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RETROMANIA - Sentireascoltare

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— cd&lp<br />

Recensioni<br />

settembre<br />

aa. VV. - utmarKEn 2011 (utmarKEn, luglio<br />

2011)<br />

Genere: noise<br />

A soli due anni dalla pubblicazione dell’omonimo 10<br />

pollici (che non mancammo di salutare con gioia nella<br />

relativa recensione) chiude, immaginiamo per questioni<br />

di permessi, l’Utmarken di Goteborg, centro polivalente<br />

sede di tutta la scena noise/out locale. Se nel 2009 era<br />

stato il suddetto vinile a celebrare il momento di maggior<br />

attività e creatività dei ragazzi svedesi, pare giusto<br />

che oggi sia un box di tre cassette a sancire la fine<br />

dell’esperienza. E qualcosa è pure cambiato nel corso<br />

di questi pochi anni, anche se più a livello anagrafico<br />

che altro.<br />

Ritroviamo infatti i beniamini (si fa per dire) Ättestupa in<br />

apertura con una Orostid - Greppet Hårdnar non così ispirata<br />

come lo fu a suo tempo Änglamakerskan ma sempre<br />

in grado di scandire l’immancabile liturgia funebre.<br />

Matthias Andersson non è più con Källarbarnen ma si è<br />

messo in proprio sotto il moniker Arv & Miljö, così come<br />

Viktor Ottosson non compare come Street Drinkers ma<br />

con l’assai più rumoroso, e rovinoso, Blodvite.<br />

New entry anche per David Eng degli Ättestupa, che<br />

col nuovo solo-project Skuggor ci martoria le orecchie<br />

degli otto minuti di Luften Blev Döv, e una nuova e più<br />

disastrata versione di Black Death che i Lust For Youth<br />

recuperano dall’album Solar Flare. Chiude Sewer Election<br />

e il suo harsh già da tempo sinonimo di garanzia<br />

letale.<br />

Un ricettario di malessere nordico, insomma, che ancora<br />

un volta fa il punto su una delle scene più attive e prolifiche<br />

- al limite dell’ipertrofia - d’Europa. Chissà cosa si<br />

inventeranno i giovani vandali scandinavi ora che la loro<br />

alcova non c’è più.<br />

(6.7/10)<br />

andrEa napoli<br />

aaron dilloWay - lip SynCing to VErmE<br />

(hundEbiSS rECordS, luglio 2011)<br />

Genere: noise<br />

Il reprobo in fuga dai Wolf Eyes, il padrone della efferata<br />

Hanson, il noiser più freakettone di tutti (do you remember<br />

Nepal?) riprende a pieno regime la sua produzione<br />

unendo le forze di nuovo con la premiata ditta Hundebiss,<br />

pronta ad incartarne come suo solito il nuovo albo<br />

in vinile. Lip Syncing To Verme vede Dilloway tornare a<br />

pubblicare sull’italico suolo dopo la sortita in cassetta<br />

proprio per la Hundebiss col titolo omonimo. Non di ristampa<br />

si tratta però, quanto di rielaborazione extended<br />

del mood che pervadeva quella tape in rigorosa edizione<br />

limitata. Droni montanti di sfattume noise e immondizia<br />

a bassa fedeltà che si scioglie in una stasi ambientale<br />

putrida fatta di materici rimasugli (A1), spastiche parentesi<br />

ritmiche dal procedere nonsense (A2), loop di nastri<br />

manipolati, tagliati, cuciti, imbastarditi innervati però da<br />

una predilezione cinematica (A3).<br />

La label, sempre attenta a edizioni curate nel minimo<br />

dettaglio (questa è in formato origami gigante e apribile),<br />

ne parla come di uno “slow motion Stan Brakhage on<br />

K”, per evidenziare il portato fluido e cinematografico del<br />

flusso sonoro. A noi viene più in mente una passeggiata<br />

bucolica in una landa di fangose aberrazioni, dalle quali<br />

si tenta di uscire in tutti i modi ma vi si resta imprigionati<br />

senza possibilità di fuga. Provate a calarvi nell’ascolto<br />

delle due lunghe tracce untitled del lato B e converrete<br />

che sembrano la colonna sonora di una discesa senza<br />

ritorno, drammatizzata fino allo spasimo, nelle sabbie<br />

mobili. Mai morte fu tanto piacevole.<br />

(7/10)<br />

StEFano piFFEri<br />

amEliE tritESSE - Cazzo nE SapEtE Voi dEl<br />

roCK and roll (intErno4rECordS, luglio<br />

2011)<br />

Genere: reaDinG rock<br />

C’è un senso di feroce familiarità che ti aggredisce appena<br />

partono le note degli Amelie Tritesse. Quelle che<br />

Manuel Graziani, apprezzato giornalista musicale, ha<br />

preparato per il suo progetto, sono le storie di un’umanità<br />

periferica che da queste parti dovremmo conoscere<br />

fin troppo bene.<br />

Tutta quella parte della provincia italiana, che non è<br />

quella falsamente ecumenica di Ligabue, per cui la formazione<br />

fatta sui dischi (magari dei Gun Club, sognando<br />

le palme di Miami) è importante quasi quanto gli insegnamenti<br />

di nonni coriacei (come quelli cantati nella<br />

highlight<br />

a WingEd ViCtory For thE SullEn - a WingEd ViCtory For thE SullEn (KranKy,<br />

SEttEmbrE 2011)<br />

Genere: post ambient<br />

Cosa può mai accadere se un visionario del dream pop come Dustin O’Halloran - la metà mascolina dei<br />

Devics, da tempo autore di un apprezzato percorso parallelo solista - e un artefice del miglior postambient<br />

come Adam Wiltze - del duo texano Stars Of The Lid - decidono di unire gli ineffabili intenti?<br />

Qualcosa di non clamoroso, certo, ma denso e intenso a dispetto della dogmatica levità. Sette tracce<br />

orchestrali per il debutto omonimo di questo progetto denominato A Winged Victory For The Sullen,<br />

sette passi tra le nuvole coltivando angelici turbamenti, palpitazioni tenui<br />

e trascendenze paniche.<br />

Archi come il respiro misterioso della natura o il brusio segreto di tutte le<br />

albe già state e future, il piano che sgocciola accorata pensosità come un<br />

Brian Eno liofilizzato (Requiem for the Static King Part Two), impressionismo<br />

e romanticismo sfumati d’astratto (il Debussy bradicardico di Minuet for a<br />

Cheap Piano, lo Chopin misterico della splendida A Symphony Pathetique), lo<br />

struggimento artico e pastorale degli ultimi Sigur Ròs (Steep Hills of Vicodin<br />

Tears), certa delicata narcosi Terry Riley (All Farewells Are Sudden), il tutto sullo<br />

sfondo d’un minimalismo imperturbabile e accorato (l’apprensione Eric Satie<br />

dell’iniziale We Played Some Open Chords and Rejoiced, For the Earth Had Circled the Sun Yet Another Year).<br />

Questo disco è il tedio sublime che stavamo cercando e non avevamo osato chiedere. Un’ipotesi di retroavanguardia<br />

appartata, accattivante in virtù di una raffinatezza mai forbita, fieramente obsoleta. La<br />

dedica al mai troppo rimpianto Mark Linkous è il tipico valore aggiunto della faccenda.<br />

(7.3/10)<br />

StEFano SolVEnti<br />

tenera Oplà). Nei suoi testi c’è un senso dell’ironia arguto<br />

e pungente, capace di fermarsi ad un passo dal cinismo;<br />

come quando in uno dei brani più divertenti e amari<br />

della raccolta (Liverpool Pub) fa i conti con lo stato d’animo<br />

di un precario alle prese con il rampantello di turno.<br />

Ad accompagnare la prosa c’è un gruppo affiatato e concreto,<br />

che rifugge dalle tentazioni artsy per ricorrere a<br />

strutture squisitamente rock. “Un energico read’n’rock di<br />

provincia”: sono loro stessi a suggerire la definizione più<br />

corretta sulla copertina del libro che accompagna il cd.<br />

Un mix inestricabile di musica e letteratura e vita che<br />

alterna sferzate elettriche, meditazioni digitali e crescendo<br />

elettroacustici che finiscono per prorompere in un<br />

canto liberatorio (La Sudarella). Un caso più unico che<br />

raro in un panorama musicale pronto come non mai ad<br />

affibbiare etichette fallaci.<br />

(7/10)<br />

diEgo ballani<br />

antitEQ - m.ag.ma Ep (magmatiQ rECordS,<br />

aprilE 2011)<br />

Genere: techno, iDm<br />

Non è ancora troppo tardi per recuperare l’ultimo EP di AntiteQ,<br />

dj e producer milanese con un paio di uscite in breve<br />

formato al suo attivo e un interessante sound esterofilo<br />

fatto di techno, idm e dubstep che val bene una chance.<br />

Questo Music Against Masses intende realizzare ancora una<br />

volta la rivincita della dance intelligente sulla pista techno,<br />

e lo fa accumulando complessità d’ascolto come da catalogo<br />

Warp ‘90 (B, N), con tanto di nerdismi 8bit che fanno<br />

tanto Aphex Twin (C, A). ‘Fuck dance, we are artists’? Non del<br />

tutto, perché la prepotente cassa in quattro sullo sfondo<br />

regala durezze di stampo teutonico e accende comunque<br />

le sinapsi sensibili all’aria del club europeo. In realtà dunque<br />

è più sfoggio dei propri mezzi che sviluppo di un concept.<br />

Tutto in una misura che non guasta e con un carattere ben<br />

definito. C’è speranza per un full-lenght qui in Italia o anche<br />

qui è inevitabile la fuga a Berlino?<br />

(6.6/10)<br />

Carlo aFFatigato<br />

60 61

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