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Unità di Apprendimento, classe 3^ - scuola e cultura - rivista

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Aprile - Maggio - Giugno 2007 73<br />

per non esser corretta da li sproni,<br />

poi che ponesti mano a la predella. (vv. 88-97).<br />

Ve<strong>di</strong>amo in particolare la metafora del cavallo che è la più <strong>di</strong>ffusa. A questa si legano “freno, sella, sella, sproni,<br />

predella” e più avanti ancora “arcioni” In un crescendo <strong>di</strong> tensione il cavallo impazzito, rimasto senza cavaliere, <strong>di</strong>venta<br />

una “fiera” selvaggia, una “fiera fatta fella”, cioè malvagia. E qualche verso dopo è detto: “costei ch’è fatta indomita e<br />

selvaggia”. Qui il <strong>di</strong>scorso politico si intreccia a quello morale e si infiamma toccando i vertici dello sdegno, della<br />

in<strong>di</strong>gnazione morale: “Senz’esso fora la vergogna meno”. Come il piano politico si lega a quello morale, così la stoccata<br />

alla chiesa si lega a quella all’imperatore, in una severa condanna sulla perversione della Responsabilità, che per la<br />

chiesa è spirituale, per il capo <strong>di</strong> stato è civile.<br />

Una responsabilità tanto più vincolante in quanto sostenuta dal Diritto, lo jus romano <strong>di</strong> Giustiniano, centrale qui, in<br />

questi versi. Quel <strong>di</strong>ritto è per l’uomo inviolabile in quanto rispecchia il <strong>di</strong>ritto soprannaturale della legge <strong>di</strong>vina. Come<br />

tale fonda l’Or<strong>di</strong>ne e la Giustizia sociale, che è dell’Uomo e per l’Uomo, in quanto soggetti irra<strong>di</strong>ati e riflessi nell’Or<strong>di</strong>ne<br />

e nella Giustizia <strong>di</strong>vina. E’ un universo perfetto <strong>di</strong> piani speculari e riflessi che Dante riprende da Agostino, e questo a<br />

sua volta da Platone, concezione che connota tutta la linea speculativa dell’umanesimo cristiano moderno, da Bruno a<br />

Campanella, approdata nel ‘700 a Vico e alla sua concezione della Storia (con la Scienza Nuova) e del Diritto (col<br />

Diritto Universale). Linea che sarà poi schiacciata ed estromessa da quella razionalistica che fa capo a Cartesio e <strong>di</strong> là al<br />

positivismo e neo-positivismo novecentesco, come sopra si è detto.<br />

Così, sostenuto da un tale impianto teorico, Dante fonda il principio della laicità dello stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto e della democrazia<br />

moderna. E intanto, come si vede, la base speculativa, filosofica dei principi teorici si ravviva della passione personale e<br />

civile <strong>di</strong> chi ha sbattuto contro la degenerazione <strong>di</strong> quei principi e ha pagato <strong>di</strong> persona. Di qui lo slancio del <strong>di</strong>scorso<br />

poetico, che <strong>di</strong>venta epico, e unisce taglio polemico e apertura profetica:<br />

e ora in te non stanno senza guerra<br />

li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode<br />

<strong>di</strong> quei ch’un muro e una fossa serra.<br />

Cerca, misera, intorno da le prode<br />

Le tue marine, e poi ti guarda in seno,<br />

s’alcuna parte in te <strong>di</strong> pace gode (vv.82-87).<br />

Questi versi, mentre risuonano delle violenze nefaste delle guerre civili ( oggi più che mai attuali), aprono insieme lo<br />

scenario <strong>di</strong> una pace possibile: “pace gode”. Mentre severo è il giu<strong>di</strong>zio del profeta, che davvero qui interpreta nella sua<br />

voce poetica il Logos <strong>di</strong>vino, verso chi si sottrae alla propria responsabilità:<br />

giusto giu<strong>di</strong>cio dalle stelle caggia<br />

sovra il tuo sangue, e sia novo e aperto,<br />

tal che ‘l tuo successore temenza n’aggia! (vv. 100-102).<br />

Il poeta è qui nuovo profeta biblico e come tale egli parla, con la solennità e il peso delle gran<strong>di</strong> profezie. La stessa<br />

realtà politica dell’Italia, cui egli si rivolge, è profetica, in quanto all’epoca non c’era traccia <strong>di</strong> un’Italia né politica, né<br />

linguistica, né letteraria. La sua identità viene fondata dallo stesso Dante, che la recupera dalla tra<strong>di</strong>zione umanistica<br />

romana, e la promuove in un nuovo progetto sociale e politico cristiano . Di qui la sua missione umana e civile, la sua<br />

militanza poetica. Una poesia impegnata, quin<strong>di</strong>, sul piano morale e civile, al servizio della verità e della giustizia: questa<br />

è l’ideologia artistica <strong>di</strong> Dante, confermata dalla «investitura» che egli riceve dall’avo Cacciaguida nel XVII canto del<br />

Para<strong>di</strong>so.<br />

La stessa visione morale e religiosa si ritrova in Alessandro Manzoni. Anch’egli <strong>di</strong>viene poeta per essere testimone <strong>di</strong><br />

verità. Come Dante apre l’evo moderno e fonda la civiltà moderna, anche il Manzoni si trova a uno snodo determinante<br />

della nuova civiltà, tra Illuminismo e Romanticismo, tra l’epoca della razionalità universalista e l’epoca della storia e dei<br />

nazionalismi . Per cui, alla conclusione della modernità, la poesia italiana si riaccende <strong>di</strong> forza civile, la letteratura torna<br />

a essere fondante della società e della nazione. Ancora una volta arte e politica, arte ed etica si trovano annodate. La<br />

parola poetica è civile in quanto religiosa e cristiana. La fede cristiana si fa militanza <strong>di</strong> impegno umano, etico e sociale.<br />

Quin<strong>di</strong> il Manzoni fin da giovane e dalla sua originaria formazione francese, immette la razionalità illuministica in una<br />

visione morale del mondo, tesa ad affermare la giustizia e a sostenere la <strong>di</strong>gnità dell’uomo. Come già appare nel carme<br />

giovanile, In morte <strong>di</strong> Carlo Imbonati, il risentimento etico orienta in maniera definitiva la vita della poesia. L’incontro con<br />

Dio si innesta su questo fondamento etico-razionale e determina l’approdo alla storia, mentre la ragione, assorbita<br />

nell’alveo romantico-risorgimentale, guarda all’ideale e all’eterno. Ancora una volta, com’è stato in Dante, come sarà in<br />

Karol Wojtyla, la fede si ra<strong>di</strong>ca nella ragione, la ragione si sublima nella fede.<br />

Anche il Manzoni è al tempo stesso polemista e profeta <strong>di</strong> una società libera e giusta. La militanza polemica contro<br />

l’ignoranza e l’oscurantismo, contro le sopraffazioni e le ingiustizie, che gli provengono dalla formazione razionalista, si<br />

aprono alla profezia <strong>di</strong> una società illuminata dalla speranza del riscatto, dalla fede in una giustizia superiore, dalla<br />

solidarietà con i deboli e gli in<strong>di</strong>fesi. Così come in Dante, la parte destruens si lega sempre a quella costruens, l’ironia<br />

spietata, il sarcasmo e l’invettiva contro corrotti e violenti si capovolgono in Manzoni nel pathos accorato <strong>di</strong> una<br />

pietas umana e <strong>di</strong>vina. Basti ricordare l’episo<strong>di</strong>o della morte <strong>di</strong> Cecilia che, sullo sfondo terribile della peste, rilancia il<br />

mondo degli affetti familiari e dell’amore materno.<br />

Lo stesso itinerario artistico è, nei due scrittori, coerente con la <strong>di</strong>latazione e l’approfon<strong>di</strong>mento del proprio universo<br />

cristiano. Se Dante era approdato dal genere lirico della Vita Nova all’adozione del poema epico con la Divina

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