vigneto, quella cantina, il territorio (il terroir, <strong>di</strong>cono gli enologi) che lo produce, la cultura <strong>di</strong> cui è il prezioso frutto? Le Strade e le Città del Vino sono un buon argomento a favore della De.Co.. Al Sagrantino, ai mille vitigni antichi, all’antica sete conta<strong>di</strong>na, alla mia sete ed alla vostra, salute! 88
Una Collezione Italiana: che ne pensate? 7 <strong>di</strong>cembre Mi provo a inventariare i <strong>di</strong>giuni tipici che potrei realizzare – e raccontare, ben s’intende – facendo affidamento soltanto sui cataloghi ‘ufficiali’ delle prelibatezze nostrane. Un cospicuo contributo – i quattro quinti – lo portano i prodotti tra<strong>di</strong>zionali registrati in apposito elenco ministeriale: procedendo in rigoroso or<strong>di</strong>ne alfabetico, ’a maritata lucana è al primo posto, gli zwetschgen-und marillenknodel sud-tirolesi (che poi sarebbero i canederli raddolciti con albicocca e prugne) al quattromiladuecentocinquantunesimo. Non muta la graduatoria alfabetica se computiamo al novero le centocinquantacinque Dop e Igp già riconosciute: dall’aceto balsamico <strong>di</strong> Modena allo zampone della medesima città, esse portano il conto a quattromilaquattrocentosei. Poi ci sono le <strong>di</strong>ciotto denominazioni o in<strong>di</strong>cazioni protette per le quali la richiesta è in attesa <strong>di</strong> risposta da Bruxelles: si parte con l’aglio bianco polesano e si finisce con lo zafferano <strong>di</strong> Sardegna. Poi ci sono i vini: perché non c’è <strong>fame</strong> senza che ci sia sete. Cento<strong>di</strong>ciotto sono le Igt, trecentoquarantasette le Doc e trentaquattro le Docg; aggiungerei senz’altro pure centosessanta vitigni antichi, quelli censiti da Ci.Vin: ognuno è una storia. Poi… Poi, per ora, basta: siamo a quota cinquemila e ottantanove: mi pare sufficiente per cominciare. È una bella collezione, non vi sembra? Una collezione italiana. Anzi, una Collezione Italiana: usare le maiuscole ed il corsivo mi sembra d’uopo. Ora: io spero che non ci sia bisogno <strong>di</strong> scrivere queste cinquemila (e ottantanove) storie solo per protesta, per <strong>di</strong>giunare. Penso, né sono il solo, che meritino maggiormente d’essere raccontate se <strong>di</strong>ventano un progetto. Innanzitutto, per salvarne i protagonisti: perché, pur blasonati, molti fra i marchi europei rischiano tuttora l’estinzione. Figuriamoci gli altri, la massa. Insisto, insisto e insisto perché possano <strong>di</strong>ventare un marchio collettivo geografico – Collezione Italiana, vi piace? – che corregga la strada alle Denominazioni Comunali, ma ne riprenda il percorso e l’obiettivo: salvare, appunto, tanta irriproducibile ricchezza, e dargli anche un valore sostenibile per le economie locali. Non solo per i produttori, ma per tutti: per chi vende in bottega, per i ristori, per chi può offrire ospitalità: poi per i musei, le mostre, chi organizza feste, sagre, eventi culturali… Le esperienze che si son mosse su questa via – penso a Mo<strong>di</strong>ca, per tutte – non sono tornate in<strong>di</strong>etro: non si son pentite affatto, anzi. Secondo poi, credo che questo progetto restituisca senso e vitalità all’originario intento dell’Anci con Res Tipica, rete delle reti. Mi pare che sia sempre stata questa l’attrattiva che ha interessato le Associazioni delle Città d’identità. È una rete che fa sviluppo rurale: in tempi <strong>di</strong> declino dell’industria, è un’alternativa anche per le gran<strong>di</strong> città. Penso a Parma, a Verona, a Mantova, perfino a Torino. Ne <strong>di</strong>mentico altre? Ma son solo esempi, mi perdonino gli omessi! Terzo, credo che quest’Italia, questa sovrabbondante Collezione Italiana ere<strong>di</strong>tata assieme agli altri magici incanti del Bel Paese, meriti per sé d’esser raccontata. Ma pure perché muove gente: quella che abita a Roma e non conosce le delizie dei Lepini o della Tuscia, tanto per <strong>di</strong>re. Quella, insomma, che abita città dove il bisogno <strong>di</strong> notti bianche esprime il desiderio <strong>di</strong> trovare o ritrovare brio, identità, cultura. Perché no, piacere. Direi meglio: gusto. Racconto. Questa Collezione Italiana è prima <strong>di</strong> tutto un racconto. Storia <strong>di</strong> cultura. Cultura vera. I Viaggi in Italia <strong>di</strong> Montaigne, <strong>di</strong> Stendhal, <strong>di</strong> Goethe inaugurarono quei Gran Tour che ancora oggi alimentano turismo, sia pur <strong>di</strong> massa, nelle gran<strong>di</strong> Città d’Arte. Quelli <strong>di</strong> Soldati e Veronelli non hanno avuto certo minor ruolo nel restituire forza alla cultura del buon mangiare e del meglio bere: Slow Food o i gastronauti in<strong>di</strong>viduati da Paolini non ci sarebbero senza quei gran<strong>di</strong> racconti. Racconti. Racconti che son guide, vigorose spinte a muoversi, a mettersi in viaggio, alla scoperta <strong>di</strong> tutto quel ben <strong>di</strong> Dio che le città ed i borghi offrono. Pro domo mea, ma con grande convinzione: racconti. Io so fare questo e nei <strong>di</strong>giuni tipici, fin qui, ho cercato e cerco <strong>di</strong> darne mostra. Ma da quel gran <strong>di</strong>giuno tipico in cui indugia ciò che oggi vien chiamato marketing territoriale, così come dal mio, se ne esce solo con un progetto. Un progetto vero, che abbisogna <strong>di</strong> risorse professionali, <strong>di</strong> capacità, <strong>di</strong> sol<strong>di</strong> e, soprattutto, <strong>di</strong> volontà. La mia non manca, né è la sola. Il resto, sono dettagli: ci si accorda. 89
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L’orzata di orzo compare anche ne
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Il giro d'Italia di un fast food me
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Il paradosso è questo: che in cond
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imbratto strade che non dovrei: non
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conventi che rimaneggia al meglio l
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Nota era nota, dunque, questa bacca
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Molto prima del pane e della pasta
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Dove digiuno sostenendo la tipicit
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Che altro? Alcune temibili epidemie
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