Unità di Apprendimento, classe 3^ - scuola e cultura - rivista
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Aprile - Maggio - Giugno 2007 84<br />
messa in opera - sul piano politico - del liberismo economico da lui sostenuto. Per tal motivo possiamo affermare che<br />
anche in quest’ambito Manzoni è ancora attuale.<br />
Dante e Manzoni possono allora, in certo modo, <strong>di</strong>rsi uguali sul piano politico - reclamando essi giustizia e libertà per il<br />
popolo oppresso - e nell’indole poetica anche nel voler oggettivare una realtà, un’arte nel gusto d’un linguaggio proteso<br />
verso l’infinito, sobrio nel significato, piano nell’elencazione dei fatti narrati. È come se un’arte - la capacità <strong>di</strong> indurre a<br />
un’esperienza conoscitiva - venisse propagata col gusto dell’esteta, che dal Dio creatore prende forma nel significato più<br />
ampio dei termini visto che “natura lo suo corso prende dal <strong>di</strong>vino intelletto e da sua arte” (Inferno XI, 99-100). Trattasi<br />
comunque <strong>di</strong> due personalità <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa statura artistica ma pur concor<strong>di</strong> nel contrapporre efficacemente i due poteri, lo<br />
spirituale e il temporale, nell’impossibilità <strong>di</strong> giustificarne l’azione comune se non a danno del popolo. In tal senso Dante<br />
fa leva sulla poesia che considera “missione, mezzo per propagandare una verità”(Momigliano).<br />
Direi inoltre che poesia è missione anche per Manzoni, anzi giusto mezzo per indottrinare o educare con <strong>di</strong>lettevole arte<br />
e raffinatezza <strong>di</strong> toni la mente dell’uomo dal punto <strong>di</strong> vista estetico e morale. In tal senso la poesia, venendo dall’anima,<br />
può benissimo intendersi come mezzo <strong>di</strong> elevazione a Dio. Per tal motivo “si può certamente affermare - sostiene Li<strong>di</strong>a<br />
Gravagnuolo - che Dante e Manzoni ebbero la stessa formazione religiosa e morale; si abbeverarono cioè al<br />
Cristianesimo evangelico, dei primi secoli della Chiesa, mondo da ogni sovrastruttura e compromesso, che esalta le virtù<br />
teologali, la fede, la speranza e la carità, virtù genuine a cui il cristiano <strong>di</strong> tutti i tempi dovrebbe guardare, scegliendole<br />
come meta della sua vita, per portare a termine la missione affidatagli da Dio” 10 . Possiamo perciò <strong>di</strong>re che Manzoni non<br />
fu mai giansenista come del resto lui stesso afferma nella lettera che in data 8 settembre 1828 invia all’abate Antonio<br />
Cesari: “Le è stato detto - cosi scrive testualmente - ch’io son legato alle opinioni <strong>di</strong> Quesnel e de’suoi partigiani […]. Le<br />
<strong>di</strong>rò dunque […] ch’io non ho letto mai, né il famoso libro del Quesnel, al quale suppongo ch’Ella voglia alludere, né alcun<br />
suo scritto in <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> quello, né alcun altro <strong>di</strong> chicchessia, composto a tale intento […]. A buon <strong>di</strong>ritto Ella s’è preso<br />
angustia del fatto mio, quando ha creduto ch’io stimassi poter qualcuno aver ragione contro tutti i Santi; ma Le confesso<br />
che non so come Ella abbia potuto creder tal cosa, sapendo ch’io pur mi professo cattolico. E Le confesso egualmente<br />
che non capisco come Ella abbia potuto dubitare s’io riconosca nel Sommo Pontefice la qualità <strong>di</strong> vero capo della<br />
Chiesa, la instituzione <strong>di</strong>vina, l’autorità e la potestà in tutte le Chiese particolari, tutto ciò insomma, che la Chiesa, da<br />
Pietro fino ad ora, e da ora fino alla consumazione de’ secoli, riconosce nei successori <strong>di</strong> Pietro[…]”.<br />
Dico allora, a proposito <strong>di</strong> Alessandro, <strong>di</strong> un’anima osservante da sempre (non ebbe del resto mai bisogno, l’autore dei<br />
Promessi Sposi, riconoscendo nella caducità umana quel senso del <strong>di</strong>sparire e del trapassare, <strong>di</strong> convertirsi al<br />
cattolicesimo se pur preso a volte da sconforto nei confronti della bontà dell’Altissimo), la preghiera che Gesù stesso ha<br />
insegnato al mondo. Infatti “Quel che Dio vuole” (Cap.XVII) - nella bocca del Manzoni - corrisponde al versetto del Padre<br />
Nostro: “Sia fatta la Tua volontà”. Cosi <strong>di</strong>cendo, il nostro Alessandro stabilisce un <strong>di</strong>retto contatto con la <strong>di</strong>vinità nella<br />
volontà della <strong>di</strong>vinità stessa <strong>di</strong> realizzare un progetto nel mondo che sia in perfetta simbiosi e armonia con l’uomo che è<br />
nel mondo. Fiducia, quin<strong>di</strong>, dell’uomo verso Dio nella certezza del bene che presto verrà: “Pura e fina fedeltate” al Dio<br />
d’amore, dunque, nella mente del poeta del Fiore o l’estasi dell’irresistibile amore, come mi piace volentieri definire<br />
l’opera dantesca. “L’uomo - infatti - nel contemplar la donna con piacer se ne innamora dovendo aver da lei bellezza.<br />
Perché l’amore vero è solo purezza e come tale può venir da Amore che gli esseri incatena.<br />
La procreazione, quin<strong>di</strong>, per le vite che si susseguono nel bene, non ha altro che fini spirituali. È infatti <strong>di</strong>sposto<br />
l’innamorato ad accettar sofferenza prima <strong>di</strong> possedere il desiderato amore. E il bene che infin trionfa è, come si può<br />
intuire, quel <strong>di</strong> Dio, motivo per cui l’innamoramento dell’uomo può sconfinare anche nella suprema bellezza del Dio<br />
spirituale. Ecco perché il tema della sottomissione non può rifuggire - in questo caso - dall’umiltà che domina nel<br />
poemetto con i toni d’un misticismo tutto cristiano” 11 . Ed è ciò che mi porta a vedere nei versi del Fiore la mano <strong>di</strong> Dante,<br />
come da gran parte della critica è sostenuto dopo gli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Gianfranco Contini. Vincenzo Placella è comunque per il no.<br />
Ma, questo a parte, quel che importa nella nostra umilissima <strong>di</strong>sputa gentile sui due autori, è la volontà <strong>di</strong> vagliare con<br />
avvedutezza due esperienze che non possono non fondarsi sulla rivelazione.<br />
Due realtà, quin<strong>di</strong>, molto chiare che inducono a me<strong>di</strong>tazione: “mentre Dante dà sostanzialmente un’umanità già arrivata<br />
(o vede il mondo dall’alto), Manzoni dà un popolo in cammino, verso l’alto. Il che, certo non toglie che Dante è (dove la<br />
Chiesa non ha parlato) giu<strong>di</strong>ce, in proprio, <strong>di</strong> chi ha lasciato questa terra, mentre Manzoni - cito le parole <strong>di</strong> Colombo -<br />
narra la storia fino alle soglie del mistero provvidenziale, e lì si arresta”. Uso continuo del giu<strong>di</strong>zio in Dante contro i<br />
dettami della Chiesa cattolica, sottomissione al Vangelo da parte <strong>di</strong> Alessandro Manzoni, secondo la volontà della<br />
Chiesa cattolica che è volontà <strong>di</strong> Dio. Per questo motivo non accettava <strong>di</strong> Dante la descrizione <strong>di</strong> un Dio eccessivamente<br />
severo nei confronti dell’uomo, più che misericor<strong>di</strong>oso. E soprattutto non vedeva <strong>di</strong> buon occhio alcuni episo<strong>di</strong><br />
dell’Inferno (ad esempio quello <strong>di</strong> Filippo Argenti) che mostravano del poeta fiorentino certo sdegno implacabile verso<br />
taluni non in linea con il perdono e l’amor cristiano. Manzoni oltrepassa poi il limite terrestre rifugiandosi nell’universalità<br />
evangelica, non accettando pertanto l’universalismo terreno <strong>di</strong> Dante (nella lettera Sul romanticismo vede la morale dei<br />
romani soltanto voluttuosa, superba, feroce, antisociale, egoista) che “attua l’or<strong>di</strong>ne temporale con l’attuazione<br />
dell’Impero” (Francesco Maggini), che doveva comunque proseguire la missione dell’Incarnazione che in Roma aveva<br />
attuato una svolta necessaria per il bene dell’umanità, dovendo per questo, il rappresentante dell’Impero, significare per<br />
Dante il servo del Dio della vita (nella necessità <strong>di</strong> una <strong>di</strong>stinzione dei due poteri, quello politico e quello religioso, che<br />
non escludeva alla singola persona <strong>di</strong> praticare politica e religione insieme). Una storia, dunque, intrecciata nel<br />
paganesimo forse ancora in alcune menti allora <strong>di</strong>lagante.<br />
“Fu così che mi chiesi, leggendo dunque gli amabili versi del poeta Omero, perché mai i pagani conobbero Cristo prima<br />
ancora che Cristo nascesse. Perché insomma furon essi e non noi - che ancora esitiamo a conoscerlo dopo averlo<br />
conosciuto - precursori del Cristo e fors’anche profeti della storia capace <strong>di</strong> cambiare nella verità la vita a esseri e cose?<br />
[…]. Chi non possiede la luce (il <strong>di</strong>scernimento) non può essere attratto dalla luce se non per renderla tenebra. Per