Assaggi di fame - Filippo Radaelli
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A parte i quaranta giorni nel deserto, non mi pare che i Vangeli riportino altre simili occasioni,<br />
mentre ai convivi e gli inviti a pranzo si alternano le preoccupazioni per sfamare le folle.<br />
Sul piano generale, non compaiono mai sollecitazioni alla frugalità: per tutte, valga la citazione da<br />
Matteo: “Guardate gli ucceli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano granai; eppure il<br />
Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più <strong>di</strong> loro? (…) Non affannatevi dunque<br />
<strong>di</strong>cendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose<br />
si preoccupino i pagani; il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno”.<br />
Sa che ne avete bisogno! Mica “Contentatevi”. Sa che ne avete bisogno.<br />
Quanto al piano personale, non si intuisce neppure particolare inclinazione del Nazareno per<br />
nutrimenti <strong>di</strong> tipo penitenziale. Nell’imminenza della crocifissione, quando gli <strong>di</strong>edero vino<br />
mescolato col fiele – amaro farmaco che pure avrebbe dovuto attenuare la sofferenza – “egli,<br />
assaggiatolo, non ne volle bere”.<br />
Al contrario <strong>di</strong> molti mistici cristiani e pre-cristiani, sembra dunque che il Messia non avesse<br />
nessuna particolare considerazione, prima che inclinazione, né per il <strong>di</strong>giuno né per il cattivo<br />
mangiare.<br />
Nessuna ostilità, si ba<strong>di</strong>, verso queste forme <strong>di</strong> purificazione: Giovanni il Battista mangiava miele<br />
selvatico e locuste; prima <strong>di</strong> mettersi a sua volta in strada per pre<strong>di</strong>care, il Galileo si reca da lui e da<br />
lui si fa battezzare.<br />
Dovremmo dedurne due mo<strong>di</strong> antitetici <strong>di</strong> vivere la santità? In risposta a questa domanda sono le<br />
parole pronunciate da Gesù e riportate, in maniera pressochè identica, sia da Matteo che da Luca:<br />
“È venuto Giovanni, che non mangia pane e non beve vino, e hanno detto: “Ha un demonio”. È<br />
venuto il figlio dell’Uomo, che mangia e beve, e <strong>di</strong>cono: “Ecco un mangione ed un beone, amico<br />
dei pubblicani e dei peccatori”. Ma alla sapienza è stata resa giustizia dalle sue opere”.<br />
Per questo pre<strong>di</strong>ligo, fra i due quadri del Caravaggio, quello più sconcertante perché più chiassoso<br />
ed opulento. È il più ‘vero’, è il più fedele. In tutti i sensi. Appartiene a quella lettura innovativa,<br />
penetrante, inquietante, del messaggio evangelico che il Merisi rappresentò in numerosi altri <strong>di</strong>pinti<br />
d’argomento sacro. Appare egli stesso schiettamente coinvolto e turbato: molto più che un<br />
Leonardo davanti al compito <strong>di</strong> interpretare l’Ultima Cena.<br />
A proposito del coinvolgimento, il quadro della Cena in Emmaus presenta un’ultimo aspetto, non<br />
nuovo negli espe<strong>di</strong>enti artistici dell’epoca, ma degno <strong>di</strong> essere sottolineato. La <strong>di</strong>sposizione dei<br />
posti lascia come lo spazio per tirarvi dentro chi guarda.<br />
Sembra quasi che non ci sarebbe nulla <strong>di</strong> male ad avvicinarsi per ascoltare e, intanto, allungare la<br />
mano e staccare qualche acino al grappolo d’uva quasi in bilico sul bordo del tavolo.<br />
Quanto a me, io mi sento un po’ come l’oste, in pie<strong>di</strong> in un angolo, pur in atteggiamento partecipe.<br />
Sono attento, capisco che avviene qualcosa, ne sono colpito. Guardo. Taccio. Scruto. Considero<br />
bello che si mangi, mi compiaccio che si mangi bene: come per l’oste, la cura del mangiare fa un<br />
po’ parte del mio mestiere.<br />
Ma, anche seduti a tavola, non necessariamente il mangiare sta al centro dei pensieri.<br />
Per me cronista, come per l’oste, tutto questo merita me<strong>di</strong>tativo rispetto.<br />
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