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RETROMANIA - Sentireascoltare

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highlight go ancestrale timeless e boundless innervato da una<br />

dEEp88 - CollECting duSt (12 rECordS, ottobrE 2011)<br />

Genere: italo-Deep<br />

Se vogliamo quantomeno arginare la fuga di cervelli musicali verso le label straniere (Eskimo Recordings,<br />

Gomma e BPitch ne sanno qualcosa), sarebbe il caso di tenerci stretti talenti nostrani come Alessandro Pasini.<br />

A maggior ragione se la formula è di quei prodotti italici che all’estero farebbero faville: il primo fulllenght<br />

a nome Deep88 offre una frizzante deep-house analogica pulita e<br />

rifinita con cura, con un imprinting classico ed un’eleganza più europea che<br />

liviense (la cassa dritta su tappeti synth di Summer Just Can’t Wave Goodbye<br />

e Coast To Coast tiene vicine tanto la moderna Germania di Mathias Kaden<br />

e Paul Kalkbrenner quanto la ambient-house britannica dei 90s). Un album<br />

dal carattere preciso, denso di quell’immancabile melodicità italo-disco che<br />

avvicina il tutto al sound sul quale Guglielmo Bottin sta costruendo la sua<br />

fama (Don’t Play Minimal, Play Minigolf, italians do house-disco better).<br />

Il ragazzo sa alimentare anche il lato più pop-oriented di Italo82 (sì, le radio<br />

potrebbero sforzarsi di più) o Funkanova (coi contributi vocali di The Huge a completare il mix ideale),<br />

e mostra disinvoltura di manovra lounge (G# Point, Stories) o jazz (House Is Coming, con citazioni di lusso<br />

verso i mostri sacri Larry Heard e Chuck Roberts a chiudere il cerchio della classicità). C’è tanta storia<br />

house in Collecting Dust, e vale soprattutto come riscoperta delle buone abitudini, una genuinità che<br />

premia in termini di spontaneità. Nel mondo perfetto le etichette locali avrebbero fatto a pugni per<br />

accaparrarselo e pomparlo a dovere, la dura realtà invece è che lui è finito in Germania e noi rischiam<br />

di restare con un pugno di mosche...<br />

(7.2/10)<br />

Carlo aFFatigato<br />

Dieci tracce che trasfigurano l’innesco bossa tra morbide<br />

nostalgie exotica e vaticini sintetici ipotizzando<br />

tropicalismo fragrante e contemporaneo. O, per usare<br />

le targhette del caso, Musica Popular Brasileira contagiata<br />

dal germe Brazilian Electronica, ferme restando<br />

però le radici della questione, siano esse la sensibilità<br />

acustica (Os Pinguinhos, Fortaleza) o il dinamismo percussivo<br />

(l’acidità dinoccolata di Pedra e Areia). Languida<br />

e futuribile, l’idea musicale di Lancellotti mira quindi ad<br />

un intrattenimento corroborato di implicazioni auditive<br />

complesse, vedi quella Receita che cincischia affabile e<br />

meditabonda per poi pennellare il ritornello d’estro spacey<br />

Terry Riley, oppure la formidabile Zona portuària<br />

che non spiacerebbe al David Byrne eniano, o ancora<br />

la title track pervasa di solleciti miraggi Steely Dan via<br />

dEUS. Impossibile poi tacere riguardo allo zuccherino<br />

di Su di te, adorabile italo-soul a base di sentimenti formattati<br />

sul miglior garbo malinconico sixties.<br />

(7.2/10)<br />

StEFano SolVEnti<br />

drEam WEapon ritual - anothEr ViEW<br />

(magiCK With tEarS, luglio 2011)<br />

Genere: etno-psych<br />

C’è irrimediabilmente l’umore della Sardegna mitica,<br />

ancestrale e meno à la page nelle note di Another View.<br />

Quello che i due ex T.A.C. Simon Balestrazzi e Monica<br />

Serra affidano alla nuova sigla Dream Weapon Ritual è,<br />

come da titolo, uno sguardo “altro”, scevro di qualsiasi<br />

implicazione etnica o folklorica ad uso mass-mediatico<br />

e ideale per inscenare una mini sinfonia in due soli atti<br />

(Unending Green Waves e Big Hungry Birds) in cui umori<br />

psichedelici e folkerie varie, evanescenze ambient e afflato<br />

sperimentale, eteree ambientazioni e spiritualità<br />

(semi)pagana convivono naturalmente in un unicum<br />

coeso e affascinante.<br />

Calarsi nell’ascolto dei flussi di coscienza improvvisati<br />

dei due autori su basi insieme acustiche e elettroniche<br />

(chitarre classiche ed elettriche, tanpura elettronico, salterio<br />

preparato, kaos pad e altro ancora), diviene così<br />

una sorta di stargate, un portale attraversando il quale<br />

si viene calati nell’immaginaria atlantide nostrana, luo-<br />

sensibilità che si direbbe più naturalista che esoterica.<br />

Perdersi è, come capirete, facile in questo mare, così<br />

come il rimanere appagati da tale stordimento seppur<br />

la durata esigua precluda abbandoni totali.<br />

(7/10)<br />

StEFano piFFEri<br />

Edo - pEr VEdErE loSt (autoprodotto,<br />

FEbbraio 2011)<br />

Genere: italiana, pop<br />

Edoardo Cremonesi, classe 1986, qualche anno fa si è<br />

paracadutato sul palco di TRL per farsi autografare la<br />

chitarra dal cantante dei Muse. Tale chitarra fu poi utilizzata<br />

dal nostro per suonare nel suo gruppo grunge<br />

dell’epoca, gli Isterica. Per avventurarsi nel suo esordio<br />

cantautorale, queste due informazioni sono un buon<br />

punto iniziale. Edo, pur mantenendo in modo sorprendente<br />

un’invidiabile omogeneità di fondo, salta con disinvoltura<br />

da un onesto cantautorato indie-folk italiano<br />

a vaghi accenni sintetici (invero un po’ sbiaditi) che abbozzano<br />

un improbabile My Awesome Mixtape in fissa<br />

per Fatboy Slim e strane assonanze con Nicolò Fabi, il<br />

tutto senza farsi mancare l’armamentario completo di<br />

campanellini, chitarrine e tastierine senza il quale, attualmente,<br />

sembra si finisca per risultare poco credibili.<br />

La direzione musicale non propriamente a fuoco finisce,<br />

tuttavia, in secondo piano, colonna sonora di un<br />

monologo ininterrotto di un personaggio che potrebbe<br />

essere il tuo compagno di università che non aveva<br />

nessun problema a paragonare Cobain e Inzaghi e che,<br />

un giorno illuminato dall’ispirazione, finisce per cantarti<br />

i fatti quotidiani delle feste erasmus.<br />

Niente più di un pop ai minimi termini tradito nei propri<br />

intenti low profile sin da un titolo così radicato nell’oggi<br />

più profondo. Servirebbero più pause e poesia.<br />

(5.9/10)<br />

giulia CaValiErE<br />

ElEanor FriEdbErgEr - laSt SummEr<br />

(mErgE, luglio 2011)<br />

Genere: alt. pop<br />

Le vie del pop alternativo sono notoriamente infinite e<br />

ultimamente anche parecchio trafficate. Bene o male.<br />

Vedi il caso di Eleanor Friedberger, metà fraterna dei<br />

Fiery Furnaces, col qui presente Last Summer al debutto<br />

come solista. All’insegna appunto d’un pop accomodante<br />

ancorché scafato, denso di rimandi a certe<br />

effervescenze errebì e soul dei Seventies, guarda caso<br />

il decennio che vide nascere la cantautrice dell’Illinois.<br />

A tratti sembra d’essere dalle parti dell’ultima Joan<br />

As Police Woman, però senza quella devozione (vedi<br />

soprattutto Glitter Gold Year), quasi fidando invece nel<br />

retrogusto della superficialità, nelle incalcolabili implicazioni<br />

del semplice - che semplice mai è - intrattenere.<br />

C’è qualcosa di ingegnoso nella capacità di pezzi accomodanti<br />

come My Mistakes (twist giocattolo col cuore<br />

asprigno), I Won’t Fall Apart On You Tonight (le Go-Go’s<br />

sbarazzine) o Heaven (sogno sintetico glam caramellato<br />

motown) di riuscire a sembrare anche qualcos’altro.<br />

Deve avere a che fare con lo stesso fenomeno che rende<br />

oltremodo gradevole quella voce in bilico tra Lorella<br />

Cuccarini e una Kate Bush senza falsetti. Una qualche<br />

forma di talento che trova compimento nelle belle Owl’s<br />

Head Park (morbidezze arty Brian Eno e vaga aura etno<br />

Peter Gabriel) e quella Roosevelt Island che sembra<br />

un’appendice funky dell’ultimo Destroyer. Uno di quei<br />

non-capolavori che lasciano il segno.<br />

(7/10)<br />

StEFano SolVEnti<br />

F.S. blumm/luCrECia dalt - Cuatro CoVErS<br />

(la bèl nEtlabEl, maggio 2011)<br />

Genere: elettronica-ambient<br />

Tutto nasce da una collaborazione a distanza finalizzata<br />

a trovare un terreno musicale comune. Quattro cover di<br />

estrazione diversissima che nelle mani di Lucrecia Dalt<br />

e F.S. Blumm diventano un ipotesi di indietronica figlia<br />

della tradizione Morr mixata a un ambient destrutturato<br />

e distrattamente post-rock.<br />

Quizaz Quizas Quizas di Osvaldo Farres, Close To You di<br />

Burt Bacharach e Hal David, I’m Sick Of You di Iggy Pop<br />

e Old Friends di Simon & Garfunkel, trasfigurate in un<br />

fluire minimale di chitarra, basso, glokenspiel, piano (di<br />

Nils Frahm), beat sintetico. «L’idea era quella di fare qualche<br />

esperimento, come incrociare la musica di alcuni dei brani<br />

con le parole di altri o mescolare i linguaggi. Ad esempio il<br />

testo del brano di Bacharach è stato modificato con le parole<br />

di Close To Me dei Cure.» A illustrarci il modus operandi<br />

dietro a Cuatro Covers è proprio la Dalt, la stessa che riduce<br />

il brano di Farres a una Quizas Perhaps Quizas decadente<br />

e senza vie di fuga, i toni trionfali di Bacharach in una<br />

Close To Vos impalpabile e sfilacciata, la lascivia dell’Iggy<br />

più violento in una S.O.Y. elettro e monocromatica, la<br />

poetica crepuscolare di Simon & Garfunkel nel sussurro<br />

solitario di Old Amigos. Blumm dal canto suo fa quello<br />

che gli riesce meglio, ovvero aggiungere livelli, rumore,<br />

nuove chitarre, pur nell’ottica di un suono che rimane<br />

elementare, irregolare, difficilmente circoscrivibile.<br />

Filtrare il proprio background giovanile con un approccio<br />

contemporaneo: questa la principale linea guida del<br />

progetto. E l’esperimento - in download gratuito sul sito<br />

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