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Assaggi di fame - Filippo Radaelli

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Pomodori ver<strong>di</strong> fritti sofferti<br />

13 ottobre<br />

’Sta storia dei pomodori ver<strong>di</strong> fritti sembra che abbia fatto davvero un po’ chiasso.<br />

Non è solo l'amico Quirino Briganti, presidente della Comunità montana dei Monti Lepini, a voler<br />

sapere com’è andato a finire l’esperiemento: espressioni perplesse ne ho raccolte in giro un bel po'.<br />

Colgo intanto l’occasione per segnalarvi le sagre della castagna a Montelanico il 13-15 ottobre, a<br />

Segni il 18-22 ed a Carpineto Romano il 27-29; nonché, sempre da domani a domenica 15, quella <strong>di</strong><br />

Rocca <strong>di</strong> Papa.<br />

Che c’entra con i pomodori? Niente. E' solo un tentativo astuto <strong>di</strong> depistaggio, perché…<br />

Beh… Se debbo <strong>di</strong>rla tutta… Ok, ecco la verità: i problemi sono iniziati con uno degli ingre<strong>di</strong>enti.<br />

Tre cucchiai <strong>di</strong> grasso <strong>di</strong> pancetta, dove li vai a trovare?<br />

Pancetta, a casa, ne avevo, ma in scaglie: avrei dovuto separare il grasso dalla carne, poi avere<br />

speranza e pazienza <strong>di</strong> scioglierlo in padella. Strutto? Non ci avevo pensato per tempo, in <strong>di</strong>spensa<br />

non ce l’ho.<br />

Per sagace suggerimento, ho sostituito il problematico lipide con più banale olio da frittura,<br />

limitandomi a soffriggere poi un po’ <strong>di</strong> pancetta per insaporire la salsa.<br />

C’è anche che io non sono né Idgie né Ruth: ai fornelli riesco come immagino fosse capace<br />

Smokey.<br />

Voglio <strong>di</strong>re: passare nell’uovo le fette <strong>di</strong> pomodoro verde è facile: dopo devi però anche passare tre<br />

volte lo straccio sul pavimento: l’uovo è <strong>di</strong>abolico!<br />

Quanto all’impanarle… lasciamo perdere! Come fai ad impanare delle fette che sono tutta buccia,<br />

mentre la polpa sugosa sgattaiola via e lascia il vuoto al centro?<br />

Però, alla fine, qualcosa è venuto fuori. Non solo ne ho mangiato io la sera stessa, ed anche uno dei<br />

miei tre ragazzi, senza subire conseguenze gravi: ma ieri ho finito gli avanzi riscaldando tutto in un<br />

padellino: e mi son leccato i baffi.<br />

No, no, <strong>di</strong>co sul serio: forse è che l’unto era finalmente tutto assorbito dallo scottex, ma il<br />

manicaretto è risultato assolutamente gustoso. Davvero! Molto gustoso.<br />

Che strano: a pranzo, in compagnia <strong>di</strong> due care amiche, per restare in tema, mi ero preso un succo <strong>di</strong><br />

pomodoro con<strong>di</strong>to. Credevo fosse considerato un or<strong>di</strong>nario aperitivo analcolico: io lo bevo spesso.<br />

Invece leggevo sulla loro faccia un eloquente bleah.<br />

Insomma: il pomodoro, ennesimo ortaggio americano per nascita, ma più degli altri assolutamente<br />

italiano per gastronomia, non lo si riuscie a vedere che nel sugo per la pasta o sulla pizza?<br />

Allora insisto: ancora pomodoro. E pomodoro insolito. Nell’impasto del pane. Nella puccia.<br />

Ove puccia sincopa pucciddatu, che a Lecce e nel Salento traduce il latino buccellatum, il pane<br />

adoperato dai legionari romani, cosidetto forse per la forma a ciambella (bucca, cioè bucata), o<br />

forse perché sbocconcellato durante le marce.<br />

Viaggiando i legionari, viaggiò anche il buccellatum, magari grazie agli amori con le bellezze<br />

autoctone, ed ovunque se ne trova la <strong>di</strong>scendenza: el buzzoeà nel Veneto, il buccellato a Lucca, la<br />

cuzzòla in Lucania, lu guccellatu, o gucciddràtu, nella Calabria ionica, lu cucciddatu nel siciliano<br />

Belice e la puccia, appunto, nel Salento. Una vera ni<strong>di</strong>ata sfornata in ogni dove.<br />

Fatto è che l’o<strong>di</strong>erna e variegata stripe della prima progenie latina, che era biscottata e, perciò,<br />

particolarmente adatta a mantenersi commestibile durante le lunghe scarpinate sulle vie consolari o<br />

la navigazione dell’augusta flotta imperiale.<br />

Le derivazioni locali d’oggi, invece, sono quasi sempre morbide e spugnose. Come la puccia,<br />

precisamente: tant’è che a Lecce si <strong>di</strong>ce mad<strong>di</strong> comu'na puccia: morbida come una puccia.<br />

La quale si presenta in forma <strong>di</strong> pagnottella (invero un po’ ruvida d’aspetto: è una morbidezza<br />

interiore…) farcita <strong>di</strong> olive nere del Salento (puccia cu l'aulìe) o <strong>di</strong> uva passa, e magari imbottita<br />

con franfullichi (pescolini marinati) o, nella versione rustica (quella che ho adottato per l’o<strong>di</strong>erna<br />

degustazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>giuno) del pane purecasciu, con cipolla tritata, pomodoro e peperoncino piccante<br />

– che colorano <strong>di</strong> splen<strong>di</strong>de screziature rossicce l’impasto giallino <strong>di</strong> acqua e farina <strong>di</strong> grano tenero.<br />

Viva la puccia col pomodoro! Prosit.<br />

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