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RETROMANIA - Sentireascoltare

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— vhs Grindhouse<br />

prEdator<br />

John mctiernan (u.s.a., 1987))<br />

È il 1987 e un Arnold Schwarzenegger ancora lontano<br />

dalla poltrona di governatore della California si presenta<br />

al David Letterman Show per promuovere il suo nuovo<br />

film, Predator. Fotografato in questo momento della sua<br />

carriera, siamo in presenza di un Arnie ancora abbastanza<br />

grezzo. L’accento austriaco è molto marcato e certe<br />

ruvidità mitteleuropee sono lungi dall’essere limate . eppure<br />

che uomo dello spettacolo! Che scaltrezza politica<br />

nel sapersi intingere nel ridicolo per uscirne subito dopo<br />

come nuovo! Letterman ci va a nozze. Scherza sulla pronuncia<br />

esatta di “Schwarz’n ‘eggahhh” e sul significato del<br />

cognome che in austriaco starebbe per “Black Plow Man”,<br />

più o meno “Uomo nero dell’aratro”, e via di lì, con battute<br />

su battute e un Arnie che tiene testa al grande matteur<br />

en scene televisivo e piazza i suoi fendenti sapendola<br />

lunga su quello che bisogna fare nel cinema business<br />

hollywoodiano degli anni ’80, ovvero battere il ferro finché<br />

è caldo e plasmarsi a nuova icona mitologica della<br />

cultura pop. “If you’ve loved Terminator, then you will love<br />

Predator”. Grazie Arnie, cosa sarebbero stati questi anni<br />

senza di te? Un uomo che prima della svolta politically<br />

correct de I Gemelli con Danny De Vito (e da lì l’inevitabile<br />

parabola discendente con la sua versione friendly<br />

anni ’90 e il passaggio anche molto iconico di Termi-<br />

nator 2, dove diventa ahinoi buono) piazza cult movie,<br />

uno dietro l’altro, con la stessa metodica insistenza di un<br />

Uzi 9mm: Conan Il Barbaro, Conan Il distruttore, Terminator,<br />

Commando, Codice Magnum, L’implacabile,<br />

Danko e dulcis in fundo Predator.Un film come non se<br />

ne fanno più e lo abbiamo capito al cospetto del nasone<br />

di Adrien Brody che cerca in tutti i modi di fare il macho<br />

nel terrificante Predators di Robert Rodriguez. Giammai!<br />

“Solo Arnie può uccidere Predator” sentenzia un anomino<br />

commentatore su youtube e lo sappiamo benissimo<br />

dopo un decennio di esperimenti crossover chiamati<br />

Alien Vs Predator che hanno via via ammazzato il prototipo<br />

originale in una marea di popcorn stantii e unti,<br />

il cui unico pregio è quello di farci vedere Roul Bova<br />

accoppato nel primo dei due film. Ma qui no. Qui siamo<br />

nel 1987 e le cose si fanno ancora come comanda Dio.<br />

Tra questo primo film della serie (ma anche il secondo<br />

con Danny Glover è ancora un buonissimo film .) e tutti<br />

gli altri venuti dopo, c’è la stessa differenza che passa tra<br />

una protesi al silicone e la cara vecchia carne donataci<br />

da madre natura. John McTiernan utilizza la carne, gli<br />

altri la plastica. E di carne al fuoco, appunto, ce n’è molta.<br />

Regista che parla la lingua action con una padronanza<br />

carismatica, McTiernan all’epoca veniva da un horror di<br />

culto chiamato Nomads, con Pierce Brosnan e Adam<br />

Ant. Dopo il successo planetario di Predator, verrà ripa-<br />

gato a dovere con una sfilza di progetti ad alto budget<br />

e altri film di successo stratosferico come Trappola di<br />

Cristallo e Caccia a Ottobre Rosso prima del default<br />

di Last Action Hero che preluderà alla depressione e<br />

alla condanna a quattro mesi di carcere per aver mentito<br />

all’F.B.I. e aver fatto mettere sotto controllo i telefoni di<br />

importanti figure di Hollywood.Ma qui siamo ancora lontani<br />

da tutto questo e il progetto è solidissimo nella sua<br />

filosofia di base: fare un film di guerra con un elemento<br />

fanta-horror a fare da nemico. Per fare la guerra ci vogliono<br />

i militari e il plotone che viene mandato in missione<br />

in una intricatissima giungla sud-americana, spruzza testosterone<br />

ad ogni inquadratura. Innanzitutto Carl Weathers.<br />

E’ uno dei primi che si vede e li per li, stai quasi<br />

a chiederti cosa ci faccia Apollo Creed in un film con i<br />

militari, poi si capisce che Weathers, caratterista della<br />

vecchia scuola, sta cercando in qualche modo di uscire<br />

fuori dal cono d’ombra di Rocky e Predator è il primo<br />

atto di un fallimento che lo vedrà l’anno successivo nel<br />

tentativo di ergersi ad icona black, con il mitico Action<br />

Jackson. Passando rapidamente in rassegna il plotone,<br />

impossibile non notare poi Bill Duke, quello che in Commando<br />

si becca la mitica: “I berretti verdi me li mangio a<br />

colazione” e che prima di passare dietro la macchina da<br />

presa, fa un milione di comparsate in film di scarso o ampio<br />

respiro, a seconda del budget; c’è poi Jesse Ventura<br />

che ha cominciato come wrestler professionista, è passato<br />

per i film action con Arnie, ed è poi riuscito a farsi<br />

eleggere come sindaco di Brooklyn Park, sobborgo del<br />

Minnesota e che dire poi di Sonny Londham? L’indiano<br />

pazzo che ha cominciato come attore porno, è apparso<br />

in quasi tutti i film più maschi della decade, si è più volte<br />

candidato al ruolo di governatore del Kentucky e da<br />

cui la troupe del film doveva essere protetta tramite un<br />

bodyguard appositamente chiamato per far fronte alle<br />

sue irrazionali esplosioni di violenza ed ira. Poi, infine,<br />

c’è lui. Il Predator. McTiernan poteva sprofondare rapidamente<br />

nel ridicolo con la faccenda dell’alieno, perché<br />

nonostante ¾ del film siano esclusivamente dedicati al<br />

plotone e alla guerriglia para-vietnamita, la sostanza del<br />

progetto va a parare nel fantastico e nel soprannaturale<br />

e la miscela se non calibrata a dovere può scoppiarti tra<br />

le mani. Non è questo il caso. McTiernan sa benissimo<br />

che meno si vede meglio è e la felice trovata della vista<br />

a fasce termiche aiuta a calare tutto il film in un umore<br />

paranoide e ansiogeno che non fa altro che preparare il<br />

terreno per lo scontro finale. Il messaggio ultimo del film<br />

sembra abbastanza chiaro nella sua filosofia di fondo.<br />

L’uomo è soltanto un anello debole nella più vasta catena<br />

dell’universo e in qualsiasi momento da cacciatore<br />

può trasformarsi in preda. Filosofia che lascia il tempo<br />

che trova, perché fondamentalmente di fronte ad uno<br />

Schwarzy d’antan, con il sigaro in bocca, il sorriso sornione<br />

e il bicipite tirato l’ultima cosa che ti viene naturale<br />

è fare riflessioni metafisiche sulla natura dell’universo.<br />

Piuttosto, ti viene voglia di mandare la vecchia vhs del<br />

film ad Adrien Brody con sopra un post-it recante il seguente<br />

messaggio: “Veri Uomini si nasce, non si diventa”.<br />

antonEllo ComunalE<br />

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