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RETROMANIA - Sentireascoltare

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le manifestazione di una lungimiranza e di una lucidità<br />

di intenti d’ampio respiro: ideologica e filosofica, prima<br />

ancora che esclusivamente musicale e, come tale, con<br />

pochi eguali.<br />

Sinistri vede la luce nel 1994, numero 2 del catalogo<br />

di un negozio di dischi bolognese riciclatosi in label:<br />

l’Underground Records fu l’artefice anche dell’esordio<br />

dei Massimo Volume, Stanze, non casualmente prodotto<br />

proprio da Manuele Giannini. Un album di rottura, senza<br />

indugi. Con pochi, lontani antecedenti (i pluricitati Area)<br />

e quasi nessun epigono successivo.<br />

L’unico pezzo larvatamente rock del lotto è Ordine<br />

Pubblico, rimando ellittico alla già citata Saturazione per<br />

impatto heavy e iconoclastia manifesta, mentre ad aleggiare<br />

sul tutto è la scelta di tecniche aliene al rock, con<br />

padri putativi come Stockhausen, Xenakis, LaMonte<br />

Young e il “padre del silenzio” John Cage. Così tra slanci<br />

da contemporanea aleatoria (Zentropia), brevi sketches<br />

d’impro (In Primo Luogo), vuoti sospesi e sospensioni jazzate<br />

(Mutilati), gli Starfuckers mettono a segno il proprio<br />

capolavoro, inspiegabile a parole. Questo disco è noioso.<br />

questo disco fa schifo, questo disco è sbagliato, dicono in apertura.<br />

La storia ha voluto e dimostrato il contrario.<br />

THe sHape oF silenCe To Come<br />

L’utilizzo strategico del silenzio ci ha permesso di superare<br />

quei tabù che riteniamo assolutamente nocivi a quello che<br />

noi consideriamo musica (dalle note su Infrantumi scritte<br />

da Manuele Giannini).<br />

L’era del silenzio istituzionalizzato – do you remember<br />

tutte le menate del “silence is the new loud”? – trova<br />

negli Starfuckers gli sperimentatori più radicali e gli avventurieri<br />

più spinti.<br />

Reticolati di segni e significati che si stravolgono senza<br />

che apparentemente i musicisti possano (e vogliano)<br />

avere voce in capitolo, in totale balia di ciò che sgorga<br />

autonomo dai propri strumenti: Infrantumi abbandona<br />

sin dall’inizio l’idea di composizione, il musicista non è colui<br />

che crea, decide e coordina una struttura musicale (noi rifiutiamo<br />

il concetto di musica come struttura), egli si limita ad<br />

innescare dei meccanismi per cui la musica possa comporsi<br />

da sé (musica come processo). Perché ciò sia consentito il<br />

musicista deve necessariamente farsi da parte e limitare<br />

al massimo ogni sorta d’intenzione (distruzione dell’io vs<br />

autorappresentazione); solo il silenzio è privo d’intenzione<br />

(imparare a tacere). (dalle Note d’accompagnamento).<br />

È un mondo sonoro etimologicamente Infrantumi<br />

quello attivato nella terza fase dall’ormai stabilizzato<br />

terzetto della Lunigiana. Imploso e frantumato in un<br />

insieme di schegge di suoni avant, singulti ritmici,<br />

abrasioni free-jazz che predilige il non-detto rispetto al<br />

detto. Che si nutre delle pause e del silenzio, oltre che<br />

dell’asincronia ritmica, per (de)costruire una idea musicale<br />

atavica eppure ormai perduta nel mare magnum<br />

della sovrastruttura. La fase della Nonmetric Solution si<br />

articola in due parti. La prima, spiazzante come al solito,<br />

riprende il discorso del silenzio e lo amplifica. Lo dilata,<br />

lo spezza, lo accelera, manco fosse il Cern di Ginevra alla<br />

ricerca della particella di Dio. Il risultato è una implosione<br />

del suono, un ripiegamento su se stesso, un accartocciamento<br />

in cui gli strumenti (chitarra su tutti) sembrano<br />

rattrappiti (Distribuisce Pastiglie o lo stop&go epilettico di<br />

Colei Con Cui), dissolti in una nebulosa apparentemente<br />

inintelligibile, nonostante intorno al terzetto ruotino numerosi<br />

musicisti “rock”, inclusi i Massimo Volume in toto.<br />

Il cuore di Infrantumi è l’annientamento della volontà<br />

creatrice, la sua totale spersonalizzazione attuata mediante<br />

ciò che è massimamente privo d’intenzione: il<br />

silenzio. Lo scarto con Sinistri risiede lì, nel principio generatore<br />

del silenzio e del vuoto. Nella funzione violenta<br />

e disgregatrice che silenzio, vuoto, pausa, frammentazione,<br />

asincronia possono assumere. In poche parole, il<br />

Concrete Rock and Roll.<br />

Con questo disco noi intendiamo: superare il tabù della<br />

musica come struttura per elaborarla come processo; superare<br />

il tabù della sincronia; superare il tabù dell’intonazione;<br />

liberarci dal nostro proprio io (musicale). Superare<br />

quindi non ogni limite, ma l’idea stessa di limite…(dalle<br />

Note).<br />

mUsiC is a pollUTion oF Time. ossia,<br />

l’eTerno soUndCHeCk.<br />

La leggenda narra che sia stata addirittura Lydia Lunch<br />

a coniare il termine, assistendo ad un live degli Starfuckers.<br />

Sia come sia, la definizione del famoso concerto<br />

del 1999 al Link di Bologna (sei ore ininterrotte di concerto<br />

con visuals) è applicabile anche a Infinitive Sessions,<br />

di cui guarda caso Eternal Soundcheck è parte integrante.<br />

Segnando cioè la fine di una fase (quella culminata nel<br />

disco precedente) e l’apertura di una nuova, interessata<br />

alle musiche nere, attenta alla ricerca delle (e sulle) ancestrali<br />

origini del rock.<br />

Dietro la definizione Black Roots si celano il funk, Hendrix,<br />

il jazz elettrico, il blues, James Brown, l’onnipresente<br />

Miles Davis ma, sottoposti al trattamento post-Infrantumi<br />

divengono una personale via alla (re)interpretazione<br />

dei canoni basata sulla tessitura sonora “per sottrazione”.<br />

La formazione si è ormai da tempo stabilizzata in trio.<br />

Infinitive Sessions è però il primo vero lavoro sul quale<br />

i tre lavorano senza ospiti o supporti esterni. Anche la<br />

voce è bandita. Un disco in cui la copertina nera, dopo le<br />

due bianche dei precedenti, non collima col senso del disco,<br />

ma rimanda alla matrice dei suoni in esso contenuti.<br />

Una mega-jam iniziale (Off-On-Off) fratturata in 3 canzoni<br />

(Blues Off, Drive On, Off Blues) su cui aleggia lo spirito<br />

benevolo del Davis elettrico virato i singulti di Arto<br />

Lindsay. Un corpo centrale, quell’Eternal Soundcheck doveroso<br />

tributo alla fase intermedia culminata nel live al<br />

Link, in cui prende corpo una psichedelia spettrale, fatta<br />

di flash in b/n, spezzone dopo spezzone a passo 1. A<br />

chiudere, la doppietta XX: Funked X e Vamped X, omaggi<br />

al re del funk James Brown e a se stessi: un power-trio<br />

che suona funk asincrono, scomponibile come fosse un<br />

gioco per bambini.<br />

Sottrazione di suoni al rumore, piuttosto che somma<br />

di suoni al silenzio, affermeranno i tre in seguito, riassumendo<br />

una delle possibili interpretazioni di un prisma<br />

sonoro.<br />

sinisTri, di nUovo. l’Universo<br />

sTarFUCkers in disgregazione (o in<br />

ripresa)<br />

Il presente non esiste. Per lo meno a nome Starfuckers. O<br />

forse sì. Progetto in stallo, in una di quelle pause miste a<br />

silenzi su cui l’epopea Starfuckers si è modellata prima,<br />

forgiata poi. E sarebbe strano pensare in termini di tempo<br />

lineare per un progetto che dell’incontro/scontro col<br />

tempo e sul tempo ha fatto un punto di forza.<br />

A prendere il sopravvento, dal 2004, è Sinistri, nuova<br />

ragione sociale per un nuovo cambio di formazione e di<br />

sostanza. Entra Dino Bramanti, apprezzato sound-artist<br />

prematuramente scomparso, che con le sue tecniche di<br />

rielaborazione del suono in tempo reale, sposta l’asse<br />

dalla chitarra/batteria a quello delle elettroniche. Se<br />

ne notano i frutti nell’unico album rilasciato, Free Pulse<br />

(Hapna, 2005), elaborato in base ai precetti della Nonmetric<br />

Music e del manifesto ideologico che guida l’ormai<br />

quartetto non solo nelle esplorazioni elettroniche/strumentali<br />

dell’album, ma anche in una definizione teorica<br />

del proprio procedere artistico/filosofico.<br />

Di lì in poi, la frantumazione sonora ricercata da un<br />

decennio abbondante sembra materializzarsi in una discografia<br />

aliena al formato-album, sparpagliata tra mp3,<br />

net-label, cd-r, sonorizzazioni e commistioni extra-musicali<br />

(Mattino, reading di presentazione del libro Mattino<br />

di turbinio d’agonia con bautte in seta di Cina, di Gian<br />

Paolo Guerini) con ultima manifestazione tangibile lo<br />

split 10” con gli OvO, volume 3 della Phonometak Series<br />

dei validi Mirko Wallace Spino e Xabier Iriondo.<br />

L’apparizione prima della ristampa Ordine ’91-’96, la<br />

riproposizione, in live sempre meno sporadici, del per-<br />

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