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Assaggi di fame - Filippo Radaelli

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Insomma, il lavoro non sarebbe più proprio precario: comincia a <strong>di</strong>ventare un poco flessibile.<br />

Resta poi sempre – non lo <strong>di</strong>mentico – un lavoro molto bello!<br />

Ma la mia buona volontà non basta. Passa il tempo: tutti i giorni, nella stanza della ‘redazione<br />

unica’ <strong>di</strong> via dei Prefetti, la mattina sono io che accendo la luce e che la sera la spengo:<br />

scrivo testi, partecipo a riunioni, avanzo proposte, raccolgo documentazione per le schede.<br />

E aspetto: due pezzi <strong>di</strong> carta da firmare, e lo stipen<strong>di</strong>o. L’amministrazione non mostra fretta.<br />

A marzo compare un verbale <strong>di</strong> conciliazione; prevede pure un risarcimento, se no non vale.<br />

Mi <strong>di</strong>chiaro pronto a ratificarlo assieme al contratto, ancora da scrivere. Ad aprile arriva un<br />

nuovo testo, tutto <strong>di</strong>verso. Arriva anche (era ora!) la bozza <strong>di</strong> contratto: ahimè, stravagante.<br />

IL METAMESSAGGIO<br />

Tanta svogliatezza non è solo in<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> irresponsabile noncuranza. È cinismo eretto a criterio<br />

<strong>di</strong> gestione per mettere in <strong>di</strong>fficoltà e costringere a ingoiare il rospo. Ricorda? “Il lavoro<br />

flessibile è <strong>di</strong>ventato precariato esistenziale, fonte <strong>di</strong> ricatto e <strong>di</strong> per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> <strong>di</strong>gnità”.<br />

Io, fin lì, ero stato <strong>di</strong>sponibile a firmare un atto <strong>di</strong> rinuncia totale ai <strong>di</strong>ritti ‘eventualmente’<br />

maturati con Anci in cambio <strong>di</strong> un contratto giornalistico a part time <strong>di</strong> otto o nove mesi.<br />

Piuttosto che sul passato, avrei preferito scommettere sul futuro: sul progetto, sulla bontà<br />

dell’idea, sullo spazio che Res Tipica può avere, sulle capacità altrui e mie per conquistarlo.<br />

Ma il messaggio, inviato con i prolungati silenzi e le <strong>di</strong>sinvolte <strong>di</strong>lazioni, è giunto forte e chiaro.<br />

Allora, basta: ho detto no. E a luglio è scattata la ritorsione: mi si contesta formalmente che<br />

frequento ‘saltuariamente’ i locali <strong>di</strong> Anci, che uso illegittimamente la sua strumentazione e<br />

che scrivo guide abusando del marchio. Da precario a clandestino, capisce? E sa <strong>di</strong> che guida<br />

si tratta? È quella <strong>di</strong> Città della Nocciola, presentata a Roma il 20 aprile dal Presidente Porcari<br />

e ripetutamente <strong>di</strong>stribuita negli stessi stand <strong>di</strong> Res Tipica!<br />

UN DIGIUNO TIPICO CONTRO IL LAVORO ATIPICO<br />

Non ne faccio un problema personale. Lo è, Dio solo sa se lo è! Di mese in mese sempre più<br />

drammatico, per me e la mia famiglia. Ma la mia storia non è una esecrabile eccezione. Nelle<br />

innumerevoli società facenti capo ad Anci lavorano decine <strong>di</strong> precari. Pare che siano la<br />

maggioranza: come in un call center. Neppure i sindacati conoscono i dati.<br />

I progetti, specie se finanziati con denaro pubblico, dovrebbero servire per sviluppare lavoro<br />

vero, non per alimentare lavoro opaco. Se il precariato, <strong>di</strong>sciplinato da una legge sbagliata e<br />

da correggere, viene usato per <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> manodopera a basso costo e facilmente rescin<strong>di</strong>bile<br />

(ricattabile, <strong>di</strong>rebbe D’Alema) e per adoperarlo contro le professionalità interne, spesso in<br />

sofferenza per altre iniquità, <strong>di</strong>venta quantomeno un problema etico grave, con una sola<br />

risposta possibile: ora, basta.<br />

Non la posso pronunciare sottovoce, non la voglio urlare con rabbia. Mi sono inventato,<br />

perciò, il ‘<strong>di</strong>giuno tipico’: strumento mite, sorridente e risoluto. Mite perché son sempre stati<br />

i miti a conoscer <strong>di</strong> più il sapore della <strong>fame</strong>. Sorridente – che sorridere non fa mai male –<br />

perché sarà una vera degustazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>giuni: “Atipico restipico in <strong>di</strong>giuno tipico”… Be’, dai!<br />

Risoluto, perché non perdo la voglia <strong>di</strong> sorridere, ma la faccenda è maledettamente seria:<br />

perciò <strong>di</strong>giunerò fino a quando saranno ripristinate, con i fatti, la <strong>di</strong>gnità e la serenità dei<br />

lavoratori precari. Comincerò con acqua e pane azzimo: come quello degli schiavi in fuga.<br />

Ho l’amicizia <strong>di</strong> tanti colleghi e la simpatia <strong>di</strong> tanti sindaci che apprezzano il mio lavoro.<br />

Sono certo che non mancherà la loro solidarietà. Ma confido, anche, in una sua iniziativa che<br />

ripristini il rispetto pieno delle regole e, ancor prima, delle norme etiche che hanno sempre<br />

ispirato la migliore tra<strong>di</strong>zione dell’Anci, oggi da Lei autorevolmente presieduta.<br />

Senza lavoro – anche flessibile! – non si può vivere. Ma un lavoro esistenzialmente precario,<br />

nella cruda e veritiera definizione che ne ha dato D’Alema, può essere peggio. Da giovani o<br />

alla nostra veneranda (mezza) età, la <strong>di</strong>fferenza è poca: e non ci è favorevole.<br />

FILIPPO RADAELLI<br />

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