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Assaggi di fame - Filippo Radaelli

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Di De.Co. in meglio<br />

22 novembre<br />

Immaginatevi un raffinato negozio <strong>di</strong> specialità alimentari.<br />

In vetrina espone 4.000, <strong>di</strong>co quattromila prodotti tra<strong>di</strong>zionali, dei quali pubblicizza la genuinità.<br />

Però, non li vende.<br />

Sono lì, esposti in bella mostra, ma non hanno etichetta né prezzo.<br />

Bene: questa vetrina esiste davvero. È un elenco <strong>di</strong> 4.000 prodotti tra<strong>di</strong>zionali raccolto dalle<br />

Regioni italiane e riportato nel decreto 22 luglio 2004 del Mipaf, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale<br />

del 18 agosto 2004 e sul sito www.politicheagricole.it/ProdottiQualita/default.<br />

Il termine prodotti tra<strong>di</strong>zionali è quello esatto, un po’ vago ma almeno non burocratico, adoperato<br />

nell’atto: con esso s’intendono "quei prodotti agroalimentari le cui meto<strong>di</strong>che <strong>di</strong> lavorazione,<br />

conservazione e stagionatura risultino consolidate nel tempo, omogenee per tutto il territorio<br />

interessato, secondo regole tra<strong>di</strong>zionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni".<br />

Come si <strong>di</strong>ce? Una domanda sorge spontanea: a che serve? Se <strong>di</strong>co “A niente” esagero, ma non mi<br />

allontano troppo dalla realtà. Perché l’idea <strong>di</strong> questo elenco era nata per motivi molto simili a quelli<br />

della De.Co., e per gli stessi (ragionevoli) motivi che hanno affossato la Denominazione Comunale<br />

è rimasta lettera morta. Diciamo che serve almeno a censire questi le tipicità e a incoraggiare<br />

qualche eventuale volenteroso a chiedere Igp o Dop. Stop. Tutto qui. Praticamente, niente.<br />

Ma insomma, se ne esce da questa <strong>di</strong>sperazione? I tesori gastronomici corrono lo stesso pericolo <strong>di</strong><br />

estinzione del panda? E, come per il panda, solo organizzazioni no profit possono salvarne qualche<br />

esemplare? Una specie <strong>di</strong> musealizzazione del buono? Un’arca <strong>di</strong> Noè del gusto?<br />

C’è solo da confidare, in buona sostanza, nei presi<strong>di</strong> <strong>di</strong> Slow Food?<br />

Inten<strong>di</strong>amoci: quella della chiocciola è un’attività in<strong>di</strong>spensabile e preziosissima. Guai non ci fosse!<br />

Ma non basta.<br />

Ci vuole il marchio. Su questo, Gino Veronelli aveva in<strong>di</strong>scutibilmente ragione. Ci vuole un sistema<br />

agile <strong>di</strong> garanzie che incoraggi il grande, me<strong>di</strong>o e più spesso piccolo e piccolissimo impren<strong>di</strong>tore<br />

agricolo (che, come tale, fa sempre i conti col portafoglio, oltre che con la passione) a insistere, a<br />

de<strong>di</strong>carsi per portare la propria offerta in un mercato dove la domanda c’è: è solo un mercato che<br />

non viaggia, che non ha la forza <strong>di</strong> salire sui Tir della grande <strong>di</strong>stribuzione. Sta lì, vicino al luogo <strong>di</strong><br />

produzione, per la sua gran parte. Non ha i mezzi né la convenienza per prendere posto sui<br />

containers e viaggiare non <strong>di</strong>co dall’altra parte dell’oceano, ma neppure fino nel vicino capoluogo.<br />

Per contenuto <strong>di</strong> genuinità, <strong>di</strong> lavoro artigianale e <strong>di</strong> cultura e storia, questi prodotti tra<strong>di</strong>zionali<br />

esprimono una gran<strong>di</strong>ssima qualità. Ma proprio per la genuinità delle materie prime e per<br />

l’artigianalità delle modalità <strong>di</strong> produzione sono <strong>di</strong> quantità ridottissima. Avete presente il lardo <strong>di</strong><br />

Colonnata? Il rischio è che si ripeta il clamoroso caso – cui finalmente è stato posto riparo due anni<br />

fa, con il conseguimento dell’Igp europea – <strong>di</strong> un business speculativo aumme aumme, con più<br />

prodotto in giro <strong>di</strong> quanto se ne possa realmente produrre a Colonnata.<br />

Ci vuole il marchio, ripeto. E Roberto De Donno <strong>di</strong>ce che c’è: gli da nome e cognome: si chiama<br />

marchio collettivo geografico. Per <strong>di</strong>re la verità, non è l’unico a <strong>di</strong>rlo: lui però porta gli argomenti<br />

delle scienze giuri<strong>di</strong>che e del marketing e, nero su bianco, pubblica tutto su un testo articolato uscito<br />

per i tipi della Giuffrè: specializzata, appunto, in collane giuri<strong>di</strong>co-economiche. Che si vuole <strong>di</strong> più?<br />

Non mi provo neppure a farne una sintesi <strong>di</strong> "Le denominazioni Comunali: opportunità <strong>di</strong> sviluppo<br />

territoriale - Identità, tra<strong>di</strong>zione e mercato": merita d’esser letto, al massimo sorvolando il primo<br />

capitolo, il meno pregnante. Ma il cuore lo si trova nel successivo, e cade esattamente a pagina 138,<br />

dove si enumerano i vantaggi dell’emmecigì rispetto alla De.Co.: è perfettamente compatibile con<br />

la normativa comunitaria, certifica la qualità, certifica l’origine, non è vincolato al territorio d’un<br />

singolo Comune, tutela l’esclusività dell’uso, garantisce la repressione <strong>di</strong> imitazioni e contraffazioni<br />

e, infine, ma rilevante, affida i controlli a terzi, assicurando imparzialità.<br />

L'ho detto tutto d'un fiato. Vi ho già convinti? Un attimo: non è quel che volevo. Non è deciso<br />

niente. Prudenza: ci vuole sempre un po' <strong>di</strong> saggia prudenza.<br />

A parer mio, bisogna semplicemente <strong>di</strong>scuterne. L’argomento è stimolante.<br />

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