Il cibo è esplorazione. Molto <strong>di</strong> più. Il cibo è comunicazione. Comunica identità. Comunica storie. Ecco: è una esplorazione <strong>di</strong> storie. Navigare il Me<strong>di</strong>terraneo, come Ulisse, o su Internet, come è possibile fare oggi, significa mettersi in una <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong> comunicazione. Per <strong>di</strong>rla con Davide Paolini, tutti possiamo essere gastronauti. Gastronauti <strong>di</strong> terre golose. 80
A pane e acqua 29 novembre A pane e acqua. Detta così, sa <strong>di</strong> galera. E arriveremo anche a quella: un’amica ha collaborato ad un libro <strong>di</strong> ricette <strong>di</strong> amici oltre le sbarre. L’ho visto in libreria: bello. Mi ha promesso che ne parleremo con gli autori. Aspetto. Ma pane e acqua non è solo il menu che raccontano le cronache <strong>di</strong> vecchie prigioni. Era un pasto <strong>di</strong>ffuso, consueto per molti. Quando non c’era altro, c’era pane e acqua. Questa semplice ricetta della <strong>fame</strong> porta oggi molti nomi, e fa tipico. Prendete le friselle salentine: bagnate e guarnite <strong>di</strong> pomodoro… Da leccarsi i baffi, <strong>di</strong>rebbe Mario Soldati (lo avete letto? Lo avete almeno comprato in libreria? Ve lo fate regalare per Natale? Vi ricordo anche Paolo Monelli, dato che ci sono: Il ghiottone errante. E Luigi Veronelli: Alla ricerca dei cibi perduti. Sono i padri nobili <strong>di</strong> quel che potrebbe essere secondo me un mo<strong>di</strong> intelligente e concreto <strong>di</strong> fare Res Tipica. Chiusa parentesi). Le friselle sono una versione più recente dell’antico pane buccellato delle legioni romane: pane raffermo – spesso azzimo – a forma <strong>di</strong> ciambella, che riprendeva vita bagnato nell’acqua e con<strong>di</strong>to con l’olio per accompagnarsi ai companatici più vari. Ma, con i con<strong>di</strong>menti, siamo già a qualcosa <strong>di</strong> più che pane ed acqua. Io, invece, vorrei attenermi stretto stretto ai due semplici e poverissimi ingre<strong>di</strong>enti.. In tutto il Me<strong>di</strong>terraneo, dove grano e orzo e cereali minori hanno fatto nascere la civiltà del pane, il pane ha conosciuto il brodo me<strong>di</strong>terraneo. Intendo <strong>di</strong>re che nelle città <strong>di</strong> costa, dove i pescatori e i naviganti tutti potevano stare in mare per giorni o settimane, un carico <strong>di</strong> pane raffermo - o a bella posta reso duro da duplice passaggio nel forno - era in<strong>di</strong>spensabile per il nutrimento dei marinai. I quali usavano il brodo marino per ravvivarlo, restituendogli la morbidezza e commestibilità che dentazioni malate esigevano più del consueto. Poco sale nell’impasto, dunque: perché il sale era nel mare. Naturalmente, olio d’oliva e companatici marini erano benvenuti, ma torniamo ad una complessità che non è oggi nei calcoli del mio <strong>di</strong>giuno tipico. Sembra pazzesco, ma le versioni <strong>di</strong> questo assaggio <strong>di</strong> <strong>fame</strong> a pane ed acqua sono proprio tante. Vado finalmente alla mia preferita, e <strong>di</strong> mia moglie. Siamo ancora in zona <strong>di</strong> costa: valli picentine, sopra Salerno. Più Me<strong>di</strong>terraneo <strong>di</strong> così, si muore. Ma lo sponzapane sperimentato a Sieti, comune <strong>di</strong> Giffoni Sei Casali, dal Brigante prima, da Gigi Pennasilico poi, non è da marinai. È da inten<strong>di</strong>tori. Nasce, probabilmente, dalla versione conta<strong>di</strong>na del pane ed acqua alla pescatora, ma l’acqua si porta in tavola dentro un vaso coperto da un piatto traforato. Suppongo che inizialmente si trattasse <strong>di</strong> semplice terraglia, terracotta dozzinale: oggi è ceramica assai graziosa, Vietri è a due passi e Cava de’ Tirreni pure. Insomma, si prepara il desco con tutte le stoviglie comandate, sponzapane incluso: al centrotavola, che non sfigura. In un cesto, il pane. Pane speciale. Pane <strong>di</strong> grano duro Senatore Cappelli, biscottato. Che, mi hanno spiegato, si fa così: si prepara l’impasto – fermentazione naturale: garantisce maggiore durevolezza – e le forme del pane vengon cotte e poi rotte. Non tagliate: rotte, in bocconi grossi, che vanno rimessi nel forno spento, fino a seccare completamente. Il pan così biscottato è immangiabile, salvo ottime dentiere. Ma non val la pena <strong>di</strong> arrischiare né incisivi né molari: basta che gli <strong>di</strong>ate una bagnatina lesta lesta dentro allo sponzapane, e quel pane giallo <strong>di</strong> grano duro Senatore Cappelli fermentazione naturale biscottato s’ammorbi<strong>di</strong>sce. Bagnatina, eh? Che oltre, <strong>di</strong>venta pappa e si rovina tutto. Lasci poi scolare sul piatto traforato che fa da coperchio, e mangi. Io ne ho fatto scorta mesi fa. Ancora dura. Ancora è buono. Molto buono. Sa <strong>di</strong> grano. Pochi pani sanno tanto intensamente <strong>di</strong> grano. Lo mangio così, senza niente. È pane e acqua, sembra para<strong>di</strong>so. Mi manca solo due cose. Sieti. E gli amici <strong>di</strong> Sieti. 81
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Assaggi di fame Cento degustazioni
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PROLOGO Un digiuno tipico contro il
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L’orzata di orzo compare anche ne
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Il giro d'Italia di un fast food me
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Il paradosso è questo: che in cond
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imbratto strade che non dovrei: non
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conventi che rimaneggia al meglio l
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Nota era nota, dunque, questa bacca
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