RETROMANIA - Sentireascoltare
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trevigiano il cui nome è un omaggio al primo re d’Italia<br />
- e che diede i natali ad un musicologo illustre come<br />
Alberto Gentili - Vittorio Veneto, arrivi un duo, nato nel<br />
2010 dalle ceneri dei ben più rockeggianti Chinaski, che<br />
riapra il discorso per certi versi lasciato a metà.<br />
Sia ben chiaro: niente crossover, né postrock, né riletture<br />
illuminate. I Maya Galattici (Marco Pagot e Alessandro<br />
Antonel), a parte il nome fino al prossimo anno in<br />
odor di apocalisse, nel loro album d’esordio Analogic<br />
Signals From The Sun, svolgono benissimo un compitino<br />
ben circoscritto fatto di psichedelie indie pop e<br />
venature vintage; sonorità transeunte che vanno a posizionarsi<br />
nel ricco panorama sperimentale odierno fatto<br />
di continui rimandi tra vecchio e nuovo, passato e presente,<br />
rock e futuro. Perché qualcosa di nuovo, forte e<br />
sufficientemente gradevole bisognerà pure inventarselo<br />
prima o poi. Senza paura di scommettere, con lucidità,<br />
coraggio e convinzione.<br />
Ecco allora che il sole dei Maya ci invia un esempio più<br />
che valido di come disporre sullo scacchiere dell’elettronica<br />
i sempreverdi intensi e autentici sapori analogici<br />
condendo il tutto con un pizzico di onirica, poetica<br />
presunzione. Senza voltarsi ossessivamente indietro,<br />
con quell’approccio di insaziabile follia che rende brani<br />
come Green Green Town o Mrs Death pezzi pregiati. Qui<br />
tutto è meccanico e tutto è umano. Noi siamo nel mezzo.<br />
Ci guardiamo intorno coinvolti e sorpresi (Mechanical<br />
Cock), divertiti e dondolanti (Sad &Tired), affascinati e<br />
schiacciati (Our House Is Burning Down This Summer) da<br />
un progetto che ha tutte le carte per diventare qualcosa<br />
di importante.<br />
(6.8/10)<br />
gianluCa lambiaSE<br />
mEmory tapES - playEr piano (SomEthing<br />
in ConStruCtion, luglio 2011)<br />
Genere: inDie-pop<br />
Dopo Within And Without di Washed Out, tocca al sophomore<br />
del jersey boy Davye Hawk / Memory Tapes<br />
stabilire le relative distanze dagli Eighties, dalla chillwave<br />
e dal fortunato Seek Magic (30.000 copie vendute).<br />
Registrato ancora una volta in casa, ma con pulizia e<br />
microfonazione a fare la differenza, Player Piano è<br />
un canzoniere psichedelico di un girl group che usa le<br />
tastiere al posto della classica strumentazione Sixties;<br />
sono le parole dello stesso Hawk e la definizione casca<br />
a pennello nelle cadenze di una batteria Kinks o in<br />
certi arrangiamenti spectoriani sparsi a prezzemolo nel<br />
platter. Ci troviamo dalle parti dei Belle And Sebatian<br />
e in qualche nuvoletta dei Mercury Rev ma, in pratica,<br />
domina un’urgenza (indie)pop californiana leggera e<br />
straniante (gli strumenti, registrati separatamente, sono<br />
spesso off key).<br />
Fell Thru Ice II e la rockish Trance Sisters le uniche eccezioni<br />
proteiche, il resto scorre in dormiveglia tra le epoche<br />
(quasi) senza l’aiuto degli espedienti indietronici che<br />
in passato dominavano la scena. Si va dalla Byrds-iana<br />
Sun Hits, alla melanconica aura Fleet Foxes in bottiglia<br />
di Yes I Know, dal giro di basso synth Eighties di Offers,<br />
agli innesti pop al tempo della discomusic di Today Is<br />
Our Life, o a cose più Settanta come Worries, fino a certi<br />
Cure bambineschi in Wait In The Dark.<br />
60 e 80 e ritorno, in un mo(n)do possibile e alternativo<br />
a quello di Ariel Pink: Hawk ha già i numeri per essere<br />
una pop star di classe. A mancare a questo punto è<br />
l’uscita definitiva dai ranghi dell’indie.<br />
(7.1/10)<br />
Edoardo bridda<br />
miKa Vainio - liFE (...it EatS you up) (mEgo,<br />
luglio 2011)<br />
Genere: inDustrial noise<br />
La premessa è che la vita solista di Vainio non è mai stata<br />
lontanamente paragonabile a quella con il gemello<br />
Vaisanen nei Panasonic/Pan sonic, o per meglio dire,<br />
difficilmente ha aggiunto qualcosa a quanto già detto<br />
e fatto. Stesse ambientazioni noise-industrial in clima<br />
post-umano, esercitate nel medesimo spirito artigianale.<br />
Naturale quindi che Life (...it eats you up) batta sempre<br />
lo stesso chiodo, anche se ad onor del vero è una delle<br />
migliori interpretazioni fornite dal nostro. E’ tutto chitarra/feedback/distorsioni<br />
il disco: un primo quarto d’ora<br />
sparato noise con tutti gli stridii e le abrasioni del caso,<br />
poi arrivano un paio di basi industrial a ricordare Gravitoni<br />
e dare ritmo al lavoro, per finire con l’apparentarsi<br />
ad un certo drone/doom metal tipo Sunn o))). In mezzo<br />
quella irriconoscibile versione di Open up and bleed degli<br />
Stooges, come servisse a ribadire che di classe qui,<br />
ne gira parecchia.<br />
Certo è ancora un disco da fan, ma anche uno degli episodi<br />
più interessanti per avvicinarsi al mondo di Vainio:<br />
un po’ perchè torna ad andarci giù pesante, un po’ perché<br />
il gioco pieni/vuoti è ben calibrato, e il lavoro scorre<br />
via fluido nella sua (quasi) ora d’ascolto. Quel che si dice<br />
un lavoro ispirato.<br />
(7/10)<br />
StEFano gaz<br />
miStEr hEaVEnly - out oF loVE (Sub pop,<br />
agoSto 2011)<br />
Genere: Doom wop<br />
Amori fatali, divertissement e passione per i ‘50: il primo<br />
disco dei Mister Heavenly, progetto nato dalla collaborazione<br />
di Joe Plummer (Modest mouse, Shins), Ryan<br />
Kattner (Man Man) e Nick Thorburn (Islands, The Unicorns)<br />
si può riassumere così; e c’è da credere si saranno<br />
divertiti non poco a comporre queste 12 tracce, che la<br />
Sub pop si è già preoccupata di etichettare come doom<br />
wop.<br />
E’ l’apogeo delle melodie facili questo Out of love. Provare<br />
per credere già dopo il primo ascolto ci si ritrova<br />
a canticchiare metà disco, soprattutto la prima metà:<br />
Bronx Sniper apre le danze con uno dei pezzi più indie<br />
del lotto sui binari Modest mouse, poi c’è spazio per gli<br />
amori al tempo dei Platters con Charlyne e i coretti di<br />
Mister Heavenly, e non ci si toglie più dalla testa nemmeno<br />
la ritmica in levare di Reggae pie che non fosse (anche<br />
qui) per qualche divagazione retrò potrebbe stare in un<br />
disco di Strummer e i Mescaleros. Il limite? Alla lunga il<br />
giochino stanca, e la seconda metà dell’album si fa più<br />
noiosa: l’atmosfera vintage non se ne va mai e qualche<br />
pezzo rimane trascurabile nella sua aria tra Grease e<br />
American graffiti (Hold my hands, Young girls).<br />
Nel complesso però, vuoi per la bontà degli arrangiamenti,<br />
vuoi per la spensieratezza di cui è imbevuto il<br />
disco, il risultato rimane accattivante. Come si diceva,<br />
ritornelli killer e storielle adolescenziali: è arrivato l’album<br />
dell’estate.<br />
(7/10)<br />
StEFano gaz<br />
mondKopF - riSing doom (Fool houSE,<br />
SEttEmbrE 2011)<br />
Genere: Doom rave<br />
A 2 anni di distanza dallo scorso Galaxy Of Nowhere, il<br />
francese Mondkopf continua a girare intorno al french<br />
touch rimanendone tuttavia a debita distanza. Orientamento<br />
già emerso con la prova precedente, in cui era<br />
esplosa la più volte espressa influenza della Warp idm<br />
classica, quella di Aphex Twin, Autechre e Clark: ne era<br />
venuta fuori una ambient-techno che solleticava il nurave<br />
con fare leggero e sbarazzino, lasciando intendere<br />
un possibile distacco dalle tesi di Ed Banger & co.<br />
Rising Doom, invece, torna a pestare i piedi per terra, ed<br />
alla consistenza eterea dell’altro album sostituisce un<br />
rigore maggiormente body-oriented. Un approccio più<br />
industriale che armonico, di un tenebroso a tratti demoniaco<br />
(vedi le ambientazioni mystical-horror di Moon’s<br />
Throat o il finale armageddon di Fossil Lights), in pratica<br />
l’opposto del gaming adolescenziale di Rival Consoles.<br />
Quasi Mondkopf voglia pensare il tocco french a partire<br />
da tesi black metal: idea che risulta pressocché nuova<br />
tra le produzioni strutturate, ma che finisce per trovare<br />
diversi punti di contatto con realtà underground come<br />
i Covox dell’Infiltrator EP e gli ultimi Zoom-on-a-kill.<br />
L’ipotesi non è campata in aria, insomma, e offre discreti<br />
margini di espansione. Da una parte la durezza rave<br />
è filtrata attraverso i digital music maker e - come da<br />
prassi - assume sembianze trance che Pendulum e Deadmau5<br />
conoscono bene (quest’ultimo in particolare<br />
si fa sentire in Deadwood e Day Of Anger). Ma c’è anche<br />
un risvolto più carismatico, un buio electro che si allontana<br />
volentieri lungo tangenti witch appartenenti ad<br />
una parentesi ormai chiusa: quelle depressioni funeste<br />
di Where The Gods Fall, Sweet Memories e Girls Don’t Cry,<br />
che ricalcano i solchi aggressivi e senza mezze misure<br />
dei Salem.<br />
È lecito pensare che anche questa rimarrà un’evoluzione<br />
isolata, ma dopo l’eclettismo a 360° di SebastiAn e<br />
l’esperienza ludica di Rival Consoles i tasselli per un<br />
possibile nuovo volto nu-rave iniziano ad accumularsi.<br />
Per chi pensava non ci fossero più possibilità di mutazione.<br />
(6.6/10)<br />
Carlo aFFatigato<br />
motion SiCKnESS oF timE traVEl -<br />
luminariES & SynaStry (digitaliS,<br />
SEttEmbrE 2011)<br />
Genere: musica cosmica<br />
Le stelle ci guidano. Il movimento degli astri, la loro<br />
ascedenza sul vivere quotidiano, sul comportamento<br />
delle persone, sulle relazioni umane. La trascendenza<br />
per eccellenza e il zodiaco come mappa mentale, psichica,<br />
sensoriale. Rachel Evans è una ragazza originaria<br />
di La Grange, Georgia, protagonista di un serpeggiante<br />
e rumoroso hype che dal sottobosco delle cassette l’ha<br />
catapultata nel giro di un annetto o giù di lì nel girone<br />
alla moda dei vinili in edizione limitata con confezione<br />
cd di corredo. Luminaries & Synastry è il suo secondo<br />
disco, dopo che il debutto dell’anno scorso Seeping<br />
Through the Veil of the Unconscious l’aveva fatta conoscere<br />
al mondo per il suo talento nel disegnare astratti<br />
congegni melodici al synth.<br />
Perché di questo si tratta. Rachel eccelle nei madrigali<br />
ultraterreni a base di minimalismi synth / trance onirici<br />
e ipnotici, collocandosi evidentemente sulla scia del<br />
maestro JD Emmanuels e del suo capolavoro Wizards,<br />
dove forse per la prima volta venne allestito un patto<br />
alchemico tra cosmo e terra usando le note del synth<br />
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