Unità di Apprendimento, classe 3^ - scuola e cultura - rivista
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Aprile - Maggio - Giugno 2007 86<br />
osservazione”. E se “è da credere - <strong>di</strong>ce - che il giu<strong>di</strong>ce avrà conciliate tutte quelle sue risposte, facendo veder tanto a<br />
Tizio, quanto a Sempronio, che, se aveva ragione per una parte, aveva torto per un’altra, così faremo anche noi.<br />
E lo faremo in parte con gli argomenti stessi de’ due avversari; ma per cavarne una conseguenza <strong>di</strong>versa e da quella<br />
degli uni e da quella degli altri” (Lettera al Carena). Anche perché “siamo troppo ammaliziati”, <strong>di</strong>ce Manzoni, per cui “che<br />
garbo ci vuole con questo signore svogliato, schizzinoso e impaziente, che si chiama lettore” (Dell’invenzione).<br />
Letteratura, quin<strong>di</strong>, come bene nella forma <strong>di</strong>alogica dal sapore socratico. E qualcosa si potrebbe ancora <strong>di</strong>re sui due per<br />
essere più espliciti, che Manzoni - ad esempio - non amò mai Dante per cui mai lo imitò, mai lo esaltò, mai lo lesse con<br />
passione. Abbiamo già detto - infatti - che lo scrittore milanese si rivolge ad altri modelli per attingere e poetare.<br />
Pronunciò ad<strong>di</strong>rittura un dì a favore del Monti, con facile entusiasmo giovanile, parole non appropriate e lusinghiere non<br />
potendo in quella circostanza non mostrare una preparazione inadeguata su Dante, perché ingiustamente <strong>di</strong>sse: “Tu il<br />
gran cantor <strong>di</strong> Beatrice aggiungi, / e l’avanzi talora …”. Forse Manzoni “in quegli anni aveva una larga conoscenza della<br />
Divina Comme<strong>di</strong>a, ma - come osserva Umberto Colombo - non sentiva profondamente quella poesia; e se ha delle lo<strong>di</strong><br />
per Dante, appaiono convenzionali[…]. Infatti nel sonetto de<strong>di</strong>cato a Francesco Lomonaco (1802) i due versi su Dante<br />
esule nascono dall’argomento stesso dell’opera dell’amico, «esule egregio» anche lui: «Come il <strong>di</strong>vo Alighier l’ingrata<br />
Flora/Errar fea, per civil rabbia sanguigna»”. Ma neanche qui “si può parlare <strong>di</strong> imitazione dantesca, e tanto meno -<br />
sostiene ancora Colombo - nei componimenti seguenti (fino al 1805) in cui è evidente l’influsso pariniano o neoclassico;<br />
e se nel carme per l’Imbonati qualche espressione arieggia il dantesco, si tratta <strong>di</strong> mo<strong>di</strong> generici, <strong>di</strong> maniera letteraria<br />
tra<strong>di</strong>zionale[…]; un preciso ricordo <strong>di</strong> Dante, quale iniziatore della poesia italiana, si troverà solo nell’Urania (del 1809),<br />
cioè proprio in un carme <strong>di</strong> tutt’altra ispirazione. Fra i versi della parte introduttiva sono quelli in cui il <strong>di</strong>vino Alighieri è<br />
salutato «maestro dell’ira e del sorriso» e presentato come un gran lume fra le tenebre del Me<strong>di</strong>oevo: «In lunga<br />
notte/giaceva il mondo, e tu splendevi solo, tu nostro».<br />
Bella immagine ed eloquente il saluto, che si risolve nella gran<strong>di</strong>osa similitu<strong>di</strong>ne della vetta del monte illuminata dal sole.<br />
È forse questa la volta - conclude Colombo - in cui il Manzoni ci appare più preso dall’entusiasmo per Dante […]”. Perché<br />
in altro momento mostrò chiara ironia nei confronti del poeta fiorentino, soprattutto quando, rivolto al Biagioli che stava<br />
preparando un commento alla Divina Comme<strong>di</strong>a, <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> volersi mettere in ginocchio per me<strong>di</strong>tare una de<strong>di</strong>ca su Dante.<br />
Ma, a parte questo, Dante fu in Manzoni più volte, ve<strong>di</strong> il Trionfo della libertà ov’è espressa una chiara religiosità civile<br />
che trova compimento nel grande tema che riguarda la libertà come religione dei popoli nella bellezza suggerita dalla<br />
Comme<strong>di</strong>a per motivi naturalmente <strong>di</strong> salvezza. Libertà comunque non compromessa dalla religione potendo solo<br />
questa, per Manzoni, garantire la libertà dell’anima nella gioia del mirabile orizzonte celeste. Anche perché - <strong>di</strong>ce Pascal<br />
- “[…] tutta la <strong>di</strong>gnità dell’uomo consiste nel pensiero, per il resto esso è debolissimo per natura, inerme davanti alle forze<br />
misteriose che lo circondano. L’uomo è smarrito nell’orizzonte infinito che è come un cerchio in cui il centro è ovunque e<br />
la circonferenza in nessun luogo”. Ma Manzoni non s’arrende, anzi suggerisce la via per uscirne, ricorrendo - come<br />
abbiamo visto - alla fede.<br />
E <strong>di</strong>ce: “La vita è un mistero <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>zioni in cui la mente si perde se non la si considera come stato <strong>di</strong> prova ad<br />
un’altra esistenza”.<br />
Due <strong>di</strong>chiarazioni a parer mio contrapposte, quella <strong>di</strong> Pascal e quella dell’autore dei Promessi Sposi, benché si <strong>di</strong>ca che<br />
siano affini nel fine che si propongono <strong>di</strong> raggiungere 14 . A tal proposito l’osservazione <strong>di</strong> Corrias, secondo cui per<br />
Manzoni “la grazia non si estende a tutti” poiché “tanti resistono ad essa” 15 , non può giustificare la presenza <strong>di</strong> Giansenio<br />
nella vita del grande Alessandro. Perché, se talvolta l’uomo resiste alla grazia, non è per volontà <strong>di</strong> Dio, ma per la libertà<br />
ricevuta <strong>di</strong> muoversi nell’infinito con l’uso del pensiero.<br />
Il che vuol <strong>di</strong>re che il Para<strong>di</strong>so esiste e dobbiamo guadagnarcelo noi su questa terra che per Manzoni è “stato <strong>di</strong> prova<br />
ad un’altra esistenza”. Nessuna restrizione, quin<strong>di</strong>, da parte <strong>di</strong> Dio nei confronti dell’uomo per quel che riguarda la grazia.<br />
È anche questo il motivo per cui Manzoni non sempre <strong>di</strong>sdegna l’opera del poeta fiorentino alla quale talvolta fa<br />
riferimento per esprimere convinzioni anche sue personali sulla fede. In alcune pagine dell’opera manzoniana notiamo<br />
infatti reminiscenze oltremodo significative d’ispirazione dantesca, come ad esempio nel capitolo X a proposito della<br />
“sventurata” monaca <strong>di</strong> Monza. Per Luigi Russo si tratta <strong>di</strong> “battuta celebre in cui è incisa e velata al tempo stesso la<br />
colpa della peccatrice”. “[…] quel giorno più non vi leggemmo avante” aveva detto Dante <strong>di</strong> Francesca.<br />
“Due episo<strong>di</strong> e due frasi - <strong>di</strong>ce Remo Branca - ci appaiono come rivelazioni dei limiti vastissimi che naturalmente gode la<br />
libertà artistica. Un adulterio: Francesca da Rimini (Dante, Inferno, canto V) [...]” e “i delitti della monaca <strong>di</strong> Monza<br />
(Promessi Sposi, cap.X), due magistrali pennellate che chiudono i due dolorosi episo<strong>di</strong>: due capolavori che risultano<br />
perfetti in questo tocco finale […]” 16 .<br />
“La donna e l’amore - <strong>di</strong>ce Umberto Colombo - Lucia e Beatrice e Piccarda e Pia e Francesca, la Provvidenza, i nomi dei<br />
bravi e i nomi dei <strong>di</strong>avoli, il voto, l’Adda e l’Arno, la preghiera liturgica, la gloria. Sembrano portare chissà dove […]”. Ma<br />
“comunque si giu<strong>di</strong>chi questa varietà <strong>di</strong> letture volta a volta o nell’assieme, proprio l’insistenza comparativa afferma<br />
Dante e Manzoni, i due vertici della letteratura italiana, i quali, soltanto fra loro quasi, possono trovare motivi <strong>di</strong> confronti<br />
senza che, alla fine, l’uno smorzi o attenui lo splendore particolare dell’altro” 17 . Ma “tra i due massimi vertici del genere<br />
letterario italiano la <strong>di</strong>fferenza è profonda. L’Alighieri è oscuro, il Manzoni limpido. Quegli è come il flutto, il maroso contro<br />
la spiaggia oceanica: questi come lo specchio d’acqua alla riva là dove il lago cessa e l’Adda ricomincia. Sebbene, come<br />
è <strong>di</strong> tutte l’acque cristalline, quando ti pare <strong>di</strong> toccar il fondo con un <strong>di</strong>to non ti basta il braccio […]” 18 .<br />
Dopo accurata indagine me<strong>di</strong>tativa, lo stil nuovo e il simbolismo, la filosofia, la teologia trecentesca e soprattutto<br />
dantesca non potevano quin<strong>di</strong> non apparire come espressione <strong>di</strong> lucente bellezza, pur notando noi nell’opera<br />
manzoniana - e non è poco - semplicità d’affetti, modestia e chiarezza stilistica; tutti attributi utili per l’ammodernamento<br />
“del linguaggio conversativo” 19 la cui scioltezza deriva dall’arte romantica che non ama l’arcaico pur non rinunciando alla<br />
prosa poetica. Ed è qui il punto culmine della nostra ricerca che trova in Manzoni sempre nuove porte e nuove speranze