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RETROMANIA - Sentireascoltare

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di Back To The Beach: canzoni trafelate come sogni di<br />

rincorsa, cui sembra sempre mancare qualcosa ma non<br />

l’ingrediente che ti aggancia, ti avvince come un dolce,<br />

ammaliante fastidio. Questo disco vuole essere un po’ il<br />

tributo di Zonda all’estate come stagione delle memorie<br />

che s’imprimono a caldo. Un’estate cittadina perché i soldi<br />

sono finiti e allora le vacanze diventano due settimane<br />

di fregola creativa rigorosamente DIY. Ora, il fatto che<br />

i soldi siano finiti perché c’era da produrre il video del<br />

nuovo album - non questo, un altro - è l’anello che salda<br />

la catena e rende ubriacante la pedalata. Per i primi di<br />

settembre è infatti prevista l’uscita di There’s A Girl That<br />

Never Goes Out, che sarebbe tecnicamente il successore<br />

del qui presente. C’è bisogno di aggiungere altro?<br />

(6.8/10)<br />

StEFano SolVEnti<br />

tyVEK - FaSt mEtaboliSm (m’lady’S, luglio<br />

2011)<br />

Genere: shit-Gaze<br />

Dopo due album che, pur con le dovute eccezioni, non<br />

rendevano l’impatto sbilenco e la freschezza psicotica<br />

dei primissimi singoli, arriva (a grande richiesta, verrebbe<br />

da dire) la raccolta di questi ultimi.<br />

Il gruppo di Detroit è stato infatti uno dei nomi caldi della<br />

già tramontata stagione shit-gaze e Fast Metabolism<br />

(precedentemente edito in solo CDr) è qui a ricordarcelo.<br />

Nove brani che deflagrano schegge impazzite di postpunk<br />

lo-fi disturbato e indisponente, dove le ritmiche a<br />

dir poco infantili sorreggono nenie vocali e chitarristiche<br />

drogate ed ebbre e dove il malessere, più istintivo che<br />

ragionato, del vivere in una metropoli così putrescente<br />

si riversa in brevi pezzi, concepiti in garage e inzuppati<br />

di demenza urbana.<br />

Ne sono prova inconfutabile Mary Ellen Claims e Air Conditioner,<br />

due dei pezzi migliori in assoluto che mostrano<br />

la cifra dissennata del gruppo at his best, come non è più<br />

stato in grado di mostrarsi se non in sporadici episodi.<br />

Ben venga dunque questa operazione nella speranza<br />

che in futuro i cinque nerd ci regalino ancora qualche<br />

chicca per cui valga la pena amarli e seguirli.<br />

(7.3/10)<br />

andrEa napoli<br />

undErground railroad - WhitE night<br />

Stand (onE littlE indian, giugno 2011)<br />

Genere: GrunGe, post-punk<br />

Nati parigini, ma londinesi d’adozione, gli Underground<br />

Railroad giungono con White Night Stand al terzo lavoro<br />

in studio, affinando la propria commistione di grunge,<br />

post-punk e vaga psichedelia. Rispetto ai due dischi<br />

precedenti, Twisted Trees e Sticks and Stones (rispettivamente<br />

2007 e 2008) le atmosfere si sono fatte più cupe,<br />

complici i continui riferimenti al cinema di David Lynch,<br />

che sta diventando uno degli oggetti di culto di molto<br />

indie-mondo di oggi.<br />

Indecisi tra vaghe pulsioni da stadio che fanno tanto Foo<br />

Fighters come in Ginkgo Biloba e Rude Awakening (ma è<br />

innegabile che sotto a tutto il loro DNA sia forgiato a partire<br />

dal grunge primevo) e seguire il solco dei Sonic Youth<br />

meno sperimentali (Yellow Suite, The Orchid’s Suite), i tre<br />

riescono bene laddove cercano di mescolare elettronica<br />

povera con l’atonalità (Lucky Duck) e un incedere circolare<br />

(Russian Doll), o con un tocco bluesy (8 millimetres).<br />

(6.4/10)<br />

marCo boSColo<br />

VEgEtablE g - l’almanaCCo tErrEStrE (ala<br />

bianCa, SEttEmbrE 2011)<br />

Genere: pop<br />

Mantenendo la tradizione di un disco ogni due anni, i<br />

Vegetable G tornano con un nuovo album - per la prima<br />

volta interamente in italiano - che abilmente si districa<br />

in quel pop sperimentale ora filosofico ora giocoso che<br />

tanto piace all’eclettico Giorgio Spada. Anticipato dal fin<br />

troppo ammiccante singolo La filastrocca dei nove Pianeti<br />

e con l’incursione ai fiati dell’onnipresente Enrico<br />

Gabrielli, L’almanacco terrestre è un passo in avanti per<br />

la band di Monopoli compiuto solo per metà. Diviso tra<br />

riferimenti in Battiato, Bluvertigo e Max Gazzè, ma con<br />

l’aggiunta dei lampi di preziosa creatività a cui il gruppo<br />

ci ha abituato negli ottimi lavori precedenti, L’almanacco<br />

è un disco che se in parte convince sul terreno dell’originalità<br />

nelle soluzioni stilistiche, dall’altro non completa<br />

quel salto di qualità (ma leggasi anche maturità) che ci<br />

si auspicava col passaggio alla lingua italica.<br />

Brani come La voce di Pan, L’uomo di pietra, L’idea del<br />

Plancton, suonano come germogli, piccole perle, pronti a<br />

sbocciare ma a cui manca ancora qualcosa per uscire definitivamente<br />

dal selciato dell’indie. Le liriche evocative e<br />

immaginifiche non sempre convincono e spesso litigano<br />

con un sound di matrice anglofona poco incline a unirsi<br />

con la nuova lingua. I Vegetable G scelgono spesso di<br />

giocare sulla difensiva, con gli esterni bassi, come li chiamerebbero<br />

oggi, svolgendo bene il compitino ma nulla<br />

più. E la bellezza evocativa di un concept album infuso<br />

in un pop gioioso, stellato, innamorato d’amore e ricco di<br />

immaginazione e di rimandi, rivelatore di un suggestivo<br />

scenario surreale legato al ciclo armonioso legato alla<br />

natura e all’esistenza, rimane in parte incompiuto.<br />

Lo scambio tra antico e futuro rimane un’idea, le stelle<br />

ascoltano e lanciano un plauso alla gioiosa gentilezza<br />

highlight<br />

toddla t - WatCh mE danCE (ninJa tunE, agoSto 2011)<br />

Genere: soulstep, post-raGGa<br />

Un disco che come nella miglior tradizione dei sophomore si distanzia dalle<br />

origini e prende una strada nuova. L’arma della smarcata col passato fa bene<br />

a Tom Bell, che da quel bruciante esordio in fissa con la cultura ragga (Skanky<br />

Skanky) ne ha fatta di strada. Ora il ragazzo, emigrato da Sheffield a Londra, ha<br />

infatti una trasmissione su BBC Radio 1, ha prodotto tracce per Roots Manuva,<br />

Ms Dynamite e altre star della scena urban, ha una pletora di remix e pure<br />

un’etichetta (la Girls Music, in cui bazzica pure Roska).<br />

Come avevamo già anticipato qualche giorno fa, lo stesso Toddla ha dichiarato che il disco è dedicato a<br />

quei clubbers che vogliono riposarsi o ascoltare qualcosa prima di arrivare al lavoro, e quindi si inserisce<br />

in un contesto urban che fa l’occhiolino al post-dupbstep invischiato con il pop soul (vedi il rimando a<br />

Katy B e alle produzioni house Novanta in Take It Back con il feat di Shola Ama), ha ancora qualche puntatina<br />

drum’n’bass tagliata con melodie sciccose (Cruise Control) e ovviamente si riconosce in un’eredità<br />

elettrica che ha le sue basi sempre a Kingston, ma le muta con i Soul II Soul più 80 che mai (Cherry Picking<br />

trasfigura Tina Turner oggi), con la cultura a 8-bit della cheap music (stupendo il singolo ‘in opposition’<br />

Streets So Warm) o con il taglio banghra-vocoderato che è suo marchio di fabbrica (Body Good).<br />

Anche se le dichiarazioni dell’uomo volano basso su un presunto rallentamento del beat, la presenza<br />

nei credits di gente come Skream e Roots Manuva (suo il featuring in uptempo funk un po’ alieno dal<br />

contesto globale nel singolo che dà il nome all’album) ci fa capire come le tracce saranno ben presto<br />

sciacallate da una pletora di remixers (vedi le buone prove già effettuate da SebastiAn e Dillon Francis)<br />

o di DJ, che riusciranno a farci ballare sulle note del soul di inizio millennio. Senza sputtanarsi, Bell crea<br />

il giusto compromesso tra la moda del momento (il soulstep), le roots’ (il ragga della conclusiva Fly) e<br />

il pop. Dancehall di classe per Tod.<br />

(7.3/10)<br />

marCo braggion<br />

musicale del gruppo pugliese ma anche la richiesta<br />

incondizionata di un ulteriore passo in avanti, magari<br />

senza aspettare altri due anni (aggiungo io).<br />

(6.6/10)<br />

gianluCa lambiaSE<br />

ViVa brothEr - FamouS FirSt WordS<br />

(gEFFEn, agoSto 2011)<br />

Genere: Gritpop<br />

Perplime non poco la stampa britannica che da quarant’anni<br />

ha smaniato per l’arrivo dei nuovi Beatles e<br />

ora si ritrova a cercare con il lanternino i nuovi Oasis. I<br />

Viva Brother sono di Slough vi dice qualcosa? Provate a<br />

dare un occhiata alla wikipedia e fatevi due risate amare:<br />

Slough è famosa per la puzza (the Slough stench), per<br />

il fatto che dai Settanta a oggi è la stessa identica città<br />

(parole del comico locale), per degli indici di criminalità<br />

e narcotraffico tra i più alti del Paese, e perché sempre a<br />

questo benedetto posto dimenticato dal KGB, la BBC ha<br />

dedicato una miniserie intitolata - e non è uno scherzo<br />

- Making Slough Happy.<br />

Slough è l’archetipo della città derisa e sfigata e i Viva<br />

Brother il prototipo del gruppo autentico per eccellenza.<br />

Roba che la Manchester dei Gallagher e la Sheffield dei<br />

Pulp perdono a tavolino in un gioco delle parti stampa/<br />

band a rendere il tutto ancor più comico. I Viva Brother<br />

fanno la scheda stampa e NME scrive. Influenze? Una santa<br />

trinità di Smiths, Stone Roses e Blur (no gli Oasis non<br />

ci sono). Slogan provocatori? If anyone here doesn’t want<br />

to see the future of music, leave now. Genere? In autodefinizione,<br />

rubando alla critica il giochino preferito, ovvero<br />

coniando il Gritpop da britpop e grit, un britpop risoluto, in<br />

pratica. Producer? Naturalmente Stephen Street, l’uomo<br />

delle grandi occasioni dalle stelle dei Novanta a oggi.<br />

E’ troppo bello per essere vero: Famous first words è una<br />

delusione totale. Immaginatelo un sound che rimbalza dai<br />

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