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FuoriAsse_n_22

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il passaggio a un nuovo modello di città<br />

votata ai servizi e all’esibizione asettica,<br />

quasi da vetrina, dei propri gioielli moderni,<br />

dai grattacieli alle griffe della<br />

moda.<br />

Eppure, come ben mostra il volume Fab -<br />

brica di carta. I libri che raccontano l’Italia<br />

industriale a cura di Giorgio Bigatti e<br />

Giuseppe Lupo (Laterza, 2013) – libro<br />

che mai sarà elogiato abbastanza – l’interesse<br />

per la fabbrica non è venuto meno<br />

nemmeno nella temperie della deindustrializzazione,<br />

come testimonia il fiorire<br />

di opere letterarie a tema industriale nel<br />

corso degli stessi anni Duemila, nel primo<br />

decennio: Raffaele Nigro, Malvarosa<br />

(Rizzoli, 2005), Goffredo Buccini, La fabbrica<br />

delle donne (Mondadori, 2008), Angelo<br />

Ferracuti, Viaggi da Fermo. Un sillabario<br />

piceno (Laterza, 2009), Cosimo<br />

Argentina, Vicolo dell’acciaio (Fandango,<br />

2010), per citarne solo alcuni. Ma è probabilmente<br />

negli Stati Uniti che la narrativa<br />

della deindustrializzazione ha toccato<br />

le sue vette più alte. Tale produzione<br />

narrativa è stata finora abbondante e<br />

d’indubbia qualità, di grande interesse<br />

e successo già prima del boom di vendite<br />

di Hillbilly Elegy di J. D. Vance (Elegia<br />

americana, di Garzanti l’edizione italiana,<br />

pubblicata nel 2017). Si tratta di un<br />

libro che è stato giustamente ritenuto<br />

capace di descrivere al meglio gli Stati<br />

Uniti dell’elettorato di Trump, la classe<br />

operaia tradita dalla fabbrica e incapace<br />

di ritrovare, nella sua quotidianità, quei<br />

riferimenti – nei luoghi e di senso – che<br />

ne avevano segnato l’esistenza nel corso<br />

del Novecento industriale:<br />

«Il fiume era a una decina di metri alla loro<br />

sinistra mentre più avanti i binari costeggiavano<br />

una lunga pianura alluvionale con l’erba verde<br />

che brillava contro le nuvole nere in arrivo. In<br />

mezzo al campo c’era una fila di carri merci<br />

inghiottiti da un boschetto di rose selvatiche. Ai<br />

margini della pianura c’era la Standard Steel<br />

Car, ci era già entrato una volta, la fabbrica era<br />

semidistrutta, mattoni e travi di legno ammucchiati<br />

sopra fucine e presse idrauliche in disuso,<br />

muschi e rampicanti dappertutto. Malgrado le<br />

macerie, l’interno era vasto e arioso. Pieno di<br />

souvenir».<br />

(Philipp Meyer, Ruggine americana, Einaudi,<br />

2010)<br />

Una funzione in primo luogo unificante<br />

era stata assunta dalla grande fabbrica<br />

dopo la Seconda rivoluzione industriale.<br />

Una funzione che i padroni non avevano<br />

previsto che le loro aziende potessero<br />

avere, e che dunque hanno combattuto<br />

ogni qualvolta ne hanno avuto occasione.<br />

La classe operaia di tutto il mondo ha<br />

utilizzato questa realtà di fatto – questa<br />

funzione – per sé, a proprio favore, in<br />

nome del perseguimento dei propri interessi<br />

collettivi. Il punto decisivo di quella<br />

che qualcuno ha chiamato terza rivoluzione<br />

industriale, quella attuale e dell’automazione,<br />

è invece proprio la distruzione<br />

di questi grandi agglomerati di<br />

classe, nel tentativo di tornare alla piccola<br />

fabbrica e quindi all’atomizzazione.<br />

Allora, qui da noi, si è vista per esempio<br />

la deindustrializzazione di Sesto San<br />

Giovanni. Sesto, che era un esempio di<br />

grosse concentrazioni operaie, ora è un<br />

esempio di come quelle grosse concentrazioni<br />

operaie sono state distrutte. Non<br />

c’è più la Pirelli, non c’è più la Falck, non<br />

c’è più la Breda, non ci sono più le Marelli…<br />

Ci sono solo i grandi deserti delle<br />

aree dismesse, di tanto in tanto ripresi e<br />

trasformati in una cosa diversa. A parere<br />

di alcuni studiosi la ragione è stata puramente<br />

economica – la grande fabbrica<br />

non è più redditizia, il costo del lavoro<br />

metropolitano è troppo alto… – ma per<br />

altri è invece difficile vederla in questo<br />

modo, anche perché alla distruzione<br />

della grande fabbrica si è arrivati in un<br />

momento molto particolare, cioè in una<br />

fase storica di grandi mobilitazioni operaie<br />

e sociali. Per quanto riguarda gli<br />

Stati Uniti, dopo la più lunga fase di lotte<br />

FUOR ASSE<br />

82<br />

Riflessi Metropolitani

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