Assaggi di fame - Filippo Radaelli
Assaggi di fame - Filippo Radaelli
Assaggi di fame - Filippo Radaelli
- No tags were found...
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
Al Sagrantino, ai mille vitigni antichi,<br />
all’antica sete conta<strong>di</strong>na, alla mia sete<br />
ed alla vostra, salute!<br />
6 <strong>di</strong>cembre<br />
Il Sagrantino <strong>di</strong> Montefalco! Facendo spesa nel supermarket sottocasa e lanciando un’occhiata agli<br />
scaffali del vino, sempre più lunghi, più ricchi e ad<strong>di</strong>rittura or<strong>di</strong>nati per provenienze geografiche,<br />
adocchio due piacevoli sorprese: spiccano il Montiano Falesco, egregio Merlot prodotto nel Lazio,<br />
ed il Sagrantino <strong>di</strong> Montefalco, clamorosa rivelazione umbra degli anni ’90.<br />
Montefalco… Montefalco… Ma non è Sindaco <strong>di</strong> Montefalco, provincia <strong>di</strong> Perugia, il nuovo<br />
Presidente dell’Associazione delle Città del Vino? Certo che lo è, e si chiama Valentino Valentini:<br />
facile da ricordare. Lo ho letto neppure una settimana fa sull’unica notizia aggiornata (le altre,<br />
solamente due, datano settembre) del sito <strong>di</strong> Res Tipica. Che coincidenza!<br />
Dico coincidenza: od è piuttosto un segno? Niente <strong>di</strong> parapsicologico e metapsichico, per carità.<br />
Semplicemente, mi pare il risultato <strong>di</strong> un impegno e <strong>di</strong> un successo de<strong>di</strong>cati da una comunità <strong>di</strong><br />
vignaioli appassionati ad un vitigno autoctono giunto assai prossimo all’estinzione. Salita con<br />
tenacia la china, lavorato duramente sulle vigne come in cantina, il Sagrantino ha rapidamente<br />
conquistato la Doc, e ancor più rapidamente, l’ambitissima Docg: oggi è quel che si <strong>di</strong>ce un cult.<br />
Bene. Il Sagrantino ce l’ha fatta. E gli altri vitigni autoctoni nostrani?<br />
Un paio <strong>di</strong> anni fa uscì un bel Dizionario dei vitigni antichi minori italiani, fatica <strong>di</strong> Attilio Scienza<br />
e d’altri Autori ed e<strong>di</strong>to da Ci.Vin: ricco <strong>di</strong> 160 schede (corredate <strong>di</strong> foto) sui caratteri ampelografici<br />
<strong>di</strong>stintivi <strong>di</strong> ciascun ceppo, sulla sua origine geografica e storica, sulle caratteristiche dell'uva e del<br />
vino ed anche sulle eventuali <strong>di</strong>fficoltà che offrono nella coltivazione.<br />
Una bella foto <strong>di</strong> famiglia. Ahimé, con molte assenze: senza alcuna colpa dei compilatori.<br />
Il fatto è che, delle trecentosessantuno varietà iscritte ufficialmente nel Catalogo Nazionale, non<br />
arrivano a duecento quelle effettivamente ancora coltivate. Niente a confronto con il migliaio e più<br />
censito nel 1873 dal Comitato Centrale Ampelografico. Si capisce: tanta confusione non aiutava a<br />
produrre buona qualità. Sapere che oggi <strong>di</strong>eci (<strong>di</strong>co, <strong>di</strong>eci!) vitigni appena coprono il 50% della<br />
superficie vitata, ci conforta? Che fra questi <strong>di</strong>eci predominano quelli importati – Cabernet, Merlot,<br />
Chardonnay, Sauvignon – ci rassicura?<br />
Quando ho avuto fortuna, ho fotografato come mirabili monumenti i ceppi settantenni della barbera<br />
(m’è capitato a Tigliole, nel Monfrà) o ad<strong>di</strong>rittura centenari <strong>di</strong> Pie<strong>di</strong>rosso, credo (a Tramonti, in<br />
alto, sulla Costiera Amalfitana). E provo sempre una strana ebbrezza a leggere e rileggere le<br />
ricerche certosine riferite dagli ormai spesso (e mai abbastanza) richiamati Monelli, Soldati e<br />
Veronelli. Assieme ai quali, non mi rassegno che si perda un patrimonio costruito a poco a poco per<br />
placare la sete – che sempre accompagna la <strong>fame</strong> – <strong>di</strong> generazioni e generazioni <strong>di</strong> conta<strong>di</strong>ni.<br />
Ma allora, che fare? Siamo sempre lì: rassegnarci? Mai!<br />
Dobbiamo trovare gli strumenti. Il Barolo, l’Amarone ed il Prosecco, il Chianti piuttosto che il Nero<br />
d’Avola o il Primitivo <strong>di</strong> Manduria, hanno percorso strade che hanno fatto scuola. Però non basta.<br />
Anche per i vini, non tutti son fatti per Doc o Docg: non tutti, come il Sagrantino, riescono a<br />
conquistare uno spazio nello scaffale d’un supermarket o almeno d’una rinomata enoteca.<br />
Allora? Allora torno all’idea della Denominazione Comunale e della sua possibile evoluzione<br />
ponderata attraverso i marchi collettivi geografici. Se un vitigno è sulla soglia dell’estinzione,<br />
salviamolo dandogli valore in e per quel territorio dove esso alligna.<br />
Quel Pie<strong>di</strong>rosso lo trovo solo a Tramonti; quella Barbera, a Tigliole. Dove incappo anche in pizze e<br />
mozzarelle <strong>di</strong> bufala da sogno (a Tramonti), in funghi e tume e cugnà leggendari (a Tigliole), e<br />
paesaggi da togliere il fiato, e grotte e chiese rupestri, ed ospitalità <strong>di</strong>screta ed accogliente.<br />
Un viaggio, insomma: quei vitigni antichi, protetti con mezzi sostenibili, <strong>di</strong>ventano un altro<br />
monumento che può muovere flussi turistici interessanti. Già succede. Già il Sagrantino ha la sua<br />
Strada del Vino, e mica in Umbria ci sono solo Perugia e Assisi e Gubbio e Orvieto.<br />
Ecco, il ragionamento è semplice: <strong>di</strong>etro ciascun vino schietto c’è sempre un vitigno, un vigneto,<br />
una cantina. Cosa m’impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> scoprire e consumare quel vino scoprendo quel vitigno, quel<br />
87