RETROMANIA - Sentireascoltare
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St VinCEnt - StrangE mErCy (4ad, SEttEmbrE 2011)<br />
Genere: avant pop<br />
A un ascolto immediato, Strange Mercy - terzo album di St Vincent alias Annie Clark -, chitarrista e<br />
polistrumentista americana, ex-Polyphonic Spree e Sufjan Stevens band, appare ambizioso e si pone<br />
quale ideale continuazione del precedente elaborato Actor, che un paio di anni fa ne aveva confermato<br />
il talento cristallino e cinematico.<br />
Un avant pop orchestrale il suo che mette in evidenza il virtuosismo chitarristico (ne ha dato prova negli<br />
ultimi tempi nella collaborazione con Bon Iver per lo score di Twilight: New Moon, e con David Byrne per<br />
un progetto che sarà pubblicato prossimamente) e si arricchisce di nuove spezie sonore, propendendo<br />
anche per un versante più musicalmente sperimentale, dalle parti di una Laurie Anderson più pop,<br />
che aveva costeggiato già in Actor, e non a caso dei Talking Heads per alcune<br />
melodie poliritmiche qui presenti.<br />
“Questa volta volevo un disco più immediato e diretto”, rivela, “non troppo<br />
abbellito e molto guitar oriented“ e infatti la traccia sonora che guida Strange<br />
Mercy, al di là delle coloriture più avant, è proprio rivolta a un chitarrismo compatto,<br />
rivestito di synth, cinematicamente affascinante e più aperto del solito<br />
a un versante sbarazzino, che appariva spesso nell’esordio Marry Me; si veda<br />
la Cruel che sembra fare il verso simpaticamente ai 70 degli Abba.<br />
Il tutto come se la Annie Clark di oggi facesse il punto non solo musicale ma esistenziale del suo percorso<br />
artistico. “In pratica volevo un disco che suonasse più umano, dopo tutto“, e crediamo di interpretare il<br />
suo pensiero nel senso di una maggiore apertura musicale e solarità, pur nell’ambito di una musicalità<br />
non facilissima quale è quella della Nostra. Un venirsi incontro a metà strada tra divulgazione e avant<br />
pop. Molto affascinante.<br />
(7.4/10)<br />
tErESa grECo<br />
spigolosità che ne aveva caratterizzato gli esordi; contrariamente<br />
a quello che ci si sarebbe potuto attendere<br />
la chitarra di Delia Gaitskell assume un ruolo più preponderante,<br />
lanciando sul lavoro un’impronta wave arrivata<br />
forse fuori tempo massimo, ma si era capito che<br />
il tempismo non è mai stato il loro forte.<br />
Quello che non cambia sono le esplosioni emotive, la<br />
vocalità usata come strumento e a tratti brandita come<br />
una clava, tanto che i vocalizzi dell’opener Chains ricordano<br />
quelli di Björk ai tempi degli Sugarcubes.<br />
Definitivamente migliorata è la grana melodica dei pezzi:<br />
lasciate da parte le velleità artsy e DIY, le ragazze hanno<br />
affinato la capacità di scrivere brani pop tout court<br />
(solo qualche obliquità nel chorus impedisce a Hey<br />
Watcha Say di rappresentare il perfetto mix fra wave e<br />
europop) e perfezionato alcuni trucchetti da studio che<br />
permettono loro di fare della title track un avvincente<br />
synthpop psychedelico.<br />
(6.7/10)<br />
diEgo ballani<br />
rolo tomaSSi - EtErnal youth (dEStination<br />
moon, giugno 2011)<br />
Genere: post-hc<br />
Se prendi il nome da un personaggio di Ellroy, non puoi<br />
fare a meno di essere cupo ed efferato, oltre che un po’<br />
schizoide. O viceversa. Questo devono aver, infatti,<br />
pensato i cinque inglesi da Sheffield quando decisero<br />
di battezzare il loro post-hc corposo e aggressivo col<br />
nome di Rolo Tomassi, riassumendo in una figura sola<br />
un intero immaginario violentemente americano. Cosa<br />
che si riverbera pure a livello musicale essendo gli States<br />
di Converge e Dillinger Escape Plan il primo, ovvio<br />
riferimento a venire in mente all’ascolto delle musiche<br />
di Edward Dutton (batteria), Joe Nicholson (chitarra),<br />
Eva Spence (voce), James Spence (synth, urla), e Joseph<br />
Thorpe (basso).<br />
Eternal Youth, altro nomen omen, è in realtà una raccolta<br />
antologica in doppio cd per 36 brani che mette in chiaro<br />
origini e frattaglie sparse a margine della discografia degli<br />
inglesi. A fronte di soli due album ufficiali (Hysterics,<br />
del 2008, e Cosmology dell’anno scorso) in 6 anni di vita,<br />
il quintetto ha sparso una miriade di pezzi piccoli e soprattutto<br />
split con altre band del sottobosco rumoroso<br />
inglese difficili da recuperare.<br />
Cosa comprensibile, questa necessità espressiva, ascoltando<br />
la furia con cui i cinque di Sheffield macinano<br />
suoni al calor bianco, affrontando e fondendo input tra i<br />
più diversi: un certo vezzo prog e una spiritualità da jazz<br />
libero che è più d’attitudine che elemento strutturale, su<br />
tutti. E a ragione, visto che proprio queste tensioni stilistiche<br />
diversificano l’altrimenti riconoscibile panorama<br />
sonoro instillando una certa, rinnovata curiosità in un<br />
settore che sembra aver detto già molto se non tutto.<br />
(6.7/10)<br />
StEFano piFFEri<br />
roSKa - JaCKpot Ep (rinSE, luglio 2011)<br />
Genere: uk bass, funky step<br />
Due release in un sol giorno dalla Rinse FM a nome Roska,<br />
e d’improvviso son grosse novità nella parabola<br />
UK step: l’una è il mixtape Rinse: 15 - Roska, che arriva<br />
puntuale a far da ago della bilancia lungo la lanciatissima<br />
tangente clubbing del fu dubstep, chiamando in<br />
causa per acclamazione tipini tutto pepe come Katy B,<br />
Redlight, Brackles, Ms Dynamite e tutta la crème dei<br />
fermenti londinesi; l’altra è questo eppì, che rappresenta<br />
la prima raccolta di inediti dai tempi della svolta dance<br />
premonitrice di inizio 2010.<br />
Se la compilation aggiunge un nuovo tassello (diciamo<br />
pure macigno) alla piega mainstream ormai dilagante,<br />
i nuovi brani non possono far altro che continuare il discorso,<br />
giusto? Macché: con due sonori schiaffi Jackpot<br />
e Roskallion riportano il calendario a due anni fa e distillano<br />
oscurità UK bass in piena regola. Una retromarcia<br />
vistosissima al Silkie del primo City Limits e alla claustrofobia<br />
dei dj-set degli orari più tardi, quelli che arrivano<br />
dopo le 2 A.M. per i survivors delle sale commerciali<br />
(Blame The Speakers: chi ha assistito al set conclusivo di<br />
Kode9 per il Meet In Town sa di cosa parliamo). Quasi a<br />
voler riconoscere all’estetica Magnetic Man i contorni di<br />
tendenza dilagante, (ri)assorbendo le depressioni dub<br />
come redivivo suono di rottura. E se la darkness tornasse<br />
di moda, qualcuno dovrà accendere un cero anche ad<br />
un certo Zomby.<br />
Jackpot EP ha però l’accortezza di non sputare nel piatto<br />
da cui suole servirsi, e soddisfa in chiusura le legittime<br />
fantasie dancehall, con una Leapfrog a riportare alla memoria<br />
Rinse Presents Roska (la rivalutazione qui è d’obbligo)<br />
e la cassa dritta che continua ad amoreggiare con<br />
le sfasature funky in 4th Blind Mouse e Wie Alt Bist Du.<br />
Un colpo al cerchio ed uno alla botte. E di nuovo quella<br />
netta sensazione che il ragazzo stia giocando in netto<br />
anticipo sui tempi...<br />
(6.9/10)<br />
Carlo aFFatigato<br />
ruFuS party - With uS (bluEbout<br />
rECordingS, luglio 2011)<br />
Genere: power blues<br />
Un tempo erano un power trio, i Rufus Party. Una decina<br />
d’anni passati a spellare palcoscenici nel segno del<br />
garage-blues prima dell’esordio Civilization & Wilderness,<br />
anno 2006. Oggi, un lustro dopo, al triangolo famigerato<br />
chitarra-voce-batteria aggiungono il basso ed<br />
un organo hammond, guadagnando in corpo, varietà ed<br />
intensità quel che pagano di ferocia. Ed ecco il sophomore<br />
With Us, prodotto da Andrea Rovacchi dei Julie’s<br />
Haircut: una corroborante dozzina di tracce declinate<br />
blues e power-pop, vagamente psichedeliche e quando<br />
occcorre gustosamente groovy.<br />
Piace soprattutto la devozione che mettono nel fare i<br />
nipotini infervorati dei Traffic (Father’s Song, In A Little<br />
While) o una filiazione iperadrenalinica degli Stones via<br />
Dandy Warhol (Panic In Gairo), impastando la morbida<br />
versatilità dei Gomez, la leggerezza arguta dei Cake e<br />
la tracotanza dei Flamin’ Groovies. Mediamente gradevoli,<br />
riescono a suonare irresistibili con pezzi quali Get<br />
Out Of My Way - lo schiaffo punk-blues che colma lo iato<br />
tra un facinoroso Jon Spencer ed i più trafelati Soundgarden<br />
(!) - e quella Death Of An Indie Chic che sciorina<br />
intrigante scioglievolezza come dei Suede contagiati da<br />
languori Roxy Music.<br />
(6.7/10)<br />
StEFano SolVEnti<br />
S.C.u.m. - again into EyES (mutE, SEttEmbrE<br />
2011)<br />
Genere: pop wave<br />
Ecco i nuovi ragazzi prodigio della Mute records. Si<br />
chiamano S.c.u.m., quintetto londinese dall’aria college-dandy<br />
che nel giro di un paio d’anni si è regalato<br />
un’escalation da primi della classe: il contratto con la<br />
Mute appunto, che li ha spinti nelle serate short circuit,<br />
poi un altro assaggio di grande pubblico nel palco<br />
Atp curato dai Portishead, e ora il debutto prodotto<br />
da Ken e Joylon Thomas, che nel curriculum vantano<br />
gente come Psychic tv, Bowie e Sigur Rós. Quando si<br />
dice nati sotto una buona stella....<br />
Venendo al disco, le coordinate sono presto dette: Again<br />
into eyes è indirizzato verso una pop-wave già matura<br />
e pronta per il mainstream. Un po’ come pensare agli<br />
Arcade fire trapiantati in terra d’Albione, perchè in fin<br />
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