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Assaggi di fame - Filippo Radaelli

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Non patirò la sete<br />

14 novembre<br />

Oggi <strong>di</strong>giuno, ma non patirò la sete. Lasciatemi parlare <strong>di</strong> vino. Anzi, <strong>di</strong> vino e <strong>di</strong> territorio. Meglio:<br />

<strong>di</strong> vini e <strong>di</strong> territori. Per Luigi Veronelli, l’anarco-gastronomo scomparso da poco e troppo tempo, il<br />

binomio era inscin<strong>di</strong>bile.<br />

Vini e territori: non ci può essere vino che meriti d’essere chiamato e bevuto come tale, che non sia<br />

profondamente legato al nome, alla natura, alla posizione, alla qualità del suolo, al vitigno, alle<br />

tecniche colturali, <strong>di</strong> raccolta, <strong>di</strong> vinificazione in uso in un territorio. Ma anche, alla cultura, alla<br />

tra<strong>di</strong>zione, alla inventiva, al gusto, alle robuste ra<strong>di</strong>ci ed ai nuovi germogli della gente che in quel<br />

territorio vive.<br />

Un vino non <strong>di</strong> beve mai da solo. Con quel vino si beve un territorio.<br />

Faccenda complicata, fare vino. È un’impresa.<br />

Le imprese che operano in questo settore faticano: hai voglia a <strong>di</strong>re che è una vocazione, che si fa<br />

per passione, che occorre cuore. Tutto vero. Ma l’impresa ha aspetti economici che ne determinano<br />

il successo e l’insuccesso non meno della qualità. La sua prova del nove non è solo l’equilibrio dei<br />

tannini e dell’aci<strong>di</strong>tà, del bouquet e d’altri organolettici elementi. Il vino che un vignaiolo produce<br />

si sottopone all’ordalia del mercato che lo giu<strong>di</strong>ca, lo compera, gli assegna un posto negli scaffali<br />

delle enoteche, sulla lista dei ristoranti, nelle cantine degli appassionati o dei semplici consumatori.<br />

Orbene (un orbene qui ci vuole): quasi mai un vino riuscirebbe ad affrontare quest’impresa senza<br />

l’aiuto dello Stato. Che può essere <strong>di</strong> due tipi: in forma <strong>di</strong> sussi<strong>di</strong> oppure in natura <strong>di</strong> buone leggi e<br />

buone infrastrutture per rendere capace <strong>di</strong> affrontare con serietà il mercato chi, il vino, lo produce.<br />

La prima strada, è un falso aiuto: perché nascono vigneti fasulli in terre non vocate a produrre vini<br />

(vini, non bibite alcoliche più o meno ottenute da mosto d’uva), e magari si spiantano antichi vitigni<br />

e buoni vigneti in poggi tra<strong>di</strong>zionalmente ed eccezionalmente adatti a dare splen<strong>di</strong><strong>di</strong> prodotti. Strada<br />

insi<strong>di</strong>osa in genere, a volte fatale, da cui non tutti i regolamenti europei e le leggi nazionali o<br />

regionali si son tenuti e si tengono alla larga.<br />

Buone leggi, invece, sono quelle che fanno regia e tengono l’occhio su tutti i protagonisti che si<br />

muovono sul palco mercato: il produttore, il mescitore, il bevitore. La legge 164 del ’92, quella<br />

sulle Doc e Docg e Igt, insomma sulla tutela delle denominazioni d’origine – vedete che il territorio<br />

entra in scena e la fa da protagonista? – e buoni regolamenti sono quelli che eliminano, o almeno<br />

limitano, il playback e la battuta facile, senz’arte: lo zuccheraggio, ad esempio: tentazione sempre<br />

presente e deleteria nelle politiche della Commissione europea.<br />

Dico tutto questo perché l’Associazione Luigi Veronelli ha animato un bell’incontro fra alcuni<br />

protagonisti della viticoltura nazionale: numerosi parlamentari, tutte le organizzazioni produttive e<br />

il Ministro De Castro. Il quale, senza troppe chiacchiere, ha dato il quadro in cui ci si sta muovendo<br />

per riformare la 164 – riformarla dopo 14 anni è buon senso: non significa stravolgerla ma<br />

aggiustare il tiro – e la riforma degli Ocm, pessimo acronimo (parente solo fonetico degli Ogm:<br />

significa Organizzazioni comuni dei mercati: sono le piazze sulle quali, in concreto, si fa l’Europa).<br />

Il ministro ha portato quasi buone notizie: prossima presidenza portoghese molto affine alla<br />

sensibilità italiana, ma anche quella successiva, tedesca, inaspettatamente prossima alle istanze <strong>di</strong><br />

tutela dei prodotti e dei territori, assieme alla Francia. In poche parole, abbiamo davanti un anno in<br />

cui possono avvenire cose interessanti e positive. Brusio, commenti compiaciuti degli astanti,<br />

interventi costruttivi.<br />

Bene. Forse, nel nome <strong>di</strong> Veronelli, qualche presenza in più l’avrei vista volentieri: quella <strong>di</strong> chi il<br />

vino lo porta al consumatore e quello del bevitore stesso. Quella dei territori, anche, caspita!<br />

Ogni cosa a suo tempo: passi montanari, lenti e lunghi, si ad<strong>di</strong>cono alla tra<strong>di</strong>zione bergamasca.<br />

Mi piace sottolineare un dato registrato fra i numerosi interventi brevi e densi: tutti, ma proprio tutti,<br />

a marcare la necessità della buona e seria ed ampia ed organizzata comunicazione.<br />

Tutti, in buona sostanza, a <strong>di</strong>re con chiarezza che il vino è territorio, che quando si vende vino<br />

italiano si vende territorio, che tante cose potrebbero andare meglio <strong>di</strong> come vanno adesso, ma più<br />

<strong>di</strong> tutte deve migliorare la capacità <strong>di</strong> comunicare il vino italiano. Cioè, <strong>di</strong> comunicare il territorio.<br />

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