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RETROMANIA - Sentireascoltare

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Re-Boot #18<br />

Morbido disimpegno e scudisciate ombrose, umori terrigni e insidie<br />

acide. Come al solito è disparata la nostra selezione di emergenze<br />

rock italiche. Saluti all'estate, benvenuto autunno.<br />

All’uscita di Kollaps degli Einsturzende<br />

Neubauten (1981) in pochi<br />

avrebbero scommesso che quei<br />

velenosi semi siderurgici potessero<br />

germogliare e dar vita ad una vitale<br />

ed infettante progenie musicale:<br />

proprio da quella lontana esperienza<br />

traggono oggi ispirazione i partenopei<br />

Nembrot ed il piemontese<br />

Andrea ICS Ferraris, che con Il<br />

suono dell’olifante (6.7, Zero Sonico<br />

Records/HYSM?) propongono<br />

senza soluzione di continuità 7 interessanti<br />

pezzi rumoristici, alienati e<br />

destrutturati, dall’evidente impronta<br />

estetica DIY. Napoli che reinventa<br />

Berlino, atmosfere industrial che<br />

fanno tabula rasa di pizza & mandolino<br />

e servono sul piatto dissonanze<br />

dilatate ed elettronica, desertificazioni<br />

urbane e paesaggi musicali<br />

psicotici. Questo disco è lo specchio<br />

impietoso del drammatico contesto<br />

in cui oggi versa la città campana;<br />

trae linfa vitale dagli scarti della società<br />

del consumo, usa e rigetta tut-<br />

to con violento disincanto: in modo<br />

indifferenziato.<br />

Per chi avesse voglia di confrontarsi<br />

col meglio della produzione<br />

dei due Vasco nazionali (Brondi e<br />

Rossi) ecco il bel disco omonimo<br />

dei Prof. Plum (autoproduzione,<br />

6.4/10): solide tessiture rock, suonate<br />

con giusta energia e piglio di<br />

derivazione post-punk sostengono<br />

liriche intelligenti, disarmate e disperate,<br />

condite qua e là di un sano<br />

umorismo nero. Non tutto colpisce<br />

per originalità e non tutto è a fuoco<br />

nei 5 pezzi di questo EP, ma i sensi<br />

di ragno vibrano. Da seguire.<br />

Orbite (autoprodotto, 6.1/10) è<br />

l’ep di esordio dei L’Elide, duo romano<br />

impegnato in un hardcorepunk<br />

virato noise con palpabili elementi<br />

emo, come un cozzo Marlene<br />

Kuntz-Nirvana e primi Radiohead.<br />

C’è il piglio giusto, c’è la voce con le<br />

adenoidi a repentaglio, c’è l’urgenza<br />

tra il problematico e lo psicotico. E<br />

c’è l’arredo: riff incalzanti, arpeggi<br />

Un mese di ascolti<br />

emergenti italiani<br />

uncinati, drummin gtumultuoso,<br />

melodia preda di pulsioni facinorose<br />

e fatalistiche agnizioni. Insomma,<br />

quanto ad applicarsi non c’è davvero<br />

male. A questo punto s’attende la<br />

zampata della peculiarità, la piega<br />

inedita delle cose. Ovvero, il difficile.<br />

Umori folk rubati alla Calabria<br />

terra d’origine ma anche analogie<br />

con i Love (Ballata), piani elettrici<br />

jazzati (Evviva evviva la società)<br />

e dialetto (Terra d’acqua e focu),<br />

Kurt Weill, (L’oste di sorte) e omaggi<br />

nemmeno troppo velati al Fabrizio<br />

De André delle collaborazioni con<br />

Massimo Bubola (Circuito assente).<br />

Maria Teresa Lonetti sintetizza nel<br />

suo disco d’esordio La grande danza<br />

(6.5/10, Sciopero Records) un immaginario<br />

regionale e istituzionale<br />

al tempo stesso. Terreno di confine<br />

tra quella canzone d’autore ai limiti<br />

della world music che dal già citato<br />

cantautore di Genova in poi detta<br />

legge e un background esperienziale<br />

eclettico vicino a pop e fusion.<br />

Fuori dai soliti schemi, insomma, e<br />

con un debito di riconoscenza verso<br />

gli Yo Yo Mundi rimarcato dalla<br />

cover de La danza dei pesci spada.<br />

Al solito spigolosi i Retrolover,<br />

tanto più nel loro nuovo Ep Ma<br />

voi siete moderni (6.6/10, autoprodotto).<br />

Il disco esce a due anni dal<br />

Retrolover omonimo già recensito<br />

su queste pagine e aggiusta il tiro<br />

verso una wave ai confini col noise<br />

(Ricordati) che ci pare più compatta<br />

rispetto al passato. Chitarre serrate,<br />

batterie minacciose, ma anche la capacità<br />

di elaborare geometrie strutturate<br />

e in qualche maniera inusuali.<br />

Come accade nella strumentale<br />

Enzo o magari in una Oh! che parte<br />

post-rock per poi incrociare synth,<br />

rigurgiti hard-core e stratificazioni<br />

strumentali.<br />

Artefatto, liquido e alternativo<br />

a qualsiasi contesto, questo Demo<br />

(autoprodotto, 6.3/10) d’esordio<br />

firmato Fiori di plastica è un seducente<br />

invito ad immergersi in quella<br />

musica che difficilmente potrete<br />

ascoltare in compagnia. Ci siete<br />

soltanto voi, Arlecchini nostrani immersi<br />

nel guazzabuglio alchemico<br />

dei giorni nostri. Voi e quelle gocce<br />

che scorrono tra tintinii di monete,<br />

un omaggio a Brian Eno e un’occhiata<br />

alla new wave. Qui è tutto<br />

un videogioco e voi per il momento<br />

state vincendo, ma occhio al mostro<br />

finale (e a dei cantati inascoltabili).<br />

Malgrado un accattivante package<br />

biologico - composto da due<br />

tavolette di legno rilegate con un<br />

filo di lana e coperte da una foglia<br />

a identificare la copertina – il nuovo<br />

EP Sleepy River (autoprodotto,<br />

6.1/10) che segue di tre anni il debutto<br />

del palermitano Claudio Cataldi,<br />

è un’escursione tra diversi lidi<br />

musicali – indie pop, acid folk, shoegaze<br />

- affrontati ora con sguardo<br />

maturo e talvolta poetico (Windmill,<br />

Inside My Car) ora con tentazioni<br />

sperimentali ancora piuttosto vaghe<br />

e indefinite (Sleepy River, Home).<br />

Urge un lavoro più composito – e di<br />

maggiore durata – per un giudizio<br />

più ampio e completo.<br />

Disimpegno a go go quello dei<br />

Chocolate Collective. Non sai bene<br />

quanto professato o rappresentato,<br />

fatto sta che il loro EP di debutto Tonite?<br />

(autoprodotto, 6.8/10) è tutto<br />

uno sgranchire le articolazioni all’insegna<br />

d’un electro-funk ora turgido<br />

e minimale (Broda&Sista, Revolution),<br />

poi smerigliato da un gioioso<br />

afflato pop-soul (Understand, RBN).<br />

Una leggerezza disinvolta che convince,<br />

tanto quanto stupisce questo<br />

strabismo estetico (poniamo tra il<br />

dance floor digrignato dei Rapture<br />

e certi miraggi estatici Flaming<br />

Lips) di cui al momento non s’intravede<br />

la sintesi. Non contenti, i<br />

quattro bresciani ci propongono<br />

in chiusura di scaletta la versione<br />

acustica di Revolution, come a dire<br />

c’è un’anima folk-blues dietro ogni<br />

cazzone elettronico. E quindi? Comunque<br />

sia, buone, buonissime<br />

potenzialità.<br />

nino Ciglio, StEFano SolVEnti,<br />

Fabrizio zampighi, Fabrizio gElmini,<br />

gianluCa lambiaSE<br />

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