Un drink con Demetra 12 settembre Matzà è, in ebraico, il pane azzimo e maza è, in greco, il pane d’orzo. Legittimo il sospetto che fra i due termini ci sia un legame. Non sono in grado <strong>di</strong> confermarlo ma, etimo a parte, in entrambi i casi <strong>di</strong> pane si tratta. Per la precisione, <strong>di</strong> pane non fermentato: l’azzimo è tale per definizione, come s’è visto ieri; il pane d’orzo lo è per la semplice ragione che l’orzo non ha abbastanza glutine per consentire una fermentazione dell’impasto simile a quella che produce il grano tenero. In generale, va detto, fra tutti i cereali, solo il frumento può produrre pane lievitato: l’orzo, la segale, l’avena, il miglio, il riso o il mais, no. Più che <strong>di</strong> pane, nel caso <strong>di</strong> questi cereali, si dovrebbe parlare <strong>di</strong> focacce. Di focacce, o cialde, o gallette, o chiamatele come vi pare, parlerei ogni volta che non si tratta <strong>di</strong> pane ottenuto attraverso la lievitazione. La sto facendo lunga, me ne rendo conto. È che volevo entrare in tema <strong>di</strong> orzo, perché l’assaggio <strong>di</strong> <strong>fame</strong> <strong>di</strong> oggi si riferisce proprio a questo costituente alimentare che, per molto tempo prima del trionfo del grano (e del pane fermentato) è stato alla base della <strong>di</strong>eta <strong>di</strong> numerose popolazioni me<strong>di</strong>terranee. Tra queste, i greci. Tanto che il nome della <strong>di</strong>vinità protrettrice delle messi, Demetra, lo si fa risalire a due etimi (è una mania, questa delle origini delle parole: magari stufa un po’, ma spiega molte cose): il primo vorrebbe che significhi Madre Terra; l’altro traduce invece in Madre dell’orzo. Mettetela come volete, ma stasera io vado a cena con Demetra. La quale – ripassino mitologico – incavolata nera perché le hanno rapito la figlia Proserpina, tiene il mondo in carestia finchè non salti fuori chi è stato e non gliela restituisce. Finisce come finisce (è stato Ade, se l’è portata giù negli inferi: Giove fa l’Onu e si raggiunge un accordo: due parti dell’anno la giovane sta con sua madre, ed uno con lo sposo: da notare, per inciso, che non si tratta della stagione invernale, come in genere si insegna a scuola, ma dell’unica stagione in cui nei campi non c’è traccia <strong>di</strong> spighe. Qual è? La semina, dato il clima favorevole, è autunnale; in inverno già si vedono i germogli; in primavera le messi raggiungono la maturità e vengono mietute. Dunque, la stagione con Ade è l’estate. Vacanze alternative, nel sottosuolo…) Quel che conta per noi è che ad un certo punto, nel suo <strong>di</strong>sperato vagabondare, Demetra, in sembianze <strong>di</strong> vecchia, arriva a casa <strong>di</strong>… Qui le versioni son due: una la dà l’inno omerico A Demetra, secondo cui la dea capita a casa <strong>di</strong> Celeo <strong>di</strong> Eleusi. Costì, la serva Giambe la fa sedere su uno sgabello, dove lei, “in un triste silenzio, restò immobile, col capo coperto dal velo; nessuno osava parlarle né rivlgerle attenzioni. Stava lì, triste, senza bere né mangiare, <strong>di</strong>sperata per la figlia scomparsa. Finchè, con battute e gesti osceni, la buona Giambe, dai e dai, strappò alla dea una irresistibile risata”. Capita anche a noi, anche dopo una giornataccia, guardando Benigni o Zelig in tv . L’episo<strong>di</strong>o segna la nascita della poesia giambica, quella che non ci fanno stu<strong>di</strong>are a scuola: sconcia e scurrile, ma <strong>di</strong> sicuro effetto. Perfino sulla <strong>di</strong>sperata signora delle messi ha un effetto rasserenante. Tanto che Metanira, padrona <strong>di</strong> casa e moglie <strong>di</strong> Celeo, trova coraggio e offre un drink alla strana vecchia: che, però, rifiuta il bicchiere <strong>di</strong> vino che le hanno portato – <strong>di</strong> quello buono, vino Doc greco, vino mielato – ripiegando piuttosto su un’orzata. Sì, proprio un’orzata. Non quella che inten<strong>di</strong>amo noi oggi, fatta con mandorle pestate e filtrate, o con semi <strong>di</strong> melone. Dico l’orzata con l’orzo, come vorrebbe il nome e come era, logicamente, in origine. La chiamavano ciceone: orrenda cacofonia (suona meglio in greco: chicheòn), che sta per poltiglia: uno sciroppo, insomma, fatto con i chicchi d’orzo abbrustoliti, tritati e mescolati nell’acqua fino ad ottenere un intruglio (aromatizzato anche con un po’ <strong>di</strong> mentuccia, secondo la curiosa ricetta riportata dallo stesso brano dell’Inno) che, a giu<strong>di</strong>care dalla scelta sicura fatta dalla dea, doveva avere davvero effetti ristoratori. Per inciso, il rito della bevuta d’orzata entrò a far parte dei misteriosi misteri eleusini: riti segreti de<strong>di</strong>cati proprio a Demetra, in quanto dea madre – come preferite – della terra o dell’orzo, veneratissima per aver insegnato a Trittolemo, figlio <strong>di</strong> Celeo e Metanira, i segreti dell’agricoltura, donandogli frumento (o più probabilmente orzo) ed un carro per andare in giro per il mondo a insegnare come coltivarlo. 8
L’orzata <strong>di</strong> orzo compare anche nell’altra versione del mito: quella che riporta Ovi<strong>di</strong>o nelle fantastiche Metamorfosi. In questo caso, Cerere si trova a zonzo per la Sicilia, sempre alla ricerca della figlia Proserpina. “Stracca e stremata, con una sete da non credere, che è da mo’ che non tocca manco una goccia d’acqua, capita davanti ad una capanna <strong>di</strong> frasche: bussa ed esce una vecchia che subito, sentendola implorare qualcosa da bere, le porta una dolce orzata”. Naturalmente, Ovi<strong>di</strong>o non la chiama orzata; non la chiama neppure ciceone. Usa un termine appetitosissimo, passato tal quale dal latino all’italiano. Scrive preciso preciso polenta. Ma <strong>di</strong> questo, parleremo domani. Per ora, fidatevi: va tradotto orzata. O sciroppo d’orzo, che è uguale. Per oggi, dunque, vado a mangiare con Demetra. Non so la sua <strong>fame</strong>, ma la mia inizia a farsi sentire. Ciceone, polenta od orzata, tali e quali come li bevve lei, mi è <strong>di</strong>fficle sperare <strong>di</strong> farne. Qualcosa che gli somigli può essere il caffè d’orzo: in tazza grande, s’intende. Magari con qualche biscotto ai cereali, per restare in tema e mettere qualcosa <strong>di</strong> solido in pancia. E stasera, minestra d’orzo. Il <strong>di</strong>giuno a tema mi pare che si profili interessante. Chissà che Demetra, entrando in confidenza, non mi spifferi pure le porcherie con cui l’ha fatta ridere Giambe. Le saprà raccontare? Semmai, ne ho qualcuna nuova anche io. Non in giambico, però. 9
- Page 1 and 2: Assaggi di fame Cento degustazioni
- Page 3 and 4: PROLOGO Un digiuno tipico contro il
- Page 5 and 6: Insomma, il lavoro non sarebbe più
- Page 7: Se rendo il concetto, grano cotto e
- Page 11 and 12: perchè ha un buon sapore e, tra Se
- Page 13 and 14: Il giro d'Italia di un fast food me
- Page 15 and 16: Proprietà transitiva e altri anima
- Page 17 and 18: Il paradosso è questo: che in cond
- Page 19 and 20: Che è nata come cucina povera e ma
- Page 21 and 22: Cavolo! Ha ragione. Sì, Potnia Cri
- Page 23 and 24: imbratto strade che non dovrei: non
- Page 25 and 26: conventi che rimaneggia al meglio l
- Page 27 and 28: Nota era nota, dunque, questa bacca
- Page 29 and 30: Molto prima del pane e della pasta
- Page 31 and 32: Dove digiuno sostenendo la tipicit
- Page 33 and 34: Anno Mille: la lotta di resistenza
- Page 35 and 36: Che altro? Alcune temibili epidemie
- Page 37 and 38: La cocaina non è che un estratto a
- Page 39 and 40: dimenticavano i loro drammatici pro
- Page 41 and 42: Caro Presidente Domenici, buongiorn
- Page 43 and 44: lo ridico perché, se ve lo comprat
- Page 45 and 46: Pomodori verdi fritti sofferti 13 o
- Page 47 and 48: Ma ora tenetevi forte, perché andi
- Page 49 and 50: Io posso ancora permettermi il ‘d
- Page 51 and 52: Profumati la testa e lavati il volt
- Page 53 and 54: A parte i quaranta giorni nel deser
- Page 55 and 56: Centocinquanta su trecentosessantac
- Page 57 and 58: Il piacere della carne 26 ottobre R
- Page 59 and 60:
Demetra aspettava 27 e 28 ottobre C
- Page 61 and 62:
Demetra; oppure (ma l’oppure non
- Page 63 and 64:
il timo, il dragoncello, il cumino,
- Page 65 and 66:
La fame, con filosofia? Un fico sec
- Page 67 and 68:
Unico problema: birra o vino? Mi ri
- Page 69 and 70:
Posso non essere d’accordo? Posso
- Page 71 and 72:
A questo punto, però, conviene un
- Page 73 and 74:
Quest’ultimo è il punto più del
- Page 75 and 76:
La mafia è tipica? 20 novembre Nei
- Page 77 and 78:
Di De.Co. in meglio 22 novembre Imm
- Page 79 and 80:
Ed egli mangiava e beveva il vino,
- Page 81 and 82:
A pane e acqua 29 novembre A pane e
- Page 83 and 84:
Bostrengo, per gli affamati di Cucc
- Page 85 and 86:
Il sapore perfetto dei buchi d’ol
- Page 87 and 88:
Al Sagrantino, ai mille vitigni ant
- Page 89 and 90:
Una Collezione Italiana: che ne pen
- Page 91 and 92:
Giornalisti: Domenici, auguri per s
- Page 93 and 94:
Conservare significava perfino pote
- Page 95 and 96:
È una brutta legge: l’ho scritto
- Page 97:
Voi che vivete sicuri nelle vostre