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Assaggi di fame - Filippo Radaelli

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Rompi<strong>di</strong>giuno per festa <strong>di</strong> laurea<br />

13 novembre<br />

Oggi il maggiore dei ragazzi si laurea.<br />

Laurea breve, poi viene il bello (sperando non finisca cocoprò). Ma intanto, dopo un liceo svogliato,<br />

ha preso ritmo, ha puntato dritto al risultato e, senza perdere un esame, ce l’ha fatta.<br />

Vorrei poterlo festeggiare come merita, ma capirete: non me lo posso permettere con lo stipen<strong>di</strong>o da<br />

precario, figuriamoci senza neppure quello.<br />

La buona idea – un ripiego, certamente: ma è una buona idea ugualmente, per una festa <strong>di</strong> bocche<br />

ghiotte – l’ha avuta lui. Pizzelle. Pizzelle fritte. Ne an<strong>di</strong>amo pazzi.<br />

Pasta <strong>di</strong> pane in piccoli bocconi immersi, bagnati a pioggia e rigirati a gonfiarsi nell’olio bollente<br />

meno d’un minuto, messi a scolare su carta da cucina, portati nel piatto cal<strong>di</strong> da ustione: una<br />

fossetta scavata per una pozzangherina <strong>di</strong> sugo <strong>di</strong> pomodoro, una nevicata <strong>di</strong> parmigiano, e via al<br />

sublime go<strong>di</strong>mento.<br />

Le pizzelle vengono <strong>di</strong>rettamente dalla cultura popolare partenopea, dal gusto per la variante,<br />

dall’abbondanza d’olio e <strong>di</strong> fritture: sempre pizza sono.<br />

La puntata precedente, destinata a celebrare l’antica tra<strong>di</strong>zione, è stata fra quelle più ricche <strong>di</strong> mail<br />

con commenti e segnalazioni.<br />

Una persona molto cara mi invita – a proposito, accetto. Quando? – in un locale romano, in Prati,<br />

dove fanno delle pizze ovali lavorate e guarnite in modo insolito e che chiamano pinse: è uno degli<br />

etimi <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>cevo in quell’occasione.<br />

Uno straor<strong>di</strong>nario amico <strong>di</strong> mail, Tarcisio Cleri, colto, esuberante ed ottimo funzionario del Comune<br />

<strong>di</strong> Urbania, mi segnala una questione <strong>di</strong> campanilismo: dove intendo non liti fra campanili, ma fra<br />

campani. I tramontani, cioè gli abitanti <strong>di</strong> Tramonti, sui monti Lattari (ottima acqua, ottimi<br />

formaggi, ottima pasta e, adesso scopro, anche ottima pizza) riven<strong>di</strong>cano l’origine tramontana,<br />

appunto, della pizza napoletana: tutto su www.tramontipizza.org. La cosa sarebbe confermata dal<br />

gran numero <strong>di</strong> pizzaioli tramontani sia nella regione che in Italia e all’estero. Potrebbe essere: resta<br />

certo che è piatto rurale, <strong>di</strong> gente in moto, come Enea, ricordate?, ha <strong>di</strong>mostrato.<br />

Nel suddetto sito trovo anche un etimo originale: “La parola Pizza venne successivamente in<br />

seguito a varie trasformazioni, che dal <strong>di</strong>aletto ne hanno fatto una parola del vocabolario italiano.<br />

Il tutto cominciò con il fatto che la porzione <strong>di</strong> pasta, inevitabilmente piccola rispetto alla massa<br />

dell’impasto, in <strong>di</strong>aletto tuttora viene in<strong>di</strong>cato con nu piezz’ , che vuol <strong>di</strong>re un pezzetto, e che<br />

imponendosi come pietanza volse al femminile <strong>di</strong>ventando na pizz’. Entrando nelle bocche <strong>di</strong> tutti,<br />

a pizz’ inevitabilmente entrò anche in quella dei colti che forgiano il vocabolario per cui,<br />

italianizzandosi, <strong>di</strong>venne pizza”. Potrebbe essere anche questo. Mi interessa <strong>di</strong> più, nel caso in<br />

questione, passare per Tramonti e mangiarmi una pizza lì: mordere pizza tramontana (vai a vedere<br />

che il vento famoso viene da lì, o lì si <strong>di</strong>rige: e per questo così si chiama!) e Tramonti stessa: che, a<br />

quanto so, non è da meno.<br />

Per l’etimo, invece, continuo personalmente a preferire quello da pistor, che vuol <strong>di</strong>re, lo ricordo,<br />

fornaio. E qui un’altro amico <strong>di</strong> mail, Tiziano Carradori, giornalista toscano che conosce cosa<br />

significa la parola e la sostanza del termine solidarietà, mi segnala: “E allora c'è posto anche per<br />

Pistoia, nella tua gustosa - e dotta - <strong>di</strong>gressione romanil-pizzesca. Il nome della nostra città deriva<br />

infatti da pistoria (forno) o pistores (i fornai che impastavano il pane) perchè l’originaria cittadella<br />

sarebbe stato un luogo <strong>di</strong> approvvigionamento per le legioni (romane) che combattevano lì intorno.<br />

E poi pitta oltre che derivare dal greco e essere in uso tra gli arabi e gli ebrei, lo è anche tra i<br />

bosniaci, dei quali è uno dei piatti più tra<strong>di</strong>zionali e conosciuti. Anche loro si mangiano la pasta (in<br />

genere arrotolata) farcita <strong>di</strong> varie carni e/o verdure. La cucinano in forno dopo aver impastato la<br />

farina con acqua e olio rigorosamente <strong>di</strong> semi e averla stesa fino ad ottenere un velo sottilissimo.<br />

Tutto ciò per la famosa completezza dell’informazione”.<br />

Obbe<strong>di</strong>to alle esigenze deontologiche richiamate dal collega e caro amico, chiudo con due<br />

osservazioni: che la pizza è, alla fine, sostanzialmente molteplice e me<strong>di</strong>terranea. E che è un piatto<br />

certamente povero, ma degno anche d’una festa <strong>di</strong> laurea.<br />

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