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una specie di taccuino fotografico, senza<br />
l’idea poi di farne mostre o libri, ma<br />
quasi un poema infinito come il vivere e<br />
che spesso ricorda versi dell’Urlo di<br />
Allen Ginsberg, ma nel tono intimo e di<br />
meraviglia quotidiana della vita di un<br />
uomo che è poi anche fotografo.<br />
«Non penso mai a un libro o a mostre,<br />
questo non vuol dire che non mi farebbe<br />
©Vittorio Catti<br />
piacere, come mi ha fatto piacere pubblicare<br />
il libro di foto mie degli anni tra<br />
l’85 e il ’90 intitolato Torino Cattiva. Le<br />
fotografie maleducate di Vittorio Catti.<br />
Quest’ultimo, però, è nato più per la<br />
spinta degli amici di sempre, come<br />
Alberto Campo – noto critico musicale,<br />
oltre che una delle voci radiofoniche più<br />
importanti di quegli anni – perché, per<br />
me, la fotografia alla fine occupa uno<br />
spazio che va al di fuori di mostre e libri:<br />
è il mio parlare con il mondo». Muove le<br />
mani quasi a voler dire che non sa parlare<br />
di queste cose ma puó fartele vedere<br />
con il disegnare l’aria.<br />
Mi guarda con il suo sguardo profondo<br />
e quel suo sorriso un po’ sornione e un<br />
po’ beffardo: «Perché mi chiedi delle foto<br />
forse che non parlano abbastanza?». È<br />
uno scambio di sguardi e un cenno della<br />
mano a far sparire l’immagine dallo<br />
schermo.<br />
©Vittorio Catti<br />
FUOR ASSE<br />
170<br />
Sguardi