Terra e gente 2012 - Comunità Montana Valli del Verbano
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<strong>Terra</strong> e <strong>gente</strong><br />
<strong>del</strong>l’arcivescovo e, grazie alla conoscenza che aveva <strong>del</strong>le lingue «todesche»,<br />
suo legato presso gli svizzeri. La deposizione mostra uno spirito acuto, fermo<br />
alla concretezza dei fatti e attento ai particolari d’ambiente, quel che si<br />
dice una testimonianza fededegna, <strong>del</strong> resto qui e là confermata dai riscontri<br />
possibili (64) . Egli richiama con insistenza le elemosine distribuite ai poveri:<br />
durante la carestia <strong>del</strong> 1570 il cardinale – che nell’occasione vendette il<br />
principato d’Oria – «faceva cuocere a posta ogni giorno una minestra di riso<br />
da dare alli poveri, i quali poveri erano un numero grandissimo», e ciò «oltre<br />
l’altre limosine che faceva de dinari giornalmente». Durante le visite pastorali<br />
era il Todeschino a portare la borsa per l’elemosina, mentre l’arcivescovo<br />
stimolava i gentiluomini <strong>del</strong> luogo ad imitarlo. In occasione <strong>del</strong>la peste spremette<br />
la cassa non solo ma distribuì ai poveri <strong>del</strong> lazzaretto i mobili di casa,<br />
vestimenti e stoffe, comprate per l’occasione, e persino il suo letto, tanto da<br />
dormire poi sempre sull’asse. Con la concretezza che sempre mostrò, san<br />
Carlo fece venire a Milano, a sue spese, monatti e nutrici <strong>del</strong>la valle Leventina,<br />
insieme a un gregge di capre per il latte ai neonati. Fu comunque attento<br />
alla provenienza dei beni da destinare a poveri e luoghi pii: volle che fossero<br />
quelli di Urbino a fruire dei 30mila scudi in gioielli, lasciatigli dalla vedova<br />
<strong>del</strong> fratello Federico, Virginia <strong>del</strong>la Rovere (65) .<br />
Piace aggiungere una documentazione nostrana: quando nel maggio<br />
1577 un focolaio di peste si manifestò a Maccagno e Campagnano, l’arcivescovo,<br />
venuto personalmente sul posto (66) , affi dò una cospicua somma al<br />
curato di Luino, Giuseppe Bussio, con l’incarico di distribuirla in soccorsi,<br />
ciò che avvenne mediante fornitura di pane, di paglia per le “cabane”, di<br />
generi vari e con rimesse ai preti rimasti sul posto (uno dei quali morì di<br />
peste, senza poter rilasciare ricevuta). Il Bussio fu accusato di malversazione<br />
da gentiluomini <strong>del</strong> posto, forse risentiti per non essere stati chiamati<br />
a guidare i soccorsi, e associato al carcere arcivescovile ma rese conto<br />
minuzioso <strong>del</strong>la spesa, con le dovute pezze giustifi cative (mancava solo<br />
quella ricevuta). Gli aiuti di san Carlo giunsero prima che la Sanità ducale<br />
disponesse soccorsi più ampi e organici (67) .<br />
(64) C. MARCORA, Il processo diocesano…, pp. 477-520; altre testimonianze in argomento in<br />
FRIGERIO, San Carlo nelle valli…, pp. 188 sgg.<br />
(65) C. MARCORA, Il processo diocesano…, pp. 503-508. Per la curiosa notizia d’una quindicina<br />
di capre fatte venire dall’alto Ticino al lazzaretto di Milano, cfr. ivi, p. 699 (testimonianza di<br />
mons. Bernardino Tarugi, con altre notizie sulla benefi cenza <strong>del</strong> Borromeo).<br />
(66) P. FRIGERIO, San Carlo nelle valli prealpine…, pp. 196 sg.<br />
(67) P. FRIGERIO, P.G. PISONI, Altri documenti sulla peste e san Carlo, I – Luino 1577: processo<br />
al curato Giuseppe Bussio, «Verbanus» 5-1984, pp. 191-197; P. FRIGERIO, La Sanità pubblica e<br />
“Caritas” ambrosiana. La peste nel Luinese, «Il Rondò», XVI-2004, pp. 65-87.<br />
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