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RETROMANIA - Sentireascoltare

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Per chi legge SA, Reynolds non ha certo bisogno di presentazioni. Ma un<br />

ripasso dei fondamentali ogni tanto sicuramente non guasta.<br />

Simon Reynolds (Londra, 1963) è nell’immaginario di chi consuma critica<br />

musicale «quello che ha inventato il termine post-rock». È considerato uno<br />

dei massimi critici contemporanei, influente anche in ambito accademico<br />

(popular music studies e dintorni), indicato dagli addetti ai lavori come perfetto<br />

esempio di integrazione tra puntiglio metodologico e capacità narrative.<br />

Tra i suoi lavori, in cui è spesso evidente uno sfondo teorico mutuato<br />

dalla teoria critica e dai cultural studies, vanno citati almeno i basici Energy<br />

Flash: A Journey Through Rave Music and Dance Culture (1998; ed. it. Generazione<br />

ballo/sballo, Arcana, 2000; rist. 2010 Energy Flash), in cui si è occupato<br />

delle sottoculture elettroniche emergenti in Inghilterra, dalla house al rave<br />

e oltre (è l’harcore continuum ragazzi), e Rip It Up and Start Again: Post Punk<br />

1978-1984 (2005; ed. it. Post-Punk, Isbn, 2006), monumentale ricostruzione<br />

storico-critica della new wave (qui invece la nostra recensione dell’antologico<br />

e auto-celebrativo follow up di Post Punk, Bring the Noise, in italiano Hip-Hop-<br />

Rock, che traccia i percorsi del meticciato musicale bianco+nero dagli anni<br />

Ottanta ai Duemila).<br />

Reynolds ha cominciato a scrivere di musica sulla fanzine autoprodotta<br />

Monitor (1984) ed è poi passato alla stampa regolare, prima su «Melody<br />

Maker» e, poi come freelance di lusso, su «Mojo», «Uncut», «The Wire», «Village<br />

Voice», «New York Times». Il suo ultimo libro è Retromania, un saggio<br />

sulla vera e propria “ossessione del passato che sembra permeare la cultura<br />

pop contemporanea”, uscito a giugno per Faber&Faber e di cui attendiamo<br />

l’edizione italiana per metà settembre. Il suo blog personale è http://blissout.<br />

blogspot.com/. Questo invece il blog italiano dedicato a Retromania, curato<br />

da Isbn: http://retromania-isbn.blogspot.com/.<br />

Fine della musica?– Abbiamo avuto il piacere di intervistare via Skype<br />

Michele Piumini. Ci ha parlato del suo lavoro di traduzione per i tuoi libri<br />

e ci ha dato molte gustose anticipazioni di Retromania, la cui versione<br />

italiana uscirà il 15 settembre come sempre per Isbn. Fin dal titolo e dai<br />

lanci sul web il libro ci ha subito interessato; molto semplicemente, perché<br />

il suo tema è la ‘fine della musica’ (e delle arti in generale). Nel senso<br />

pienamente post-moderno di fine della Storia, del progresso come freccia<br />

orientata verso il futuro, fine del nuovo. Michele ci ha fatto capire come<br />

il libro sia, da questo punto di vista, piuttosto pessimista. Ci rivolgiamo<br />

sempre più al passato della nostra memoria per trovare ispirazione e - soprattutto<br />

- prendere interi blocchi di materia musicale: abbiamo avuto il<br />

revival degli Ottanta, dei Novanta, abbiamo rivalutato il Kitsch, i b-movie<br />

e così via. In musica adesso c’è l’Hauntology, con il glo-fi, la chill-wave,<br />

l’hypnagogic pop, tutte forme di sublimazione della nostalgia di un certo<br />

passato musicale. Ecco, da un punto di vista strettamente pratico, la big<br />

question è: cosa succederà quando i nostri figli o i loro figli si troveranno<br />

di fronte come uno possibile revival un “revival del revival”?<br />

Come parte delle mie ricerche per Retromania ho letto The End of History<br />

di Francis Fukuyama; non il libro del 1992, proprio il saggio originale,<br />

scritto poco prima della caduta del Comunismo e che in un certo senso la<br />

anticipava. Quello che mi ha più sorpreso è stato scoprire quanto il saggio<br />

fosse ambivalente: non è assolutamente una trionfalistica celebrazione della<br />

vittoria del capitalismo liberale contro il socialismo. Il paragrafo conclusivo<br />

immagina secoli e secoli di noia gettare la loro ombra sul nostro futuro:<br />

un’era post-ideologica di compiaciuto consumismo. Fukuyama pensa che<br />

finiremo con il re-inventarci scismi ideologici giusto per rendere la nostra vita<br />

più interessante, usandoli come un defibrillatore per fare ripartire il cuore<br />

della Storia.<br />

L’equivalente musicale di questa idea di una infinita fine della storia è una<br />

delle cose su ho più meditato in Retromania, come quando scrivo che la pop<br />

music finirà “non con uno schianto [è una citazione da The Hollow Men di Eliot,<br />

ripresa da molti e ad esempio da Richard Kelly nel suo film-corto circuito<br />

pop Southland Tales; ndr] ma con un box set i cui quattro dischi che non<br />

avrai mai il tempo di infilare nel lettore”. Uno stato di entropia assolutamente<br />

piacevole, in cui possiamo usufruire di tutti i capolavori di cinque decadi di<br />

storia del rock, come pure di tantissimi tesori perduti e di estemporanee<br />

scoperte marginali provenienti dal passato, in cui possono nascere continuamente<br />

nuove band per offrire infinite sottili ricombinazioni che rimescolino<br />

le carte del catalogo di stili offerto dal passato. L’Ipod e Internet, con la loro<br />

sovrabbondanza di scelte, hanno aperto la strada ad una condizione postideologica<br />

del fandom musicale, in cui siamo tutti eclettici e galleggiamo<br />

tra i generi, avanti e indietro tra i decenni, senza mai prendere davvero una<br />

posizione, senza mai concentrarci davvero su un particolare genere, scena,<br />

epoca. La mia curiosità intorno alla musica mi conduce verso l’eclettismo,<br />

ma il mio carattere mi fa tendere verso l’ossessione. Puoi vedere in azione<br />

questa mia vera e propria lotta interiore lungo tutto Retromania: da una parte,<br />

mi sento profondamente attratto da quella che la giornalista di punk del<br />

NME Julie Burchill ha sprezzantemente descritto come “rock’s rich tapestry”<br />

(la ricca tappezzeria del rock); dall’altra, credo, come del resto la Burchill,<br />

che l’essenza del fandom musicale sia il fanatismo (è quello che significa<br />

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james ferraro

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