Bisogna <strong>di</strong>scuterne, approfon<strong>di</strong>re, mo<strong>di</strong>ficare. E sperimentare. Come, con successo, è successo per la De.Co. a Mo<strong>di</strong>ca, che in appen<strong>di</strong>ce viene raccontata nello stesso testo. Iniziate anche voi a pensare che anche il pane casereccio mo<strong>di</strong>cano, la fava cottoja ed il tumuzzu son salvi? E che ci meritiamo un ciocco-break fuori programma? 78
Ed egli mangiava e beveva il vino, con gusto, in silenzio 28 novembre Ulisse, grande assaggiatore: che ve ne pare? Parlavo <strong>di</strong> denominazioni d’origine e l’ho buttata lì, perfino fra due parentesi. Ma l’affermazione, a questo modo, rimane un po’ appesa, vero? Eppure, è un fatto. E, con O<strong>di</strong>sseo, oggi sarà un <strong>di</strong>giuno me<strong>di</strong>terraneo. Già che ci sono, preparo per tre: c’è un altro illustre convitato. Lo evoca nelle orecchie la voce seria, ispirata, <strong>di</strong> Roberto Benigni che declama il vigoroso sprone che l’esule attribuisce all’argivo – migrante forzato come lui – per esortare i compagni a seguirlo nell’esplorazione oltre gli estremi limiti del mondo: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza” (Inferno, XXVI, 118-120). Parole da filosofo, più che da sciaguratissimo profugo. L’idea che ci siamo fatta noi moderni, riguardo a Ulisse (che gli piacesse da morire fare il giramondo, l’avventuriero: avventure eroiche o sentimentali che fossero) è un po’ deformata rispetto alla realtà e la si deve a quella che <strong>di</strong> lui costruirono gli antichi, fino proprio all’Alighieri. Era considerato, più che altro, un grande sapiente: un presocratico, per <strong>di</strong>rla filosoficamente. Uno sperimentatore presocratico. Si pensi come il vocabolo sapere, d'origine indeuropea, significhi contemporaneamente, nel latino parlato come in italiano, aver sapore ed esser savio. All’estremo opposto, il termine sciocco, significa che è privo, o quasi privo, <strong>di</strong> sale, che non ha giu<strong>di</strong>zio, senno, criterio, intelligenza. L’etimologia <strong>di</strong> sciocco è incerta: viene in genere derivata da ex succus, che vale senza sugo. Il senso originario <strong>di</strong> sciocco, vivissimo in Toscana, è come si sa, senza sale, insipido, ed il traslato, analogo a quello italiano, è già latino, e lo usa Quintiliano contro un oratore insipiente. Sto <strong>di</strong>vagando: ma, citando Dante, non potevo non ricordare un prodotto tipicissimo toscano quale è il pane sciocco: pane senza sale, appunto. Ottimo, il pane insipido, per companatici assai salati, come certi salumi, o pesci in salamoia, o altre ghiottonerie toscane. Ed il Poeta ne esprime la nostalgia struggente in altri ed altrettanto celebri versi. Mettete la voce <strong>di</strong> Bengni e recitate: “Tu proverai sì come sa <strong>di</strong> sale lo pane altrui” (Para<strong>di</strong>so XVII, 58 s.). Il loro senso è inequivocabile, ad un toscano: la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> ospiti esuli dalle proprie contrade significa essere costretti a mangiare sempre, solo e niente altro che pane salato. Per avere un'idea <strong>di</strong> che vuol <strong>di</strong>re, provate a immaginare voi in Toscana, a mangiare sempre e soltanto pane sciocco! Vale anche per Ulisse. Nei <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong> periglioso viaggio per tornare a casa, mangia <strong>di</strong> tutto e tutto sperimenta: è vero. Ma i sapori lasciati a casa sua gli restano dentro, desiderio alto come quello <strong>di</strong> ritrovar Penelope, pur essendo concupito dall’amore d’altre donne (e che donne) e perfino <strong>di</strong> dee e semidee: Calipso e Circe. È intensamente attaccato – attraverso una nostalgia vitale, progettuale, protesa verso il futuro – alla propria terra: a quella minuscola ma in<strong>di</strong>spensabile isola che è, per lui, Itaca. Quando, finalmente, arriva a casa sotto mendaci spoglie, fa chiacchierare il servo Eumeo, che gli enumera le meraviglie della grande azienda agricola usurpata dai Proci ma <strong>di</strong> cui il figlio <strong>di</strong> Laerte è ancora legittimo proprietario. Al termine, accetta la semplice offerta <strong>di</strong> due prodotti dell’azienda: una ciotola <strong>di</strong> vino dolcissimo e un arrosto <strong>di</strong> maiale allo spiedo, cosparso <strong>di</strong> farina bianca. “Ed egli mangiava e beveva il vino, con gusto, in silenzio”, annota Omero (O<strong>di</strong>ssea, XIV, 109 s.). Incre<strong>di</strong>bile, questo Ulisse che vorremmo navigato viaggiatore e che degusta con tale ispirazione le cose <strong>di</strong> casa propria! Ha ancora in bocca tanti sapori esotici, magnifici, conosciuti nel suo lungo viaggio: il vino dei Ciconi e quello, eccellente, dei Ciclopi, gli ottimi pecorini <strong>di</strong> Polifemo, gli squisiti arrosti dei Feaci… Aveva perfino cenato con la ninfa Calipso, che si nutriva <strong>di</strong> ambrosia e <strong>di</strong> nettare: sapori accessibili solo agli immortali. Solo una volta rifiutò anche un semplice assaggio: lasciò lì, infatti, il cibo preparato coi fiori <strong>di</strong> loto. Nutrendosi <strong>di</strong> quella strana pietanza, avrebbe perso con essa il ricordo <strong>di</strong> casa. Arrischiare nuove conoscenze senza perdere la memoria <strong>di</strong> quelle ere<strong>di</strong>tate dalla nostra storia: questo è il segreto per gustare il sapore delle cose. Questo dà vera sapienza. 79
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Il paradosso è questo: che in cond
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