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Assaggi di fame - Filippo Radaelli

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Anno Mille: la lotta <strong>di</strong> resistenza alla <strong>fame</strong> va in montagna. E vince<br />

29 e 30 settembre e 1° ottobre<br />

Adesso capisco perché la gente <strong>di</strong> montagna lo chiamava l’albero del pane. E adesso capisco pure<br />

quanto fossero in errore gli abitanti <strong>di</strong> pianura a chiamare pane dei poveri quello che si produceva<br />

con la farina dell’aculeato frutto. Adesso capisco, infine, cosa stiamo rischiando <strong>di</strong> perdere con il<br />

drastico declino delle sue piantagioni.<br />

Le caldarroste, le confetture, i marron glacè, il Mont Blanche… Il castagnaccio, che trent’anni fa<br />

vendevano nella pizzeria al taglio del mio quartiere, ed oggi lo trovo solo nei più forniti negosi<br />

alimentari del centro. E poi? L’inventario, credo, finisce qua.<br />

Dei piatti a base <strong>di</strong> castagna noi conosciamo poco. Davvero: poco!<br />

Peccato! Peccato, perché basta un motore <strong>di</strong> ricerca e troverete un numero <strong>di</strong> ricette da far paura.<br />

Io ho intercettato un sito che ne propone 324 <strong>di</strong>co 324: dalla A dell’agnello in umido alla Z della<br />

zuppa <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>cofani, passando per ogni ben <strong>di</strong> Dio. Andate, andate pure a controllare. Onore al<br />

merito, l’in<strong>di</strong>rizzo è http://web.tiscali.it/agrimontella/. Da dove saltano fuori, tante ricette? Dalla<br />

fantasia <strong>di</strong> una cooperativa <strong>di</strong> chef? Macché! Di più. Molto <strong>di</strong> più. Dall’esperienza fatta nel volger<br />

<strong>di</strong> alcuni secoli nelle migliaia <strong>di</strong> cucine dei paesi d’alta collina e <strong>di</strong> montagna.<br />

Solo fino a cent’anni fa, o giù <strong>di</strong> lì, la produzione italiana superava le ottocentomila tonnellate<br />

all’anno: oggi è un risultato eccezionale superare le ottantamila.<br />

Quella cifra eccezionale <strong>di</strong>ce non che siamo meno ghiotti <strong>di</strong> castagne, ma che esse non<br />

costituiscono più una fonte alimentare or<strong>di</strong>naria, quoti<strong>di</strong>ana, nelle case <strong>di</strong> un’ampia fetta <strong>di</strong><br />

popolazione: proprio quella dei conta<strong>di</strong>ni, per così <strong>di</strong>re d’alta quota, alle prese con un’orografia<br />

<strong>di</strong>fficile, inadatta ai gran<strong>di</strong> appezzamenti, alle vaste colture <strong>di</strong> cereali, in primis <strong>di</strong> grano.<br />

Badate: il castagno non è lì da sempre, nei nostri boschi. Se il genere Castanea ha il suo<br />

australopiteco, esso viene dalla Cina: probabilmente va identificato con la<br />

C. mollissima o una sua <strong>di</strong>retta antenata. Da laggiù è iniziata – forse anche per mano umana o,<br />

prima, <strong>di</strong> un australopiteco autentico, nostro atavico progenitore – una lenta e duplice migrazione:<br />

verso oriente, cioè verso il Giappone (fra le altre, la C. crenata) e verso il Nord America (ve<strong>di</strong> il<br />

caso della C. dentata) e in <strong>di</strong>rezione opposta, ad occidente, facendosi strada fino in Turchia. Qui, a<br />

poco a poco, i maestosi alberi dai frutti aculeati hanno preso confidenza col clima mitigato del<br />

Me<strong>di</strong>terraneo, assumendo caratteristiche ad esso più adatte e dando origine alla Castanea sativa,<br />

che è poi il nostrano castagno comune. Il quale castagno, come l’Homo Sapiens – può perfino darsi<br />

assieme a lui – finalmente, si decide a passare il Bosforo: su per i rilievi balcanici, giù per<br />

l’Appennino italiano, su per l’intero arco delle Alpi, uno scarto verso il Massiccio centrale francese<br />

e <strong>di</strong> nuovo giù, verso i Pirenei e la penisola iberica. È così che negli sconfinati boschi d’Europa, già<br />

da remotissime epoche, il castagno europeo viene ad affiancarsi alla quercia ed al faggio, suoi<br />

lontani cugini.<br />

Qualche stu<strong>di</strong>oso dotto insinua perfino che le prime farine non furono <strong>di</strong> cereali, ma <strong>di</strong> ghianda <strong>di</strong><br />

quercia e <strong>di</strong> castagna. È ipotesi per niente peregrina, se si considera la semplicità della raccolta, la<br />

sua abbondanza, l’elevata conservabilità del frutto essiccato al sole, l’agevole lavorazione con<br />

mezzi ru<strong>di</strong>mentali (molto più grossolani che per le granaglie più minute) per sfarinare la polpa,<br />

l’elevato contenuto calorico della sostanza amidacea… Continuo? No, basta. Sono tutte, queste ed<br />

altre, qualità che favorirono senz’altro la propagazione della pianta per opera dell’ominide<br />

primor<strong>di</strong>ale: molto più che per il noce, un poco più che per il nocciolo; forse al pari, proprio, della<br />

quercia da ghianda.<br />

E se pure non fosse vero che Castanea – o quale che sia il nome della <strong>di</strong>vinità che della specie e del<br />

genere è protettrice – possa essere riconosciuta quale nonna <strong>di</strong> Demetra, senza dubbio si può<br />

identificare in essa la nipote. E mi spiego.<br />

Dopo i fasti remoti, con lo sviluppo dell’agricoltura, la castagna era già caduta un po’ in declino. In<br />

età romana ben altre erano le colture destinate a sfamare le città e le stesse popolazioni rurali,<br />

concentrate per lo più nelle fertili pianure. Crollato l’impero, sotto la spinta cruenta delle invasioni<br />

barbariche, si verificò un notevole crollo demografico. Abbandonati, i campi inselvatichirono:<br />

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