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RETROMANIA - Sentireascoltare

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ES - tutti Contro tutti portiErE VolantE (FoSbury, SEttEmbrE 2011)<br />

Genere: rock<br />

Correva il 2003 quando gli Es si guadagnavano gli entusiasmi del mondo indie per The mistercervello<br />

LP, album che li vedeva esordire ufficialmente dopo l’autoproduzione altrettanto intrigante di MUSICA<br />

TEDesCA tric e troc (1999). Poi, chissà perché, non ne abbiamo più avuto<br />

notizie. Un po’ di tumulti in formazione, la “distrazione” di altri progetti (coi<br />

sodali Valentina Dorme soprattutto), forse una certa allergia per l’aria da<br />

catastrofe imminente degli anni zero. Insomma: spariti. Evaporati. Altro che<br />

iato, signori miei. Otto anni è un coma vero e proprio. Quando già stavamo<br />

per decretarne la morte clinica - al netto di qualche spasmo vitale in<br />

un paio di compilation perlatro ormai datate - la band trevigiana si rende<br />

oggi protagonista di un risveglio clamoroso col qui presente Tutti contro<br />

tutti portiere volante. Nel frattempo sono diventati un quintetto e le idee<br />

sembrano un po’ più solide, fermo restando il piglio balzano. Ovvero, stavolta abbiamo a che fare con<br />

canzoni vere e proprie, con la voglia di compiersi in quanto tali.<br />

Ascoltandole vieni colto da una strana sensazione: come se le ideuzze più imprendibili dei Novanta ti<br />

osservassero beffarde, sfarfallando vivaci tra stomaco e pensieri, scoppiettando nonsense allusivi come<br />

adrenaliniche apoteosi contro-emo. Quasi volessero dirci (quelle ideuzze): ci avete liquidate troppo in<br />

fretta, signori miei. Il programma si compie quindi nel segno d’un lo-fi sparso e dinoccolato (la svenevolezza<br />

ghignante di Ho ormai i tuoi nei, la noncuranza malkmusiana di Metà di metà), concedendosi<br />

sdilinquimento post-psych (Sto benissimo), divagazioni Flaming Lips via Polvo (Pardesòra, Air guitar) e<br />

sacrosanto estro noise-pop (Kerry Von Erich), mentre un simile processo euforizzante sembra riguardare<br />

tanto le vampe oblique degli Scisma (L’articolo the davanti a nome di band) che la gravità letteraria dei<br />

Marlene Kuntz (La lingua sotto i denti, Ex bambini buoni).<br />

E’ tutto un gioco, certo, graziosamente indocile ed evasivo, però tutt’altro che disimpegnato semmai<br />

impegnato - disperatamente impegnato - a tenere accesa la fiamma pilota dell’intelligenza. Vale a dire,<br />

cazzonismo analitico - per non dire anarchico - come antidoto per questi tempi grami. Che altro dire:<br />

felice di riaverli tra noi.<br />

(7.2/10)<br />

StEFano SolVEnti<br />

abbia trovato uno stato di grazia cavalcando la tradizione<br />

(vedi la cover di Townes Van Zandt Rex’s Blues)<br />

e rivangando i suoi blues (Littlest Birds l’avevamo infatti<br />

già sentita nel debutto Catalpa del 2003). In più ci sono<br />

l’omaggio al blues elettrico di Neil Young (l’opener All<br />

Those Girls), le puntatine rock slo-mo southern (Gold And<br />

Yellow), le visioni con violini oniric-country (June) e pure<br />

le strizzatine d’occhio al pop acustico (Wreckage).<br />

Un quinto album che conferma la Holland come una<br />

delle più interessanti voci americane fuori dalle scenes’,<br />

dentro un cammino che col passare del tempo si rivela<br />

pieno di personalità e di continua voglia di mettersi in<br />

gioco. Ben fatto, Jolie.(7.2/10)<br />

marCo braggion<br />

Jonathan WilSon - gEntlE Spirit (bElla<br />

union, SEttEmbrE 2011)<br />

Genere: aciD folk<br />

Più che un disco, quello di Jonathan Wilson, trentasettenne<br />

da Forest City, North Carolina, è un atto d’amore.<br />

Per una musica, il folk speziato d’acido che ha attraversato<br />

in lungo e in largo una stagione musicale<br />

che si è stesa a cavallo dei Sixties e dei Seventies, e una<br />

scena, quella del Lauren Canyon, rivitalizzata coinvolgendo<br />

Chris Robinson e attirando una pletora senza<br />

quasi fine di musicisti del giro Americana/alt-country/<br />

folk psichedelico americano. Il risultato di questo atto<br />

d’amore, fatto di lunghe jam session immerse in quel<br />

mondo verticale che è un canyon e di tempi dilatati per<br />

la composizione e registrazione degli episodi, è un di-<br />

sco di folk capace di incamerare elementi pop, parente<br />

stretto di David Crosby, del Neil Young On The Beach e<br />

dei Quicksilver Message Service, di quella stessa musica<br />

di cui sono innamorati i Pink Floyd pre-dark side of<br />

the moon.<br />

The Way I Feel è un tributo alle chitarre dei Crazy Horses,<br />

supportate da un organo e agli archi che sono il tappeto<br />

su cui poggiano molte delle composizioni migliori. Il<br />

fingerpicking di Can We Really Party Today? è già materia<br />

da hobo su una strada polverosa, verso il sogno americano,<br />

mentre Waters Down si tinge di blues leggero per<br />

una delicata elegia bucolica che si chiude in scatoligici<br />

presagi di tempesta. I brani, spesso lunghi (ben oltre i<br />

sei minuti), di Gentle Spirit trasudano di presenze ectoplasmatiche,<br />

di echi e riverberi del canyon, di schegge<br />

e manipolazioni sonore che mostrano l’abilità di Wilson<br />

come produttore e ingegnere del suono (già con Erykah<br />

Badu, Elvis Costello e James Browne), oltre che la<br />

sua competenza polistrumentistica. Code e introduzioni,<br />

rumori e voci stranianti che appaiano senza essere<br />

annunciate in molti brani contribuiscono a dare quel<br />

tocco di acidità che basta a farlo stare fuori dalla strada<br />

maestra del folk e introdurlo in quel cono d’ombra dove<br />

psichedelia e folk si incontrano.<br />

Per un disco completamente registrato in analogico,<br />

e il cui principale output è l’antico vinile, Gentle Spirit<br />

appare comunque un disco di oggi, immerso com’è in<br />

quella nostalgia che sta caratterizzando molto del folk<br />

contemporaneo, poso desideroso di staccare lo sguardo<br />

da alcune decadi particolarmente foriere di talenti e<br />

grande musica. Lo fa guardando al passato con l’occhi<br />

dell’innamorato, ma anche con il giusto distacco di chi<br />

quel passato sa manipolarlo e renderlo nuovamente<br />

attuale.<br />

(7/10)<br />

marCo boSColo<br />

KanyE WESt/Jay-z - WatCh thE thronE (roCa-FElla,<br />

agoSto 2011)<br />

Genere: hip hop pop<br />

Pensato inizialmente come EP che raccogliesse il meglio<br />

dei brani messi in free download con l’operazione GOOD<br />

Fridays, diventato poi progetto autonomo e album vero<br />

e proprio, registrato in giro per il mondo, Watch the<br />

Throne è praticamente un jam album, infarcito com’è<br />

di ospiti (il solito Kid Cudi, una ottima Beyonce, un Bon<br />

Iver riconoscibile ma comunque troppo trasparente),<br />

pezzi co-cantati e co-prodotti (stradominano Kanye e<br />

Mike Dean ma ci sono anche RZA, Neptunes e Q-Tip).<br />

Jam album eppure lavoro più concreto, meno dispersivo<br />

di My Beautiful Dark Twisted Fantasy, e non poteva essere<br />

diversamente, dato che quello era un disco-manifesto,<br />

un progetto affetto da un gigantismo programmatico,<br />

da una megalomania baraccona e fuori misura, anche<br />

per Kanye.<br />

La formula di mesh hiphop + superpop viene ampiamente<br />

confermata, ma qui l’uomo trova, in coppia con Jay-Z<br />

(spaccone pure lui, ma coi piedi sempre ben piantati<br />

per terra), l’equilibrio giusto delle parti. No a caricature<br />

involontarie allora o a particolari tamarrate, via a giri<br />

incisivi, campioni molto indovinati e loop funzionali<br />

(Otis Redding, ovviamente James Brown, Quincy Jones,<br />

i Cassius, persino un trattamento killer su un mini-riff di<br />

Phil Manzanera), dosando bene dimensione rap (occhio,<br />

se Jay-Z quando vuole spacca tutto, Kanye è raramente<br />

interessante come rapper, semplicemente perché per<br />

lui il rappato e i testi non sono tanto un fattore estetico,<br />

quanto un espediente comunicativo, politico), appetibilità<br />

pop, trucchi elettronici (l’autotune ballad New Day,<br />

l’ostinato scampanellio di Welcome to the Jungle, una<br />

Who Gon’ Stop Me con lontani echi footwork, una Niggas<br />

in Paris dalle parti dei Die Antwoord) e suggestioni UK<br />

(leggi ragga). Il tutto sempre tra strada e poltrona di<br />

pelle, tra pathos sincero e sincera ostentazione di sé:<br />

“Now all my niggas designing and we all swaggin’ / Ignore<br />

the critics just to say we did it / This ain’t no fashion show,<br />

motherfucker, we live it”.<br />

Dicevamo dell’autocaricatura bypassata: beh, ci sarebbe<br />

proprio Made in America, inno di orgolio nazionale<br />

e di orgoglio nero (sfilano i santini Martin Luther King,<br />

Malcolm X, le prime grandi cantanti blues) come solo<br />

gli americani riescono a concepire, con una ‘bitch’ che<br />

sta manco ad una virgola di distanza da ‘jesus’ (e del resto<br />

Kanye aveva già avuto modo di precisare che “pussy<br />

and religion is all I need”), ingenuo da morire, ma - forse<br />

anche per questo - a tratti sinceramente commovente.<br />

Un ottimo album di HH commerciale, incisivo, luccicante,<br />

ma anche sanguigno, bello ruvido, con un’ottima media<br />

generale e qualche numero davvero potente.<br />

(7.3/10)<br />

gabriElE marino<br />

Karl marx WaS a broKEr - alpha to omEga<br />

(ESCapE From today, SEttEmbrE 2011)<br />

Genere: math stoner<br />

Un ossimoro come propulsore poetico di questo ordigno<br />

basso-batteria capace di snocciolare noise-wave<br />

intruppato math, carburato hardcore e dalle incandescenti<br />

derive stoner. Del resto questi tempi di templi<br />

(certezze economiche, fortezze finanziarie...) che crollano,<br />

autorizzano eccome una scudisciata nonsense come<br />

Karl Marx Was A Broker, questa la ragione sociale dei<br />

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