RETROMANIA - Sentireascoltare
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sta nei graffi e nelle carezze di Who Can I Say, con le sui refoli sintetici alla<br />
Joy Division e le dolorose abrasioni del fuzz; nel technicolour dream a 8mm<br />
di Mirror’s Image, con i suoi loop electro stranianti, che perdono consistenza<br />
fino a sciogliersi in una densa mescola shoegaze.<br />
Per la prima volta si percepisce che la creatura Horrors è un mostro bicefalo.<br />
Da una parte c’è il saldo appiglio al lato gotico del progetto garantito<br />
da Badwan e dal suo oscuro songwriting, dall’altra c’è lo spirito più eclettico<br />
di Cowan e Webb (che nel 2009 pubblicano l’ep Something Clockwork<br />
This Way Comes con il moniker Spider And The Flies, segnato dal<br />
comune amore per il compositore Joe Meek, per i Can e la new wave) decisivo<br />
nell’imprimere la svolta artsy al gruppo. In particolare, benchè ancora<br />
ancorata al canovaccio verse-chorus-verse, la formula degli Horrors sembra<br />
sempre più lagata alla ricerca di sonorità suggestive, dell’effetto straniante<br />
e dell’atmosfera disturbante. “Non siamo il tipo di band che si siede sul tour<br />
bus con la chitarra acustica e cerca di tirare fuori un pezzo. Abbiamo bisogno<br />
di stare in uno studio e sfruttarne tutte le potenzialità”.<br />
A produrre l’album questa volta è Geoff Barrow, di cui probabilmente non<br />
sapremo mai l’entità del contributo artistico, ma al quale è facile attribuire<br />
la paternità di un’effettistica cinematica presente anche negli ultimi Portishead.<br />
A chi chiede loro se sono preoccupati della reazione dei fan della<br />
prima ora, i cinque rispondono seccamente: “non siamo interessati ad avere<br />
fan spaventati di un simile cambiamento”.<br />
La svolta, peraltro, è evidente anche dal vivo, non solo per il look che<br />
rinuncia agli eccessi goth degli esordi, prediligendo un nero sobrio da Manchester<br />
primi 80: il set si basa sulle nuove canzoni (i brani di Strange House<br />
vengono stipati quasi interamente nei bis), ma fallisce il tentativo di riprodurre<br />
dal vivo il maestoso impianto sonoro di Primary Colours, quasi che<br />
gli Horrors debbano ancora portare a compimento la loro dimensione live.<br />
In particolare si percepisce la difficoltà della band nel reinventare il proprio<br />
show, rispetto agli infuocati esordi in cui i cinque davano libero sfogo al<br />
proprio estro teatrale ed eseguivano ogni brano al doppio della velocità,<br />
in pieno spirito garage punk. Badwan, dal canto suo, fa quello che può, ma<br />
non è ancora lo sciamano psichedelico che ci si aspetterebbe ascoltandolo<br />
sulle tracce dell’album.<br />
Nonostante questo, riguardano proprio lui le notizie che rompono il silenzio<br />
attorno alla band. L’esibizione in Vaticano dei Cat’s Eyes, il progetto<br />
parallelo di Faris e della soprano e polistrumentista canadese Rachel Zeffira,<br />
genera un’onda mediatica che si propaga fino a fare del duo un’entità<br />
autonoma di primissimo piano. Badwan si dimostra autore raffinato e interprete<br />
duttile: cita Morricone e Nino Rota e spinge di un passo in avanti la<br />
propria vocazione cinematica.<br />
Nell’omonimo esordio, pubblicato la scorsa primavera, i Cat’s Eyes rinverdiscono<br />
i fasti di storici duetti dei sixties come quello Hazelwood/Sinatra e<br />
Gainsbourg/Bardot grazie ad una serie di brani prepotentemente evocativi,<br />
capaci di spaziare dal pop soul all’exotica, mantenedo connotazioni maestose<br />
e tenebrose. Con gli Horrors ancora in studio a preparare il seguito di Primary<br />
Colours ci si interroga l’impatto che il nuovo progetto del singer possa avere<br />
sulla band originaria. “Posso solo dire che sono migliorato come musicista – confida<br />
Faris – e spero che questo si rifletta anche nella musica degli Horrors”.<br />
Still Life, il primo singolo estratto dal nuovo lavoro, spiazza ancora una<br />
volta, sebbene possa considerarsi come l’ovvia prosecuzione del lato sin-<br />
tetico di Primary Colours. Più che un upgrade si tratta di un aggiustamento di<br />
tiro rispetto al lavoro precedente. “Quello che abbiamo fatto è stato semplicemente<br />
rallentare i tempi, aggiungere ritmo, dare più respiro alla voce - afferma<br />
Cowan - Ci sono poi tutta una serie di idee astratte, non necessariamente collegate<br />
ad un suono, che tuttavia volevamo sperimentare. La cosa più importante<br />
è stato portare avanti quel feeling iniziato con Primary Colours, quel senso di<br />
esaltazione e positività”. Intanto sono due le parole che si inseguono come<br />
un tam tam attraverso tutte le recensioni: Simple Minds.<br />
In effetti il passo lento, la vocalità solenne di Badwan e lo sfarfallio di<br />
tastiere ricorda proprio quello della band di New Gold Dream. Sottotraccia<br />
però c’è di più, ed è l’uscita di Skying a confermarlo. E’ storia di questi giorni,<br />
ma vale la pena ricordarla: il lavoro che la band compie su timbri, sonorità è<br />
complesso e strutturato. I brani sono omaggi floreali all’art pop di tradizione<br />
europea. Nella densa stratificazione sonora dell’album si sovrappongono i<br />
bagliori della Sheffield dei primi 80s, l’austerità della Berlino dei tardi 70s e<br />
la leggerezza della Manchester dei primi 90s. I tappeti sintetici la fanno da<br />
padrone e creano eleganti strutture psichedeliche talvolta scardinate da un<br />
uso imprevedibile della chitarra. E’ un suono al tempo stesso, trascendente<br />
e straordinariamente immanente, che si prende i suoi spazi ma si muove<br />
sempre all’interno degli steccati del pop.<br />
Sarà interessante valutarne l’impatto live ora che la band ha deciso dare<br />
maggiore omogeneità ai propri set eseguendo esclusivamente i brani degli<br />
ultimi due album. Tuttavia Skying lascia la piacevole sensazione di rappresentare<br />
l’inizio di qualcosa, più che la sua compiuta realizzazione: la perpetua<br />
transizione di una band che nel tentativo, ancora mortificato, di trovare se<br />
stessa, lascia per strada perle destinate a segnare in maniera indelebile il<br />
pop di questo primo scorcio di millennio.<br />
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