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vorrei attaccarmi alla tua veste gigante,<br />
sentirti parlare con quella cadenza che<br />
hai solo tu? Poter piangere e strillare,<br />
poter far qualunque cosa sapendo che<br />
per te sarà sempre giusta.<br />
Eccoti, sì, con la mia foto preferita,<br />
quella faccia finta-seria che sottendeva<br />
un sorrisino sarcastico, come se nella<br />
tua bocca ci fosse lì pronta ed essere<br />
scoccata una delle tue battutine contro<br />
la mamma o la zia, o contro il nonno<br />
anche se non c’era più.<br />
Posso piangere a dirotto qui davanti<br />
a te, come non faccio da quando ero<br />
bambino?<br />
Ma come fai a sentirmi ora che sei lassù<br />
con la madonna di Montelupo? Mi rispondi<br />
di sì, ma posso solo immaginarlo.<br />
Mi sento meglio al pensiero.<br />
Questa foto a pochi metri da quel che<br />
resta del tuo corpo, invece è spietata, è<br />
così vera e viva, ti riporta qui vicino a me<br />
e mi spezza il cuore.<br />
Posso piangere a dirotto come un diluvio<br />
universale in una landa arida che porta<br />
dentro il dolore e la rabbia di secoli di<br />
siccità?<br />
Sì che puoi Carletto.<br />
Piango, urlo, non c’è nessuno che mi<br />
guarda, e quand’anche fosse non mi<br />
importa nulla.<br />
È il nostro tempo cara nonna, davanti a<br />
te non devo apparire meno fragile di<br />
quanto sia davvero, davanti a te posso<br />
essere quello che sono.<br />
Un bambino cresciuto, che per qualche<br />
ragione ha un disperato bisogno di<br />
piangere.<br />
La sera avanza e si colora di rosso, le<br />
montagne schermano quel poco sole<br />
ormai debole al tramonto, e il fresco<br />
della montagna dilaga, è ora che vada.<br />
Non ho più fazzoletti per soffiarmi il<br />
naso, quello di stoffa è esausto. Finalmente<br />
il naso perennemente chiuso è<br />
stato decongestionato da questo pianto<br />
disperato.<br />
Ciao nonna, anzi arrivederci, ci vedremo<br />
quest’estate, se riesco porterò a farti<br />
vedere Vale ed Edo, perdonami se non<br />
te li ho portati prima, quando erano<br />
ancora bambini.<br />
Scosso da questa esperienza, ho l’ultimo<br />
appuntamento, l’ora è quella giusta,<br />
quella della sera che incalza col suo<br />
buio.<br />
Il convento abbandonato, l’apice della<br />
giornata tipo. I giochi collettivi coi ragazzini<br />
di Montelupo.<br />
Questa sera non c’è nessun bambino a<br />
giocare, sono da solo, cammino dentro il<br />
rudere, tra le colonne e le loro ombre,<br />
prodotte da quel poco che resta del<br />
giorno. Erano questi i dieci minuti magici,<br />
il frangente tra giorno e notte, in<br />
cui l’eccitazione era al massimo, per<br />
essere in un luogo sconosciuto, un po’<br />
spaventoso, tra bambini estranei. Tutta<br />
la mia curiosità, il desiderio di incognito,<br />
e la voglia di correre e giocare erano<br />
appagati qui al convento.<br />
Il buio pesto arriva rapidamente, ci sono<br />
meno case abitate di una volta. Grazie ai<br />
suoi oltre mille metri di altitudine, in<br />
pochi minuti, Montelupo mi regala un<br />
cielo stellato e profondo.<br />
Mi sembra quasi di avere un binocolo<br />
potente incorporato negli occhi.<br />
Entro nello spazio interstellare, ci sono<br />
dentro. Sento qualcosa di forte, forse un<br />
segnale, un’interferenza che distorce le<br />
leggi fisiche, forse le emozioni e il linguaggio<br />
dell’anima riescono a forzare il<br />
tempo.<br />
Non so cosa sta succedendo, ma io ti<br />
sento qui vicino a me nonna, più che<br />
mai, e ti dico che ti voglio un bene<br />
grande come questo cielo.<br />
Non posso più stare qui, devo fuggire.<br />
Tornerò questa estate, coi ragazzi spero.<br />
Qui da solo mi fa troppo male, ho scoperchiato<br />
il pentolone del dolore chiuso<br />
là dentro, che dio solo sa da dove arrivi.<br />
Devo richiudere tutto, e tornare a casa<br />
FUOR ASSE<br />
160<br />
Il principio dell’iceberg