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Latinoamericana mondiale 2012 - Agenda Latinoamericana-Mundial

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Come abbiamo visto a Santo Domingo, non sempre<br />

lo zelo di profeti, teologi e pastori è stato raccolto dai<br />

settori che vivono distanti dalla vita quotidiana del<br />

popolo di Dio. Le loro teologie sono decontestualizzate<br />

e offrono risposte a domande secondarie. Questa è<br />

stata la ragione per cui, in un determinato momento,<br />

la Teologia della Liberazione e la Teologia India, tra le<br />

altre, furono indotte al silenzio da settori che consideravano<br />

Medellín (1968) un incidente nella storia della<br />

chiesa. La Teologia India, per esempio, non indica<br />

una rottura con la tradizione della Chiesa. Al contrario<br />

si tratta dell’assunzione di tradizioni millenarie e del<br />

radicamento del vangelo in queste culture. L’assunzione,<br />

secondo Sant’Ireneo, è la propedeutica della redenzione<br />

(cfr. Puebla 400). Ancora oggi, circa quarant’anni<br />

dopo Medellín, nel Documento di Aparecida (2007), la<br />

semplice menzione di queste teologie, che rappresentano<br />

la grazia profetica post-conciliare della Chiesa<br />

latinoamericana, era vietata. Se i teologi diventano<br />

funzionari istituzionali e non difensori degli afflitti, la<br />

teologia degenera in ideologia.<br />

Ma il vino nuovo della causa del Regno non va<br />

negli otri vecchi (cfr. Mt 9,17) di una funzionalità sistemica.<br />

La condanna ufficiale alla clandestinità genera<br />

traumi, ma forgia anche linguaggi strategici. La profezia<br />

può migrare verso altri spazi e idee tra le quali oggi<br />

riconosciamo il sumak kawsay -il ben vivere del mondo<br />

quéchua. Ciò che l’enciclica Pacem in terris, di Giovanni<br />

XXIII, il Vaticano II e Medellín hanno designato «segni<br />

dei tempi» - l’emancipazione degli operai, dei paesi<br />

colonizzati e delle donne -, nella realtà furono lotte<br />

evangeliche abbandonate dalle Chiese. Sono riapparse<br />

in forma diversa nel mondo secolare, perché nell’ambito<br />

ecclesiale non hanno trovato spazi di dimora nè di<br />

ospitalità passeggera. Nell’orizzonte dell’utopia del Regno,<br />

tutti siamo possessori di speranza senza avere la<br />

possibilità della verità. Il suo possesso sarebbe la fine<br />

della storia. La speranza continua come eterna migrante<br />

nella ricerca della verità in mezzo ai disperati.<br />

Felicità,.dignità,.resurrezione..<br />

Secondo Ernst Bloch, le utopie sociali del ben<br />

vivere ricercano la felicità o almeno la riduzione della<br />

fame e della miseria. Le utopie del diritto naturale, con<br />

il loro centro di gravità nel campo giuridico dei diritti<br />

umani, ricercano la dignità, a testa alta, e la protezione<br />

legale della libertà e sicurezza. La vita concreta<br />

è minacciata in entrambi i campi: dalla fame e dal<br />

disprezzo o, come direbbe Marx, nella base e nella<br />

sovrastruttura. Il primato della dignità umana esige di<br />

dare priorità alla liberazione economica. Tra le due c’è<br />

una relazione di mezzi e fini.<br />

La sofferenza dei piccoli che soffrono la fame e<br />

dei disprezzati che soffrono l’umiliazione, suggerisce<br />

le sfide etiche dell’umanità, causate dall’accelerazione<br />

del potenziale distruttivo del capitale. Ed è questa<br />

sofferenza che può cambiare il corso della storia, la<br />

sofferenza autoriflessiva e organizzata che genera nei<br />

poveri discernimento e coscienza della sofferenza che<br />

può essere evitata e quella inerente alla condizione<br />

umana. I nomi concreti di queste sfide etiche sono:<br />

sfruttamento delle risorse umane e naturali e manipolazione<br />

genetica e psicologica, dentro e in funzione<br />

del mercato totale. Da lì emergono compiti urgenti di<br />

trasformazione: la redistribuzione dei beni secondo<br />

le potenzialità del pianeta Terra, il riconoscimento<br />

dell’Altro nell’orizzonte di un’armonia universale, e la<br />

partecipazione democratica di tutti, senza privilegi di<br />

classe.<br />

Ma a un’utopia che articola felicità e dignità<br />

manca ancora qualcosa per configurare il ben vivere.<br />

Allontanati la fame e il disprezzo della vita umana,<br />

questa è ancora minacciata dall’appropriazione privilegiata<br />

di alcuni. Pertanto il ben vivere ha bisogno<br />

di essere pensato per tutti, e nell’essere pensato per<br />

tutti, necessita, come terzo elemento, della giustizia<br />

distributiva e redistributiva. Il terzo elemento utopico.<br />

La giustizia ci ricorda, concretamente, coloro che sono<br />

morti ingiustamente. L’orizzonte utopico include oltre<br />

alla felicità e alla dignità, non la giustizia dei vincitori<br />

e dei sopravvissuti, ma la giustizia di coloro che non<br />

hanno avuto giustizia, vivi o morti. Il Messia verrà<br />

quando ci sarà per tutti posto alla mensa. Ma lui verrà<br />

anche come memoria di dolore di coloro che, castigati<br />

dalla fame e dal disprezzo, saranno caduti nella tomba<br />

della dimenticanza. La giustizia per tutti è impensabile<br />

senza la grazia della risurrezione dei morti e di un<br />

giudizio finale (cfr. Spe salvi 43s).<br />

La storia dell’umanità ha mostrato che l’annuncio<br />

della risurrezione e la vittoria sulla morte hanno riunito<br />

medici e sciamani, teologi e filosofi in una battaglia<br />

che, fino ad oggi, non è stata né vinta né persa. É<br />

presente in quasi tutte le culture e può inserirsi in immaginari<br />

molto diversi. A partire dalla triade -felicità,<br />

dignità, continuità di vita- comprendiamo che il sumak<br />

kawsay sarà sempre progetto, orizzonte e speranza<br />

temeraria.<br />

❑<br />

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