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Assaggi di fame - Filippo Radaelli

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Mumble mumble…<br />

Le cene <strong>di</strong> Caravaggio<br />

21 e 22 ottobre<br />

Sono sicuro: c’è un altro pasto importante, nel Vangelo, che ho mancato <strong>di</strong> citare l’altro giorno.<br />

Rimugino a lungo, ma le mie pur robuste reminiscenze catechistiche non mi sono <strong>di</strong> alcun aiuto.<br />

È una folgore pittorica, finalmente, a togliermi d’impaccio. Caravaggio, accipicchia! Caravaggio!<br />

Come non mi è venuto in mente prima?<br />

La Cena in Emmaus! Avete presente? Straor<strong>di</strong>naria!<br />

Anzi, straor<strong>di</strong>narie! Perché il bergamasco ne ha <strong>di</strong>pinte due.<br />

Una si trova a Milano, nella Pinacoteca <strong>di</strong> Brera. Bella, intensa: nel magistrale gioco <strong>di</strong> chiaroscuri,<br />

tipico del Merisi, è volutamente sobria, ad iniziare dalla tavola apparecchiata con due pani, un piatto<br />

con – mi par <strong>di</strong> riconoscere – verdure cotte, un vassoietto <strong>di</strong> metallo vuoto (il paniere?) e una<br />

brocchetta da mezzo litro <strong>di</strong> vino.<br />

Venne <strong>di</strong>pinta nel 1606, a Zagarolo, rifugio precario dopo l’omici<strong>di</strong>o commesso dal pittore: gli<br />

eventi personali indubbiamente lo agitano e si riflettono sulla essenzialità dell’opera.<br />

Ma quella che ho in mente è l’altra, che mi ha vivamente impressionato, rimanendo nella memoria.<br />

È esposta alla National Gallery, ed è veramente fulminante. Precede <strong>di</strong> cinque anni la prima:<br />

Michelangelo Merisi vi lavorò nel 1601, quando il carattere sconvolgentemente innovativo dei suoi<br />

<strong>di</strong>pinti stavano iniziando a dargli fama.<br />

Colori ricchi e niti<strong>di</strong>: dominano assieme sia il candore della tovaglia, della camicia <strong>di</strong> un<br />

commensale, del suo tovagliolo, della berretta dell’oste e della tunica sul braccio del Cristo, che<br />

l’appariscenza del rosso della sua stessa veste che si ripete, smorzato, nella maglia dell’oste e,<br />

imbrunito, nella mantella scesa sulla se<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Cleopa: particolare, quest’ultimo, che dà forza al gesto<br />

del medesimo Cleopa <strong>di</strong> puntare le mani ai braccioli nell’atto <strong>di</strong> alzarsi <strong>di</strong> scatto, in un moto <strong>di</strong><br />

sorpresa, mentre il compagno (Pietro, <strong>di</strong>cono) stende le braccia in un gesto altrettanto spontaneo <strong>di</strong><br />

assoluta stupefazione: “Gesù!”, sembra esclamare. Ed infatti l’uno e l’altro lo hanno appena<br />

riconosciuto. Dopo averlo incontrato sulla via, dopo averci chiacchierato alungo, dopo esser rimasti<br />

quasi increduli che quel tale sconosciuto non sapesse gli acca<strong>di</strong>menti che avevano agitato<br />

Gerusalemme, lo avevano invitato per cena: ed egli non si era sottratto. Solo quando spezzò il pane<br />

e lo bene<strong>di</strong>sse e lo <strong>di</strong>ede loro, lo riconobbero.<br />

Solamente Luca racconta questa cena in Emmaus. Ne è l’ultima, in questo Vangelo. Un’altra si<br />

svolse con tutti gli apostoli nuovamente riuniti. Gesù si fa riconoscere subito, questa volta,<br />

facendosi guardare le mani ed i pie<strong>di</strong> con i segni del supplizio sofferto. “Ma poiché per la grande<br />

gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, <strong>di</strong>sse: “Avete qui qualcosa da mangiare?”. Gli<br />

offrirono una porzione <strong>di</strong> pesce arrostito: eglilo prese e lo mangiò davanti a loro”.<br />

Come il Caravaggio, mi piacerebbe esser capace <strong>di</strong> <strong>di</strong>pingere tutto il realismo materialistico <strong>di</strong><br />

questa scena cruciale, alla conclusione del racconto. Ma vi rendete conto? Si tratta <strong>di</strong> un uomo<br />

risorto, si tratta del Risorto Figlio <strong>di</strong> Dio, e chiede da mangiare! Che bisogno aveva? Perché mai<br />

sottolinearlo? E non <strong>di</strong>sdegna un buon pesce arrostito! Santo cielo, è incre<strong>di</strong>bile! Eppure, questa<br />

marcatura quasi edonistica non è che un contrappunto che rimarca l’accertata presenza delle<br />

stimmate sulle mani e nei pie<strong>di</strong>. È un Cristo corporeo, carnale, concreto, quello che si mostra<br />

all’incredulo Tommaso e ai suoi compagni. A quell’incredulità egli risponde con i segni tangibili<br />

della crocefissione che gli ha dato la morte e con il reale desiderio <strong>di</strong> cibo <strong>di</strong> qualunque uomo vivo.<br />

Riguardo l’immagine della Cena del Merisi: sulla tavola, in evidenza fastosa e barocca, sono un<br />

succulento pollo bene arrostito e un cesto <strong>di</strong> frutta sovrabbondante e varia, oltre che vino ed acqua,<br />

a piacimento: niente frugalità, non moderatezza né parsimonia. La tavola è imban<strong>di</strong>ta come se<br />

l’enorme lutto, che pure doveva aver colpito i due <strong>di</strong>scepoli, non avesse tolto loro l’appetito. La<br />

bene<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Gesù non sembra cadere solo sul pane, ma su tutto il ben <strong>di</strong> Dio apparecchiato.<br />

Gesù un buon gustaio? Senza bisogno <strong>di</strong> frivole enfatizzazioni, più ci penso, meno trovo alcunché<br />

<strong>di</strong> irridente e irriverente in questa affermazione.<br />

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