RETROMANIA - Sentireascoltare
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dell’etichetta - ci pare decisamente riuscito.<br />
(7/10)<br />
Fabrizio zampighi<br />
FEnnESz - SEVEn StarS (touCh muSiC uK,<br />
SEttEmbrE 2011)<br />
Genere: Drone<br />
A tre anni da Black Sea, Fennesz torna con un 10’’ sempre<br />
per Touch di cui verrà pubblicata a settembre una<br />
versione cd con l’aggiunta di un paio di remix (Shift, Reshift)<br />
già disponibili in download se si acquista il vinile<br />
presso il Touchshop.<br />
Il mini contiene quattro brani all’insegna di un suono<br />
crudo e diretto - spogliato del noise e senz’altro più povero<br />
rispetto alla tracklist del mare nero - dove la chitarra<br />
elettrica (ma anche acustica) del viennese troneggia<br />
su un missato di synth, giusto qualche linea di basso e<br />
altrettanto castigati inserti digitali. L’album è stato inciso<br />
lo scorso gennaio e le prime due tracce, Liminal e July,<br />
risalgono a esistenti versioni occasionalmente suonate<br />
dal vivo (Liminal è stata incisa in una camera d’albergo<br />
a Bali nel 2010), la prima vede l’austriaco dipingere a<br />
scure tinte una landa goth-industrial salvo poi risolverla<br />
in caldi arpeggi alla elettrica, la seconda, riporta alla<br />
cara trasfigurazione folk-pop attraverso un suono più<br />
pacifico e orchestrale.<br />
La vera novità del disco è comunque la batteria di Steven<br />
Hess (Fennesz stesso parla di voler includere le pelli<br />
nei lavori futuri), microfonata da Christoph Amann,<br />
presente nella traccia che dà il nome all’album, nonché<br />
l’aggancio più immediato all’indimenticato Endless<br />
Summer. Seven Stars riporta alla magia estiva dei suoi<br />
primi 2000 ma la sostanzia in una seconda trasfigurazione<br />
per synth, chitarra “in chiaro” e, infine, le timide spazzole<br />
del batterista (che non spostano il risultato finale di<br />
alcunché). Il finale Shift completa il mini con un drone<br />
ascensionale, elegiaco e crepuscolare che rimanda agli<br />
esperimenti goth dream primi 90 quali Lycia, Black<br />
Tape For A Blue Girl e co..<br />
Rispetto alla magistralità di Black Sea, Fennesz sembra<br />
voler tornare ai basic della propria musica (4AD, shoegaze,<br />
drone music, i Beach Boys trasfigurati di Plays) per<br />
trovare nuove strade.<br />
(6.7/10)<br />
Edoardo bridda<br />
Fionn rEgan - 100 aCrES oF SyCamorE<br />
(hEaVEnly, agoSto 2011)<br />
Genere: folk/cantautorato<br />
C’ha messo cinque anni, ma alla fine la stoffa autoriale<br />
e personale comincia a farsi sentire. Dopo un esordio<br />
(The End Of History) nominato - da perfetto sconosciuto<br />
al Mercury Prize - e un sophomore in direzione<br />
più elettrica (The Shadow Of An Empire), il cantautore<br />
dublinese classe 1981 comincia a staccarsi dai riferimenti<br />
del genere a cui ha dimostrato amore sconfinato.<br />
Così si lasciano i territori totalmente dylaniani e l’intimismo<br />
più drakiano per cercare di scavare una propria<br />
linea accanto all’altro ingombrante dublinese di questi<br />
anni, Conor O’Brien, meglio noto come The Villagers.<br />
Il fingerpicking di janschiana memoria rimane un tratto<br />
saliente della composizione di Fionn Regan, ma si<br />
fonde con un arrangiamenti orchestrali che mettono<br />
insieme il folk britannico classico, con il pop orchestrale<br />
e qualche influenza esotica che fa capolino qua e là.<br />
Non mancano le ballate d’amore struggente con tanto<br />
di campanelle (Lake District), i calembeur linguistici (List<br />
Of Distractions), i riferimenti bucolici (For A Nightingale).<br />
Ma è con commistioni più personali, come il tentativo<br />
di unire le Cliffs of Moher con Tin Pan Alley di Horses Are<br />
Asleep o nella titletrack che si nota di più la stoffa della<br />
sua penna.<br />
Come si conviene a un folksinger, Regan sa certo scrivere<br />
poetiche storie di vita in musica (Sow Mare Bitch Vixen,<br />
1st of May), ma questo ce lo si aspetta. Quello che non ci<br />
si aspetta è che senza stravolgere una formula classica si<br />
riesca ancora a trovare poesia. Regan ci riesce.<br />
HVN228 Fionn Regan - For A Nightingale by heavenlyrecordings<br />
(7/10)<br />
marCo boSColo<br />
ganglianS - Still liVing (SoutErrain<br />
tranSmiSSionS, agoSto 2011)<br />
Genere: psych-pop in lo-fi<br />
Il comeback della formazione di Sacramento sembra<br />
mettere a fuoco le già ottime intuizioni proposte con<br />
Monster Head Room, l’esordio targato Souterrain Transmission<br />
che ci colpì favorevolmente un paio di anni<br />
fa. Ora il concentrato psych-rock in lo-fi del quartetto<br />
sembra avere un più ampio range col quale mostrarsi,<br />
sgrezzando le monodimensionali strutture portanti<br />
dell’esordio: dalle agrodolci e quiete introspezioni tipiche<br />
da ventenne rocker in action alle esplosive eruzioni<br />
di solare felicità si sfruttano numeri out-rock limitrofi a<br />
certa wave (Things To Know), slanci strumentali indie-<br />
80s ed estasi folkish californiana. Il tutto, sempre reso in<br />
maniera solare e spiaggia-friendly, come d’ordinanza. Se<br />
Ryan Grubbs, chitarrista e voce principale del quartetto,<br />
esordisce cantando al mondo “This is a sad, sad song /<br />
For all you sad, sad people” (l’opener Drop The Act) insomma,<br />
non c’è da prenderlo troppo sul serio.<br />
Still Living, nomen omen, ce li mostra vivi e vegeti, allegri<br />
e spensierati, sia che trattino la materia con vocalità<br />
sinfonic-pop retaggio di Beach Boys et similia (That’s<br />
What I Want), che emulino il ripescaggio rock 60s-oriented<br />
dei Thee Oh Sees (il mood oscuro e i coretti irresistibili<br />
di Jungle, le melodie twangy di Good Times) o<br />
che inanellino gemme di puro sixties sound wilsoniano<br />
(California) o di psichedelia soffusa e suadente (Bradley<br />
o Sleep), i quattro centrano sempre il bersaglio grosso.<br />
Dopotutto, è lo stesso portavoce della band ad ammetterlo:<br />
This is outsider music, but with a pop sensibility that<br />
brings everyone in. Come dargli torto?<br />
(7/10)<br />
StEFano piFFEri<br />
gianCarlo FrigiEri - i Sonnambuli<br />
(autoprodotto, agoSto 2011)<br />
Genere: cantautorato<br />
Autoprodotto, autodistribuito e soprattutto - buon per<br />
lui, buon per noi - sempre più fertile, Giancarlo Frigieri<br />
torna a poco più di un anno dal buon Chi ha rubato le<br />
strade ai bambini? con questo I sonnambuli che di<br />
fatto ne raccoglie il testimone, insistendo nel solco di<br />
quella stessa sensibilità disallineata che a tratti sconfina<br />
in una calda, meditata misantropia. Tu chiamalo se vuoi<br />
cantautorato, senza prefissi né suffissi, questa critica intensa<br />
e impietosa sotto forma di canzoni ai (falsi) rituali<br />
del vivere civile e al loro inevitabile riverbero nell’intimità.<br />
Intendo proprio QUEL cantautorato, dei Guccini<br />
dei Bennato dei Bertoli e dei Gaber, per intendersi, le<br />
cui calligrafie aleggiano un po’ in tutta la scaletta. Quello<br />
che non si ha più il coraggio di fare e sentire, perché<br />
linguaggio trito e pretenzioso, compiacente e autogratificante,<br />
col tranello della retorica sempre pronto a<br />
spalancarsi ad ogni passo.<br />
Frigieri, invece, non fa una piega. Tiene la barra ferma<br />
e fiera, spreme lo sdegno con cura piantando gli occhi<br />
negli occhi del sonnambulismo esistenziale - senza fare<br />
sconti, neanche a se stesso - e perciò confeziona dieci<br />
ballate ben salde sulle proprie gambe. Perché a farlo con<br />
le giuste dosi di intensità, cura e asciuttezza, il giochino<br />
funziona eccome, ed è perfino capace di suonare ben<br />
immerso nella contemporaneità. Quando poi l’ex-Joe<br />
Leaman cala sul piatto gli ingredienti “alieni” del suo<br />
retroterra, è il classico grasso che cola: vedi ad esempio<br />
la flemma Fred Neil de Il turista, i tremori Tim Hardin<br />
nella splendidamente gaberiana Fino a rovinar del tutto,<br />
le palpitazioni semiacustiche Eels di Comodo o il fragore<br />
Neil Young/Steve Wynn di Controesodo.<br />
Per restare alle canzoni, doveroso mettere in rilievo<br />
come La madonna del cavalcavia vanti uno dei migliori<br />
testi - accorato e spiazzante - mai partoriti dal Nostro,<br />
mentre l’arguta La gente sciorina un bell’arrangiamento<br />
in bilico tra oriente e tex-mex. Forse la più bella del<br />
mazzo sarebbe l’indolenzita Non lo so dire, ma andrebbero<br />
prima digerite quelle somiglianze dell’arpeggio col<br />
tema di Rose rosse per te, e francamente la vedo dura.<br />
Disco sostanzialmente riuscito, robusto sia esteticamente<br />
che poeticamente al netto della tutt’altro che<br />
sgradevole fragranza low-cost. Ancora uno chapeau per<br />
Giancarlo Frigieri.<br />
(7/10)<br />
StEFano SolVEnti<br />
giorgio barbarotta - Snodo (gb,<br />
atraCouStiC, WondErmarK, giugno 2011)<br />
Genere: folk rock, pop<br />
E’ incline alla poesia intimista quanto alla denuncia sociale<br />
il nuovo album di Giorgio Barbarotta Snodo. Un’accoppiata<br />
forse non originalissima ma resa attraente e<br />
piacevole da un folk rock imbevuto di blues e melodia<br />
all’italiana diretto con passione e gusto dal cantautore<br />
trevigiano. E’ dedicata al premio Nobel per la pace<br />
Barack Obama il brano che apre il disco, Buone nuove,<br />
un’intensa e amara riflessione a cui fa seguito il singolo<br />
Noi, elegiaca rivendicazione ambientalista. Guai a<br />
prendersi troppo sul serio però e L’Alchimista, divertita<br />
metafora del mestiere del cantautore, e Galleggiando<br />
in provincia, ironica folk song sulla condizione degli artisti<br />
che vivono ai margini delle rotte che contano, sono<br />
pronte a ricordarcelo.<br />
La delicata dedica alla nascita di un figlio, Il Motore è<br />
l’amore, fa invece il paio con l’introspettiva ballad dal<br />
misurato sapore romantico Riesci ad imbrogliare il tempo,<br />
in un percorso più intimo e sussurrato. La denuncia<br />
delle condizioni di vita dei lavoratori nei campi di raccolta<br />
di pomodori al sud (Podere 41) e la rabbiosa Mediacrazia,<br />
nero e psichedelico atto d’accusa sull’imperare<br />
dei mezzi d’informazione, riporta l’album su frequenze<br />
decisamente più agguerrite e militanti. Ma nell’evocativo<br />
Snodo c’è ancora tempo per uno svincolo onirico e<br />
misticheggiante disegnato attraverso il connubio tra<br />
leggende di mare, storie di porto e credenze religiose<br />
(Dalla marea), una festosa celebrazione di vita e natura<br />
dai toni bandistico-edonistici (Sinfonia di maggio) e il<br />
personalissimo confronto-dialogo con il divino (Che ne<br />
diresti). Inutile girarci intorno: Barbarotta è uno che con<br />
le parole ci sa fare. Forse non sempre riesce a risolvere<br />
musicalmente come vorrebbe e in alcuni casi l’ascoltatore<br />
attento potrebbe avvertire un leggero senso di<br />
insoddisfazione condivisa con l’autore. Ma di contro<br />
ci sono le rime invidiabili di un poeta che dopo tanta<br />
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