Assaggi di fame - Filippo Radaelli
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A pane e acqua<br />
29 novembre<br />
A pane e acqua. Detta così, sa <strong>di</strong> galera. E arriveremo anche a quella: un’amica ha collaborato ad un<br />
libro <strong>di</strong> ricette <strong>di</strong> amici oltre le sbarre. L’ho visto in libreria: bello.<br />
Mi ha promesso che ne parleremo con gli autori. Aspetto.<br />
Ma pane e acqua non è solo il menu che raccontano le cronache <strong>di</strong> vecchie prigioni.<br />
Era un pasto <strong>di</strong>ffuso, consueto per molti. Quando non c’era altro, c’era pane e acqua.<br />
Questa semplice ricetta della <strong>fame</strong> porta oggi molti nomi, e fa tipico. Prendete le friselle salentine:<br />
bagnate e guarnite <strong>di</strong> pomodoro… Da leccarsi i baffi, <strong>di</strong>rebbe Mario Soldati (lo avete letto? Lo<br />
avete almeno comprato in libreria? Ve lo fate regalare per Natale? Vi ricordo anche Paolo Monelli,<br />
dato che ci sono: Il ghiottone errante. E Luigi Veronelli: Alla ricerca dei cibi perduti. Sono i padri<br />
nobili <strong>di</strong> quel che potrebbe essere secondo me un mo<strong>di</strong> intelligente e concreto <strong>di</strong> fare Res Tipica.<br />
Chiusa parentesi).<br />
Le friselle sono una versione più recente dell’antico pane buccellato delle legioni romane: pane<br />
raffermo – spesso azzimo – a forma <strong>di</strong> ciambella, che riprendeva vita bagnato nell’acqua e con<strong>di</strong>to<br />
con l’olio per accompagnarsi ai companatici più vari.<br />
Ma, con i con<strong>di</strong>menti, siamo già a qualcosa <strong>di</strong> più che pane ed acqua. Io, invece, vorrei attenermi<br />
stretto stretto ai due semplici e poverissimi ingre<strong>di</strong>enti..<br />
In tutto il Me<strong>di</strong>terraneo, dove grano e orzo e cereali minori hanno fatto nascere la civiltà del pane, il<br />
pane ha conosciuto il brodo me<strong>di</strong>terraneo. Intendo <strong>di</strong>re che nelle città <strong>di</strong> costa, dove i pescatori e i<br />
naviganti tutti potevano stare in mare per giorni o settimane, un carico <strong>di</strong> pane raffermo - o a bella<br />
posta reso duro da duplice passaggio nel forno - era in<strong>di</strong>spensabile per il nutrimento dei marinai.<br />
I quali usavano il brodo marino per ravvivarlo, restituendogli la morbidezza e commestibilità che<br />
dentazioni malate esigevano più del consueto.<br />
Poco sale nell’impasto, dunque: perché il sale era nel mare.<br />
Naturalmente, olio d’oliva e companatici marini erano benvenuti, ma torniamo ad una complessità<br />
che non è oggi nei calcoli del mio <strong>di</strong>giuno tipico.<br />
Sembra pazzesco, ma le versioni <strong>di</strong> questo assaggio <strong>di</strong> <strong>fame</strong> a pane ed acqua sono proprio tante.<br />
Vado finalmente alla mia preferita, e <strong>di</strong> mia moglie. Siamo ancora in zona <strong>di</strong> costa: valli picentine,<br />
sopra Salerno. Più Me<strong>di</strong>terraneo <strong>di</strong> così, si muore. Ma lo sponzapane sperimentato a Sieti, comune<br />
<strong>di</strong> Giffoni Sei Casali, dal Brigante prima, da Gigi Pennasilico poi, non è da marinai. È da<br />
inten<strong>di</strong>tori. Nasce, probabilmente, dalla versione conta<strong>di</strong>na del pane ed acqua alla pescatora, ma<br />
l’acqua si porta in tavola dentro un vaso coperto da un piatto traforato.<br />
Suppongo che inizialmente si trattasse <strong>di</strong> semplice terraglia, terracotta dozzinale: oggi è ceramica<br />
assai graziosa, Vietri è a due passi e Cava de’ Tirreni pure.<br />
Insomma, si prepara il desco con tutte le stoviglie comandate, sponzapane incluso: al centrotavola,<br />
che non sfigura.<br />
In un cesto, il pane. Pane speciale. Pane <strong>di</strong> grano duro Senatore Cappelli, biscottato. Che, mi hanno<br />
spiegato, si fa così: si prepara l’impasto – fermentazione naturale: garantisce maggiore durevolezza<br />
– e le forme del pane vengon cotte e poi rotte. Non tagliate: rotte, in bocconi grossi, che vanno<br />
rimessi nel forno spento, fino a seccare completamente. Il pan così biscottato è immangiabile, salvo<br />
ottime dentiere. Ma non val la pena <strong>di</strong> arrischiare né incisivi né molari: basta che gli <strong>di</strong>ate una<br />
bagnatina lesta lesta dentro allo sponzapane, e quel pane giallo <strong>di</strong> grano duro Senatore Cappelli<br />
fermentazione naturale biscottato s’ammorbi<strong>di</strong>sce.<br />
Bagnatina, eh? Che oltre, <strong>di</strong>venta pappa e si rovina tutto.<br />
Lasci poi scolare sul piatto traforato che fa da coperchio, e mangi.<br />
Io ne ho fatto scorta mesi fa. Ancora dura. Ancora è buono. Molto buono. Sa <strong>di</strong> grano. Pochi pani<br />
sanno tanto intensamente <strong>di</strong> grano. Lo mangio così, senza niente.<br />
È pane e acqua, sembra para<strong>di</strong>so.<br />
Mi manca solo due cose. Sieti. E gli amici <strong>di</strong> Sieti.<br />
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