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FuoriAsse_n_22

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sostenere a partire dalle sue fondamenta.<br />

Poco dopo, e non a caso, il «poeta»<br />

deciderà di togliersi la vita e proprio<br />

sotto lo sguardo degli abitanti della<br />

casa, spettatori ammaliati dalla messa<br />

in scena della morte al di là del vetro; e<br />

da qui, complotti su complotti e, infine,<br />

la distruzione della casa da parte del<br />

suo stesso costruttore, «robot» dalle<br />

sembianze umane che ora ha tolto la<br />

«maschera» e si rivela come l’architetto<br />

della casa 12 .<br />

Al di là della trama, continuamente<br />

rivisitata, ciò che più colpisce del lavoro<br />

eisensteiniano è la libertà della cinepresa,<br />

il suo modo di guardare quasi «radiografico»<br />

alla Moholy-Nagy, che avrebbe<br />

dovuto portare lo spettatore a un totale<br />

«straniamento», in quanto sottoposto<br />

a un continuo cambio di punto di<br />

vista: «Des angles de vue absolument<br />

nouveaux» 13 . La cinepresa così concepita<br />

sembra suggerire un avvicinamento di<br />

Ejzenštejn a Vertov e al Kinoglaz, il cineocchio<br />

in grado di rivelare la verità dei<br />

fatti, che in questa circostanza guida<br />

lo spettatore all’interno della casa, della<br />

quale sarà l’unico a potere vedere tutto<br />

distintamente sin dall’inizio 14 .<br />

Man mano che la trasparenza del luogo<br />

si svela, la macchina da presa mostra<br />

sempre di più, i suoi movimenti si moltiplicano,<br />

il montaggio interno alla stessa<br />

inquadratura si fa più articolato 15 . Moltiplicare<br />

i rapporti interni all’inquadratura,<br />

grazie alla libertà della macchina<br />

e sfruttando le innumerevoli linee di<br />

fuga e di sguardo offerte dalla trasparenza<br />

delle superfici, significava anche<br />

trovarsi dinnanzi a uno spazio in grado<br />

di dilatarsi ancora: «La dimensione<br />

©Betina La Plante<br />

narrativa lascia man mano lo spazio alla<br />

dimensione visiva e teorica dell’immagine»<br />

16 . Prende piede, così, l’idea di<br />

uno schermo letteralmente gigantesco<br />

(Ecran monstre), dove i nuovi protagonisti<br />

della scena saranno gli oggetti galleggianti,<br />

lo spazio fluttuante o l’ascensore<br />

che taglia in verticale la casa, facendo<br />

grande uso della sovrimpressione che<br />

mostra in perfetta simultaneità ciò che<br />

accade dentro e fuori l’edificio 17 .<br />

L’espansione del meccanismo cinematografico<br />

tocca il suo culmine servendosi<br />

proprio di questo luogo utopistico,<br />

ma il dispositivo sognato dal cineasta<br />

russo ha raggiunto nel frattempo il suo<br />

limite ultimo e, dopo la moltiplicazione<br />

esagerata di uno sguardo (a)centrico,<br />

non può che sperimentare la propria<br />

stessa fine: quella del cinema – il film<br />

rimane, appunto, solo sulla carta – e<br />

soprattutto di un mito che nel Novecento<br />

aveva cambiato il modo di vedere<br />

le cose per molti. Finisce l’utopia della<br />

12 Ivi, pp. 103-104.<br />

13 Sergei M. Eisenstein, op. cit., p. 23.<br />

14 Antonio Somaini, op. cit., pp. 105-107.<br />

15 Daniele Dottorini, Glass House. Trasparenza e opacità del cinema, in “Fata Morgana”, n. 3, settembre-dicembre<br />

2007, p. 50.<br />

16 Ivi, p. 50.<br />

18 Antonio Somaini, op. cit., pp. 107-108.<br />

FUOR ASSE 98 Cinema

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