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Terza considerazione. Luoghi e memoria,<br />
che finora intendevano rievocare<br />
episodi fondativi di identità nazionali,<br />
religiose, culturali, rischiano nell’era<br />
digitale della simulazione e falsificazione,<br />
di riscrivere i suddetti paradigmi<br />
trasformandoli in oggetto di perenne<br />
contesa. Spazi urbani devastati dalla<br />
guerra o da catastrofi naturali, non trascurando<br />
luoghi rurali o insediamenti<br />
tribali, tutte le altre innumerevoli città<br />
diventate macerie, che riempiono tuttora<br />
la cronaca quotidiana, si impongono<br />
o si imporranno all’attenzione della cultura<br />
contemporanea come luoghi della<br />
memoria controversa. Sui luoghi metropolitani,<br />
che sono stati teatro della distruzione<br />
causata dal secondo conflitto<br />
mondiale e dai conflitti recenti, si sono<br />
infatti sedimentate stratificazioni di diverse<br />
memorie di gruppo: vincitori e vinti,<br />
vittime e carnefici. In questi luoghi è<br />
necessario innestare una modalità diversa<br />
per interrogare e ritrovare il tempo<br />
perduto, andandolo a cercare, ove è possibile,<br />
soprattutto “nelle ferite ancora<br />
aperte del paesaggio, nelle fratture, nei<br />
suoi spazi vuoti” (cfr. Derrida, cit.) che<br />
con i loro silenzi carichi di assenza, con<br />
il loro senso di precarietà, sanno evocare<br />
allusivamente ciò che non è più e<br />
richiamarlo dentro il presente.<br />
Quarta considerazione. Luogo paradigmatico<br />
della memoria, reale e simbolica,<br />
del più orrendo crimine contro l’umanità,<br />
Auschwitz ha assunto diverse coniugazioni<br />
nel racconto del dopoguerra, riproponendosi<br />
di attribuire al ricordo di<br />
questo campo di concentramento il valore<br />
di monito per il futuro. In “Quel che<br />
resta di Auschwitz. L’archivio e il testimone”,<br />
Giorgio Agamben la definisce<br />
“zona grigia in cui si sonda la ‘lunga<br />
catena di congiunzione fra vittima e carnefici’,<br />
dove l’oppresso diventa oppressore<br />
e il carnefice appare a sua volta<br />
come vittima”. Agamben riflette sulla<br />
@Sarolta Bán<br />
difficoltà di documentare la Shoah proprio<br />
a causa della persistenza di questa<br />
“zona di irresponsabilità e di ‘impotentia<br />
judicandi’”. E dalla difficoltà si<br />
giunge ad una autentica e forse insuperabile<br />
impossibilità. In modo paradossale<br />
Agamben richiama i milioni<br />
di cadaveri prodotti dalle fabbriche di<br />
morte dei nazisti individuando in essi<br />
l’unica vera testimonianza relativa alla<br />
persecuzione degli ebrei. Il paradigma<br />
di Auschwitz, definito da Agamben<br />
come “lieu de mémoire”, risiede proprio<br />
nell’impossibilità di ricordare da parte<br />
delle vittime che non sono mai tornate.<br />
Le memorie collettive abbondano di<br />
testimonianze trasmesse da coloro che<br />
vissero da carnefici e da torturati ma<br />
restano prive delle testimonianze di chi<br />
non ha potuto e non potrà più raccontare<br />
la propria tragedia. Il mancato racconto<br />
di questa tragedia diventa compito<br />
dei viventi, dei contemporanei che<br />
conoscono, i quali non devono smettere<br />
di tramandare la memoria evitando di<br />
museificarla.<br />
Considerazione finale: la guerra infinita<br />
e le tragedie del presente. Nuovi<br />
FUOR ASSE<br />
68<br />
Riflessi Metropolitani