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assist verso l’Afghanistan, il Pakistan,<br />
quando splendidamente Alighiero lancia<br />
il suo progetto al di là, manda fuori cam -<br />
po l’idea consunta di globo, lo lascia<br />
volitare in alto, proponendo addirittura<br />
un allestimento di una mostra di Mappe<br />
su un volo aereo: come un lanciatore<br />
che lascia meravigliato il pubblico con<br />
un atto semplice, quando colpisce così<br />
forte che la palla esce dal campo, così so -<br />
no le parabole di Boetti e questo basta,<br />
questa è bellezza.<br />
È sempre tramite Boetti che Obrist<br />
si avvicina a Édouard Glissant – poeta,<br />
scrittore e saggista antillano discendente<br />
di schiavi – che al dilemma fra<br />
la paura della spianata di qualsiasi<br />
diversità dovuta al caterpillar della<br />
globalizzazione e l’erezione di nuovi<br />
muri per un rinascente micragnoso<br />
nazionalismo, propone la creolizzazione<br />
dei popoli e della cultura,<br />
l’amalgamarsi di identità multiple o<br />
rizomatiche, perché «le radici – ha<br />
scritto Glissant – non hanno da<br />
sprofondarsi nel buio atavico delle<br />
origini, alla ricerca di una pretesa<br />
purezza; si allargano in superficie,<br />
come rami di una pianta, ad incontrare<br />
altre radici e a stringerle come<br />
mani». Nonostante questo suo irenismo,<br />
Glissant non glissa affatto sulla<br />
denuncia di genocidi, massacri, pulizie<br />
etniche, fonte di risentimento<br />
per chi, appartenendo a uno di quei<br />
popoli che subiscono oppressione,<br />
si sente fatalmente privato di quella<br />
libertà interiore che consente di<br />
sentirsi “signori” di se stessi.<br />
Di questi Ulissi che sono diventati<br />
Nessuno, di questi popoli travolti da<br />
fughe, vessati, squartati da guerre e<br />
colonizzazioni, si trovano le nerissime<br />
tracce nei Porter-Series Tapestry<br />
e nei nove arazzi oversize di Street of<br />
the city di William Kentrige, l’artista<br />
sudafricano che più di ogni altro ha<br />
esplorato l’ingiustizia sociale, la memoria<br />
dell’apartheid, attraverso il suo multiplo<br />
fare artistico: dagli arazzi all’animazione,<br />
dai collages ai film e al teatro,<br />
fino al suo fregio Triumphs and Laments<br />
del 2016, costituito da un corteo fantasma<br />
di figure, lungo 500 metri di sponda<br />
muraria del Tevere. Dannate “Pitture<br />
nere” nate attraverso incisioni o meglio<br />
da una “pulizia selettiva” praticata nella<br />
sporcizia scura depositata da secoli sulle<br />
mura delle rive di contenimento del<br />
fiume capitolino; anime buie destinate<br />
negli anni a riscomparire nei gorghi neri<br />
di depositi bituminosi e di idrocarburi,<br />
labili tracce di quel volgo disperso che<br />
nome non ha di manzoniana memoria.<br />
William Kentridge, Porter Series: Amerique septentrionale<br />
(Bundle on Back), 2007. Tapestry weave with embroidery, Warp:<br />
polyester, Weft and embroidery: mohair, acrylic, silk, and<br />
polyester, 1<strong>22</strong> 7/16 x 90 15/16.<br />
Copyright and courtesy of William Kentridge.<br />
FUOR ASSE<br />
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Riflessi Metropolitani