stile e tempestività dalComune di Venezia quando le acque della laguna invadono la città nei giornidella cosidetta “acqua alta”.Ma dona Efigenia continuò la sua spiegazione dicendo che quello che leiaveva costruito durante gli anni era più importante che il problema oggettivo chedoveva affrontare stagionalmente. Infatti abitava la casa centrale di un nucleo ditre casette molto vicine ed apparentemente costruite in un unico lotto. In unaabitava suo figlio, nell’altra una sua cara amica. Dona Efigenia era la proprietariadelle case, ma concedeva all’uno ed all’altra la possibilità di abitarvi perchè ilfiglio l’accudiva, a motivo della sua età, e la sua amica si preoccupava di “farlela spesa”. Aveva, insomma, ricreato una unità “familiare” che non viveva sottolo stesso tetto. Una soluzione difficile da riprodurre in un altro contesto, ma cheaveva risolto il problema della solitudine nella sua vecchiaia.Quella che per noi era una situazione critica e che pertanto meritava unintervento radicale, per dona Efigenia era, al contrario, una risorsa, la principalerisorsa che, con la sua creatività e col suo sforzo, si era costruita nella vita.Il nostro intervento teso ad identificare correttamente le necessità,attraverso un processo di raccolta delle informazioni ed analisi dei dati 4 ,rischiava, per migliorare la condizione della vita e quindi ridurre la situazione dipoverta’, di rompere irrimediabilmente la risorsa “famiglia” che costituiva in quelmomento il principale “patrimonio” di Dona Efigenia.Questo esempio è stato il primo di una lunga serie di casi che in questi 10anni di lavoro hanno indirizzato la scelta metodologica effettuata in variprogrammi di riduzione della povertà in aree cosiddette “a rischio sociale”,affrontando problemi di infrastruttura, di ricerca del lavoro, di educazioneinfantile.4Una descrizione dettagliata degli strumenti e dei metodi di gestione delle informazioni si trova ancora in UNCHS(Habitat) Putting the Urban Poor on the map: an informal settlement upgrading methodology supported by informationtechnology. Nairoby: UNCHS, 2000. p. 141-230.