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FuoriAsse_n_22

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assist verso l’Afghanistan, il Pakistan,<br />

quando splendidamente Alighiero lancia<br />

il suo progetto al di là, manda fuori cam -<br />

po l’idea consunta di globo, lo lascia<br />

volitare in alto, proponendo addirittura<br />

un allestimento di una mostra di Mappe<br />

su un volo aereo: come un lanciatore<br />

che lascia meravigliato il pubblico con<br />

un atto semplice, quando colpisce così<br />

forte che la palla esce dal campo, così so -<br />

no le parabole di Boetti e questo basta,<br />

questa è bellezza.<br />

È sempre tramite Boetti che Obrist<br />

si avvicina a Édouard Glissant – poeta,<br />

scrittore e saggista antillano discendente<br />

di schiavi – che al dilemma fra<br />

la paura della spianata di qualsiasi<br />

diversità dovuta al caterpillar della<br />

globalizzazione e l’erezione di nuovi<br />

muri per un rinascente micragnoso<br />

nazionalismo, propone la creolizzazione<br />

dei popoli e della cultura,<br />

l’amalgamarsi di identità multiple o<br />

rizomatiche, perché «le radici – ha<br />

scritto Glissant – non hanno da<br />

sprofondarsi nel buio atavico delle<br />

origini, alla ricerca di una pretesa<br />

purezza; si allargano in superficie,<br />

come rami di una pianta, ad incontrare<br />

altre radici e a stringerle come<br />

mani». Nonostante questo suo irenismo,<br />

Glissant non glissa affatto sulla<br />

denuncia di genocidi, massacri, pulizie<br />

etniche, fonte di risentimento<br />

per chi, appartenendo a uno di quei<br />

popoli che subiscono oppressione,<br />

si sente fatalmente privato di quella<br />

libertà interiore che consente di<br />

sentirsi “signori” di se stessi.<br />

Di questi Ulissi che sono diventati<br />

Nessuno, di questi popoli travolti da<br />

fughe, vessati, squartati da guerre e<br />

colonizzazioni, si trovano le nerissime<br />

tracce nei Porter-Series Tapestry<br />

e nei nove arazzi oversize di Street of<br />

the city di William Kentrige, l’artista<br />

sudafricano che più di ogni altro ha<br />

esplorato l’ingiustizia sociale, la memoria<br />

dell’apartheid, attraverso il suo multiplo<br />

fare artistico: dagli arazzi all’animazione,<br />

dai collages ai film e al teatro,<br />

fino al suo fregio Triumphs and Laments<br />

del 2016, costituito da un corteo fantasma<br />

di figure, lungo 500 metri di sponda<br />

muraria del Tevere. Dannate “Pitture<br />

nere” nate attraverso incisioni o meglio<br />

da una “pulizia selettiva” praticata nella<br />

sporcizia scura depositata da secoli sulle<br />

mura delle rive di contenimento del<br />

fiume capitolino; anime buie destinate<br />

negli anni a riscomparire nei gorghi neri<br />

di depositi bituminosi e di idrocarburi,<br />

labili tracce di quel volgo disperso che<br />

nome non ha di manzoniana memoria.<br />

William Kentridge, Porter Series: Amerique septentrionale<br />

(Bundle on Back), 2007. Tapestry weave with embroidery, Warp:<br />

polyester, Weft and embroidery: mohair, acrylic, silk, and<br />

polyester, 1<strong>22</strong> 7/16 x 90 15/16.<br />

Copyright and courtesy of William Kentridge.<br />

FUOR ASSE<br />

74<br />

Riflessi Metropolitani

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