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FuoriAsse_n_22

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Terza considerazione. Luoghi e memoria,<br />

che finora intendevano rievocare<br />

episodi fondativi di identità nazionali,<br />

religiose, culturali, rischiano nell’era<br />

digitale della simulazione e falsificazione,<br />

di riscrivere i suddetti paradigmi<br />

trasformandoli in oggetto di perenne<br />

contesa. Spazi urbani devastati dalla<br />

guerra o da catastrofi naturali, non trascurando<br />

luoghi rurali o insediamenti<br />

tribali, tutte le altre innumerevoli città<br />

diventate macerie, che riempiono tuttora<br />

la cronaca quotidiana, si impongono<br />

o si imporranno all’attenzione della cultura<br />

contemporanea come luoghi della<br />

memoria controversa. Sui luoghi metropolitani,<br />

che sono stati teatro della distruzione<br />

causata dal secondo conflitto<br />

mondiale e dai conflitti recenti, si sono<br />

infatti sedimentate stratificazioni di diverse<br />

memorie di gruppo: vincitori e vinti,<br />

vittime e carnefici. In questi luoghi è<br />

necessario innestare una modalità diversa<br />

per interrogare e ritrovare il tempo<br />

perduto, andandolo a cercare, ove è possibile,<br />

soprattutto “nelle ferite ancora<br />

aperte del paesaggio, nelle fratture, nei<br />

suoi spazi vuoti” (cfr. Derrida, cit.) che<br />

con i loro silenzi carichi di assenza, con<br />

il loro senso di precarietà, sanno evocare<br />

allusivamente ciò che non è più e<br />

richiamarlo dentro il presente.<br />

Quarta considerazione. Luogo paradigmatico<br />

della memoria, reale e simbolica,<br />

del più orrendo crimine contro l’umanità,<br />

Auschwitz ha assunto diverse coniugazioni<br />

nel racconto del dopoguerra, riproponendosi<br />

di attribuire al ricordo di<br />

questo campo di concentramento il valore<br />

di monito per il futuro. In “Quel che<br />

resta di Auschwitz. L’archivio e il testimone”,<br />

Giorgio Agamben la definisce<br />

“zona grigia in cui si sonda la ‘lunga<br />

catena di congiunzione fra vittima e carnefici’,<br />

dove l’oppresso diventa oppressore<br />

e il carnefice appare a sua volta<br />

come vittima”. Agamben riflette sulla<br />

@Sarolta Bán<br />

difficoltà di documentare la Shoah proprio<br />

a causa della persistenza di questa<br />

“zona di irresponsabilità e di ‘impotentia<br />

judicandi’”. E dalla difficoltà si<br />

giunge ad una autentica e forse insuperabile<br />

impossibilità. In modo paradossale<br />

Agamben richiama i milioni<br />

di cadaveri prodotti dalle fabbriche di<br />

morte dei nazisti individuando in essi<br />

l’unica vera testimonianza relativa alla<br />

persecuzione degli ebrei. Il paradigma<br />

di Auschwitz, definito da Agamben<br />

come “lieu de mémoire”, risiede proprio<br />

nell’impossibilità di ricordare da parte<br />

delle vittime che non sono mai tornate.<br />

Le memorie collettive abbondano di<br />

testimonianze trasmesse da coloro che<br />

vissero da carnefici e da torturati ma<br />

restano prive delle testimonianze di chi<br />

non ha potuto e non potrà più raccontare<br />

la propria tragedia. Il mancato racconto<br />

di questa tragedia diventa compito<br />

dei viventi, dei contemporanei che<br />

conoscono, i quali non devono smettere<br />

di tramandare la memoria evitando di<br />

museificarla.<br />

Considerazione finale: la guerra infinita<br />

e le tragedie del presente. Nuovi<br />

FUOR ASSE<br />

68<br />

Riflessi Metropolitani

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