Rompi<strong>di</strong>giuno per festa <strong>di</strong> laurea 13 novembre Oggi il maggiore dei ragazzi si laurea. Laurea breve, poi viene il bello (sperando non finisca cocoprò). Ma intanto, dopo un liceo svogliato, ha preso ritmo, ha puntato dritto al risultato e, senza perdere un esame, ce l’ha fatta. Vorrei poterlo festeggiare come merita, ma capirete: non me lo posso permettere con lo stipen<strong>di</strong>o da precario, figuriamoci senza neppure quello. La buona idea – un ripiego, certamente: ma è una buona idea ugualmente, per una festa <strong>di</strong> bocche ghiotte – l’ha avuta lui. Pizzelle. Pizzelle fritte. Ne an<strong>di</strong>amo pazzi. Pasta <strong>di</strong> pane in piccoli bocconi immersi, bagnati a pioggia e rigirati a gonfiarsi nell’olio bollente meno d’un minuto, messi a scolare su carta da cucina, portati nel piatto cal<strong>di</strong> da ustione: una fossetta scavata per una pozzangherina <strong>di</strong> sugo <strong>di</strong> pomodoro, una nevicata <strong>di</strong> parmigiano, e via al sublime go<strong>di</strong>mento. Le pizzelle vengono <strong>di</strong>rettamente dalla cultura popolare partenopea, dal gusto per la variante, dall’abbondanza d’olio e <strong>di</strong> fritture: sempre pizza sono. La puntata precedente, destinata a celebrare l’antica tra<strong>di</strong>zione, è stata fra quelle più ricche <strong>di</strong> mail con commenti e segnalazioni. Una persona molto cara mi invita – a proposito, accetto. Quando? – in un locale romano, in Prati, dove fanno delle pizze ovali lavorate e guarnite in modo insolito e che chiamano pinse: è uno degli etimi <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>cevo in quell’occasione. Uno straor<strong>di</strong>nario amico <strong>di</strong> mail, Tarcisio Cleri, colto, esuberante ed ottimo funzionario del Comune <strong>di</strong> Urbania, mi segnala una questione <strong>di</strong> campanilismo: dove intendo non liti fra campanili, ma fra campani. I tramontani, cioè gli abitanti <strong>di</strong> Tramonti, sui monti Lattari (ottima acqua, ottimi formaggi, ottima pasta e, adesso scopro, anche ottima pizza) riven<strong>di</strong>cano l’origine tramontana, appunto, della pizza napoletana: tutto su www.tramontipizza.org. La cosa sarebbe confermata dal gran numero <strong>di</strong> pizzaioli tramontani sia nella regione che in Italia e all’estero. Potrebbe essere: resta certo che è piatto rurale, <strong>di</strong> gente in moto, come Enea, ricordate?, ha <strong>di</strong>mostrato. Nel suddetto sito trovo anche un etimo originale: “La parola Pizza venne successivamente in seguito a varie trasformazioni, che dal <strong>di</strong>aletto ne hanno fatto una parola del vocabolario italiano. Il tutto cominciò con il fatto che la porzione <strong>di</strong> pasta, inevitabilmente piccola rispetto alla massa dell’impasto, in <strong>di</strong>aletto tuttora viene in<strong>di</strong>cato con nu piezz’ , che vuol <strong>di</strong>re un pezzetto, e che imponendosi come pietanza volse al femminile <strong>di</strong>ventando na pizz’. Entrando nelle bocche <strong>di</strong> tutti, a pizz’ inevitabilmente entrò anche in quella dei colti che forgiano il vocabolario per cui, italianizzandosi, <strong>di</strong>venne pizza”. Potrebbe essere anche questo. Mi interessa <strong>di</strong> più, nel caso in questione, passare per Tramonti e mangiarmi una pizza lì: mordere pizza tramontana (vai a vedere che il vento famoso viene da lì, o lì si <strong>di</strong>rige: e per questo così si chiama!) e Tramonti stessa: che, a quanto so, non è da meno. Per l’etimo, invece, continuo personalmente a preferire quello da pistor, che vuol <strong>di</strong>re, lo ricordo, fornaio. E qui un’altro amico <strong>di</strong> mail, Tiziano Carradori, giornalista toscano che conosce cosa significa la parola e la sostanza del termine solidarietà, mi segnala: “E allora c'è posto anche per Pistoia, nella tua gustosa - e dotta - <strong>di</strong>gressione romanil-pizzesca. Il nome della nostra città deriva infatti da pistoria (forno) o pistores (i fornai che impastavano il pane) perchè l’originaria cittadella sarebbe stato un luogo <strong>di</strong> approvvigionamento per le legioni (romane) che combattevano lì intorno. E poi pitta oltre che derivare dal greco e essere in uso tra gli arabi e gli ebrei, lo è anche tra i bosniaci, dei quali è uno dei piatti più tra<strong>di</strong>zionali e conosciuti. Anche loro si mangiano la pasta (in genere arrotolata) farcita <strong>di</strong> varie carni e/o verdure. La cucinano in forno dopo aver impastato la farina con acqua e olio rigorosamente <strong>di</strong> semi e averla stesa fino ad ottenere un velo sottilissimo. Tutto ciò per la famosa completezza dell’informazione”. Obbe<strong>di</strong>to alle esigenze deontologiche richiamate dal collega e caro amico, chiudo con due osservazioni: che la pizza è, alla fine, sostanzialmente molteplice e me<strong>di</strong>terranea. E che è un piatto certamente povero, ma degno anche d’una festa <strong>di</strong> laurea. 66
Unico problema: birra o vino? Mi risolvo con salomonica saggezza: tutti e due! Oggi sarà un festoso rompi<strong>di</strong>giuno. 67
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L’orzata di orzo compare anche ne
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Il giro d'Italia di un fast food me
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