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Assaggi di fame - Filippo Radaelli

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Bostrengo, per gli affamati <strong>di</strong> Cuccagna<br />

4 <strong>di</strong>cembre<br />

Chi crede che la <strong>fame</strong> sia solo un triste morso allo stomaco, non è mai stato realmente affamato.<br />

La <strong>fame</strong>, come l’hanno conosciuta generazioni <strong>di</strong> affamati veri, è bisogno <strong>di</strong> cibo, senza dubbio.<br />

Malgrado ciò, non c’è affamato che non sogni <strong>di</strong> lenire quel morso nel modo più piacevole che può.<br />

Pensate al Paese della Cuccagna, che appartiene alla mitologia alimentare degli affamati più <strong>di</strong><br />

qualunque altra Utòpia; e pensate alla popolarità delle mangiate pantagrueliche, espressione<br />

nobilmente letteraria <strong>di</strong> miserissima, nerissima ed atavica <strong>fame</strong>.<br />

La <strong>fame</strong>, dunque, non è per nulla insensibile ai sapori e necessita <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfare le necessità papillari<br />

del palato non meno che quelle metaboliche della pancia.<br />

La necessità <strong>di</strong> dolcezza, per esempio, è una componente insopprimibile della <strong>fame</strong>. Frutto <strong>di</strong> quella<br />

urgenza sono dolciumi semplici ed irresistibili, come la polenta fritta spolverata con un poco <strong>di</strong><br />

zucchero, o ghiottonerie più o meno sorprendentemente ricche <strong>di</strong> ingre<strong>di</strong>enti e <strong>di</strong> varianti.<br />

Il bostrengo è una <strong>di</strong> queste.<br />

La mia esperienza <strong>di</strong> bostrengo va per gra<strong>di</strong>. Comincia con una sommaria documentazione su<br />

Urbania, Città della Ceramica, dove incontro per la prima volta l’insolito nome. Mi sollecita a breve<br />

ricerca sul web: origini germanico-longobarde, forse da brusta, che starebbe per brace, dove poteva<br />

essere originariamente cotto il complesso impasto. Le varianti e le derivazioni fonetiche sono<br />

innumerevoli: tanto per <strong>di</strong>re, la Romagna ha registrato nell’elenco dei prodotti tra<strong>di</strong>zionali il<br />

bustrengo, bustrenga, bustrèng, bustèngh; le Marche il bostrengo, che da qualche parte chiamano<br />

anche fustengo. Versioni salate, ad<strong>di</strong>rittura con patate e cavolo, ma molto simili per la forma<br />

schiacciata e l’amalgama ricco <strong>di</strong> ingre<strong>di</strong>enti, si trovano in alta Umbria, Toscana appenninica ed<br />

alto Abruzzo, sotto il nome <strong>di</strong> brustengo o brostengo. Per i nomi, mi fermo qua, mi pare che basti.<br />

Una telefonata a Tarcisio Cleri, sapiente e sollecito funzionario comunale, e definitivamente mi<br />

appassiono alla ricetta: assieme alle melanzane col cioccolato incontrate a Cava de’ Tirreni, è la<br />

scoperta <strong>di</strong> golosità più stuzzicante <strong>di</strong> quell’eccitante vagabondaggio, ahimé in parte virtuale, fra le<br />

preziose terre dei figoli.<br />

Del bostrengo trascrivo, infine: “fatto con pane raffermo e un ricco concentrato <strong>di</strong> ingre<strong>di</strong>enti<br />

sapientemente dosati: noci, nocciole, uva passa, fichi secchi, riso, farina <strong>di</strong> mais o <strong>di</strong> grano, fettine<br />

<strong>di</strong> mela e <strong>di</strong> pera, latte, cacao... Amen!”. Amen sacrosanto: l'assaggio fu a lungo platonico,<br />

contrariamente che per le meravigliose melanzane cavesi.<br />

Finché Tarcisio ebbe, una anno fa, la bella idea <strong>di</strong> fare un salto a Roma e <strong>di</strong> incontrarci lui e la<br />

moglie Anna, e fare un giretto, insieme, d’un mezzo pomeriggio. Abbastanza per <strong>di</strong>ventare amici.<br />

Ssssst! Non <strong>di</strong>teglielo! Speravo portasse del bostrengo. Altri esagerati presenti, il pro<strong>di</strong>go Tarci:<br />

bostrengo, però, no. Riamen!<br />

Arriva il tempo del <strong>di</strong>giuno tipico. Tarcisio, come molti, non manca <strong>di</strong> starmi vicino, <strong>di</strong> scrivermi<br />

affettuoso e solidale, e <strong>di</strong> darsi subito da fare alla mia richiesta <strong>di</strong> cercare se qualcuno, lì intorno,<br />

sull’Appennino alto-marchigiano, fa ancora pane <strong>di</strong> ghianda, che un tempo abbondava come il pane<br />

<strong>di</strong> castagna. Niente. Gli ultimi lo sfornavano un paio <strong>di</strong> decine d’anni fa: prodotto <strong>di</strong> antiche miserie<br />

che i nostri palati non gusteranno (forse) più.<br />

Quando legge, però, in uno dei miei assaggi <strong>di</strong> <strong>fame</strong>, <strong>di</strong> mostarda e <strong>di</strong> mosto cotto, Cleri si rifà vivo:<br />

“Devo per forza venire a Roma a portartene”. “Vieni!”. Torna con Anna, dopo più rinvii, e li<br />

conduco in luoghi romani inconsueti: al monastero dei Santi Quattro Coronati, con lo scrigno della<br />

cappella <strong>di</strong> San Silvestro, e a San Clemente, tre piani e tre età dell'arte. C’è perfino tempo per<br />

portarli ad assaggiare… le melanzane con il cioccolato. Le potete trovare anche voi da Sal De Riso,<br />

in Borgo Pio: è una minuscola e perfetta succursale del benedetto, geniale pasticcere <strong>di</strong> Minori.<br />

Straor<strong>di</strong>naria coincidenza, perché il Tarci mi annuncia che il mosto è ormai finito, assieme<br />

all'autunno. “Ma ho il bostrengo”. Il bostrengooo??? Una teglia piena!<br />

Basso, piatto (ma c’è una variante a pagnotta), scuro <strong>di</strong> cacao (ma c’è una variante bianca, più<br />

antica, quando il cioccolato era sconosciuto), farcito <strong>di</strong> tutta la frutta secca <strong>di</strong> stagione (noci,<br />

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