Unità di Apprendimento, classe 3^ - scuola e cultura - rivista
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Aprile - Maggio - Giugno 2007 79<br />
Tutte le osservazioni e i concetti riportati nel saggio, nell’uso <strong>di</strong> una prosa secca, decisa, chiara, paratatticamente<br />
articolata, scorrevole, rapida, efficacissima – notevole l’exor<strong>di</strong>um per rapi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> inquadramento della situazione musicale<br />
contemporanea in pochissimi perio<strong>di</strong> – mirano a far rinascere come novella fenice un’epoca musicale già conosciuta<br />
(ma, al presente mazziniano, offuscata), auspice l’opera <strong>di</strong> un Giovane Ignoto in grado <strong>di</strong> agire malgrado i troppi<br />
, , altrimenti detti .<br />
In<strong>di</strong>vidua le due principali scuole musicali cui affidare le proprie speranze <strong>di</strong> rinascita: quella italiana, in sommo grado<br />
melo<strong>di</strong>ca (ove la melo<strong>di</strong>a è simbolo dell’in<strong>di</strong>vidualità), e quella germanica, in sommo grado armonica (ove l’armonia è<br />
simbolo dei valori sociali del popolo). Spera in un Genio che affratelli le due scuole per dar vita ad una musica europea.<br />
Restringendo l’esame del suo ragionare al melodramma, cerca <strong>di</strong> scuotere dalle sue basi l’organismo dell’opera teatrale,<br />
sembrandogli esso troppo vuoto <strong>di</strong> contenuto, troppo assurdo nella forma, troppo superficiale negli intenti che si andava<br />
proponendo come negli effetti che riusciva così ad ottenere. Cerca <strong>di</strong> trovare una conciliazione tra in<strong>di</strong>vidualismo<br />
romantico e spirito popolare e sociale delle nazioni, e propone <strong>di</strong> trasformare l’io in<strong>di</strong>viduale in io collettivo: l’io in<strong>di</strong>viduale<br />
che tende all’Infinito e a Dio deve unirsi agli altri nella prospettiva <strong>di</strong> un’azione rigeneratrice e <strong>di</strong> una missione <strong>di</strong>vina da<br />
compiere da parte del popolo ().<br />
Tra i campioni del teatro musicale coevo, nell’ottica mazziniana, spicca Rossini: . Il pesarese vince sui predecessori e sui coetanei per ricchezza <strong>di</strong> idee, per profusione della<br />
melo<strong>di</strong>a e nettezza del <strong>di</strong>segno, qualità tutte che resero le sue opere così piene <strong>di</strong> carattere in confronto agli abbozzi<br />
piatti e grigi che, al tempo, popolavano le scene teatrali. Tuttavia, Mazzini reputa Rossini, più che un innovatore, un<br />
. .<br />
Neanche Bellini incarna il suo ideale, né gli pare musicista dell’avvenire. Pensava Mazzini che gli mancasse il genio<br />
essenzialmente e perennemente creatore, la potenza, la varietà. Pur superiore a tanti altri, Bellini restava un ingegno <strong>di</strong><br />
transizione. La sua musica sembrava più adatta a illangui<strong>di</strong>re, a sfibrare, a isterilire la potenza dell’anima umana, che<br />
non a sollecitarla o a rinforzarla.<br />
Passando in rassegna i maggiori compositori italiani del suo tempo, l’unico al quale Mazzini volge il pensiero con qualche<br />
speranza, sia pure senza gettarsi ad ipotecare il futuro, è Donizetti: lo colpì forse, <strong>di</strong> lui, in confronto a Bellini, la maestria<br />
tecnica, la mano più sciolta e abile nell’armonia, nel contrappunto, nella tavolozza orchestrale.<br />
Ne in<strong>di</strong>vidua, quin<strong>di</strong>, i gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> sviluppo della produzione teatrale, dalla Zoraide all’Anna Bolena, dall’Elisir d’amore alla<br />
Lucia <strong>di</strong> Lammermoor, per giungere al Marin(o) Faliero, lavoro drammatico che segnala quale opera che meglio<br />
risponde, nel panorama del teatro musicale coevo, alle proprie istanze <strong>di</strong> rinascita <strong>di</strong> un’Arte rinnovellata, chiudendo così<br />
con fiducia la lucida parabola argomentativa del suo ragionare estetico.<br />
Ne elogia con trasporto i numeri musicali più riusciti: dalla cavatina “Di mia patria, o bel soggiorno” a “Io ti veggio, or<br />
piangi e tremi”, da “Questo schiavo coronato” a “Non un’alba, non un’ora”, fino a “Siamo vili e fummo pro<strong>di</strong>”.<br />
Marin Faliero (opera in tre atti, tratta dalla omonima trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Casimir Delavigne, a sua volta derivata da un soggetto <strong>di</strong><br />
Byron) fu rappresentata per la prima volta al Théatre Italien <strong>di</strong> Parigi nel 1835. Rimettendo in sesto l’originale libretto <strong>di</strong><br />
Emanuele Bidéra, alla stesura del testo collaborò Agostino Ruffini, compagno <strong>di</strong> ideali politici <strong>di</strong> Mazzini, avendone pure<br />
con<strong>di</strong>viso le prime tappe dell’esilio lon<strong>di</strong>nese.<br />
Marin Faliero ha per sfondo la Venezia dei Dogi e per argomento un adulterio<br />
che sfocia in una congiura: narra la vicenda del doge veneziano condannato a<br />
morte e decapitato il 17 aprile del 1355 per aver or<strong>di</strong>to un complotto (fallito per la<br />
delazione <strong>di</strong> uno dei congiurati) allo scopo <strong>di</strong> instaurare a Venezia una signoria.<br />
Alla prima parigina, cui pare fosse presente anche Mazzini, i ruoli principali<br />
furono affidati al famoso “quartetto dei Puritani”, ovvero il soprano Giulia Grisi<br />
(Elena), il tenore Giovanni Battista Rubini (Fernando), il basso Luigi Lablache<br />
(Faliero), il baritono Antonio Tamburini (Israele Bertucci), celebrati cantanti della<br />
“vieille garde”.<br />
L’originalità del Faliero, come notò Mazzini, sta anche nel e<br />
gran<strong>di</strong>oso confronto fra i due personaggi “Faliero” e “Bertucci”, il doge e il<br />
popolano, e l’esecuzione si giova molto del contrasto fra due voci e maniere <strong>di</strong><br />
cantare: intenso, fosco, amaro, ma sempre composto, l’uno, estroverso e<br />
sanguigno, l’altro.<br />
La generosa ed enfatica pre<strong>di</strong>lezione <strong>di</strong> Mazzini per il Marin Faliero <strong>di</strong> Donizetti,<br />
assai probabilmente suscitata da una sorta <strong>di</strong> identificazione personale con i<br />
casi dolorosi narrati nell’opera, assimilabili al proprio stato <strong>di</strong> cospiratore e <strong>di</strong><br />
esule, fu comune ad altri spiriti risorgimentali se, a proposito dell’ecci<strong>di</strong>o dei<br />
patrioti italiani che la storia ricorda come “Martiri <strong>di</strong> Belfiore”, troviamo questa<br />
notizia: .<br />
Elsa Martinelli