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RETROMANIA - Sentireascoltare

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You, la piattezza da cartolina di Stand e persino quella<br />

specie di Hall & Oates apocrifo di Superlove. Peccato<br />

perché l’uomo è tutt’altro che sprovveduto, come ben<br />

sapete, e infatti una Come On Get It sciorina crossover<br />

ad alto voltaggio che si sbrana d’amblé tutto l’ultimo<br />

Red Hot Chili Peppers, mentre le due tracce con special<br />

guest non sono affatto male (più scontato lo pseudodancehall<br />

di Bongie Drop - assieme a Jay-Z e DJ Military<br />

- mentre Sunflower è tropical funky evoluto frutto<br />

della collaborazione con Drake). Tutto come previsto<br />

insomma. Massimo della confezione, minimo di sostanza.<br />

Successo, va da sé, garantito a prescindere.<br />

(5.8/10)<br />

StEFano SolVEnti<br />

maCE. - antEnnaS to hEll (muSiCaoltranza,<br />

luglio 2011)<br />

Genere: trip-hop ambientstep<br />

Il primo EP ufficiale del duo padovano formato da Andrea<br />

Maso ed Enrico Cesaro propone un’elettronica<br />

contaminata dalle ultime derive fourtet-radioheadiane,<br />

viaggiando su coordinate che ammiccano alle atmosfere<br />

cupe della bristol dei Massive Attack (Handful Of<br />

Dirt), tagliate con le passioni oniriche di Björk (il remix<br />

di I See Who You Are), passando per cut up da telegiornali<br />

e comunicati stampa che ricordano DJ Shadow<br />

mescolato con un attivismo d’antan e atmosfere postnucleari<br />

(il riferimento a Chernobyl nell’annuncio del<br />

telegiornale italiano del 26 aprile 1986 in Opiate For The<br />

Masses, sezionato con citazioni di Krishnamurti, Dalì,<br />

Giovanni Paolo II e i comunicati delle BR) e concludendo<br />

con un’electrostep da tunnel berlinese che ha in sè<br />

più di qualche ricordo dell’evergreen Adriano Canzian<br />

(Produce!Consume!Die!).<br />

Venti minuti che si rifanno alle storiche coordinate d’obbligo<br />

e che tentano di dire qualcosa di più della solita<br />

esibizione di nerdismo e di trick collegati alla scena. Un<br />

duo che con un approccio punk inizia a produrre tracce<br />

con un ritmo forsennato (l’EP è scaricabile dal sito<br />

dell’etichetta e negli ultimi tempi si sono moltiplicate<br />

le tracce sul loro account Soundcloud) e che potrebbe<br />

diventare la next big thing dell’ambient drone italica<br />

(vedi anche la colonna sonora di un video di Arvo<br />

Udtor). Check em out, guys.<br />

(6.9/10)<br />

marCo braggion<br />

malE bonding - EndlESS noW (Sub pop,<br />

agoSto 2011)<br />

Genere: inDie lo fi<br />

Ora che il quadro si fa più chiaro e che diverse band del<br />

sottobosco lo-fi garage di entrambe le sponde dell’oceano<br />

sono passate dall’altra parte dello specchio (ovvero<br />

dall’underground più carbonaro a quello capace di<br />

manifestarsi anche ai non iniziati) è il momento di fare<br />

il conto con fattori non sempre collegati all’hype, cose<br />

come originalità e ispirazione, ad esempio.<br />

Posto che la prima è materia più che rara, accontentiamoci<br />

di quest’ultima e salutiamo il secondo lavoro dei<br />

Male Bonding come il più ispirato di tutto il (fu) DIY<br />

britannico. Endless Now mette a frutto la formula del<br />

precedente album senza voli pindarici e superproduzioni<br />

(pur paventate in sede di intervista) ma perfezionando<br />

quel peculiare mix fra rumore e melodia che ne<br />

ha caratterizzato gli esordi.<br />

A partire dall’opener Tame The Sun, John Artur Webb e<br />

compagni ci srotolano dinnanzi una formula più semplice<br />

che mai, fatta di ritmiche pop punk, voci soavi che si<br />

stendono come glassa sulle chitarre infuocate. Rispetto<br />

all’esordio rinunciano a quei break ritmici che avevano<br />

fatto parlare un pò tutti di art punk evoluto (e aveva<br />

fatto balenare il nome della SST), preferendogli la linearità<br />

e il feroce appeal delle melodie. Quando (su What’s<br />

That Scene) rallentano il passo, riemerge quel clangore<br />

psichedelico che porta acqua al revival del grunge.<br />

Per il resto, quello di Endless Now è scintillante pop<br />

chitarristico targato 2011. Meno cervellotico rispetto<br />

all’esordio ma non certo meno stimolante. Come nel<br />

caso del primo singolo Bones: un vero e proprio mantra<br />

pop punk psichedelico, sei minuti di ritmiche furiose e<br />

vocalizzi angelici che ci segnalano come i Male Bonding<br />

restino degli stilosissimi figli dell’underground meno assimilabile.<br />

(7.1/10)<br />

diEgo ballani<br />

marC almond/miChaEl CaShmorE -<br />

FEaSting With panthErS (ChErry rEd<br />

rECordS, giugno 2011)<br />

Genere: crooner DecaDente<br />

Avvezzo a trafficare con la decadenza e le trascrizioni<br />

poetiche in un cantautorato sui generis, Marc Almond<br />

coglie l’occasione di far tutt’uno lavorando qui su poesie<br />

di Eric Stenbock con il compositore Michael Cashmore,<br />

stretto collaboratore di quel David Tibet che (ahem )<br />

benedì inconsapevolmente il progetto, regalando all’ex<br />

Soft Cell un volume di scritti del conte Stanislaus Eric<br />

Stenbock edito dalla sua Durtro. Attrazione fatale e<br />

istantanea sia tra i due che verso il poco noto poeta,<br />

poiché Mark allestiva una performance alla Queen Elizabeth<br />

Hall nel 2008 coi Current 93 e a lungo scambiava<br />

file sonori per via telematica con Cashmore, domiciliato<br />

highlight<br />

littlE dragon - ritual union (young turKS, luglio 2011)<br />

Genere: soul-tronica<br />

Giusto il tempo di ritrovare e apprezzare Yukimi nel singolo Wildfire dell’acclamato album di SBTRKT,<br />

in un brano che era una via di mezzo tra il grime e i Gorillaz, e ci ritroviamo a parlare un gran bene dei<br />

Little Dragon di Göteborg, formazione giunta splendidamente al terzo album con una miscela di (synth)<br />

soul elettronico e, in generale, una forbice larghissima di richiami r’n’b.<br />

Rispetto alle modalità del precedente Machine Dreams, e al discorso roots<br />

dell’esordio, l’aspetto più convincente della nuova prova è senz’altro l’avvicinamento<br />

della formula alle correnti elettroniche inglesi. Vengono aggiunte<br />

certe metronomie wave (Please Turn) ma, di fatto, il disco si presta in pieno<br />

alle speculazioni del dopo-dubstep e alla ventata uber soul del 2011 (l’opener<br />

Ritual Union, tra bassi cadenzati e stepping Uk Bass) .<br />

Feat. come Empire Ants su Plastic Beach (un rifforama synth sci-fiesque<br />

‘70) rilevano, inoltre, quanto i Dragons siano maturati come arrangiatori<br />

e liberato la fantasia: in Ritual Union li vediamo giocare con Kazu Makino / Madonna in tappeti disco<br />

mutanti Caribou via Residents (Nightlight), alle prese con sex funk à la Prince (ancora Ritual Union),<br />

Liquid Liquid e DFA (Brush The Heat), stepping secchi à la Ramadanman più cinematica assortita (When<br />

I Go Out), cineserie varie (Shuffle A Dream, Seconds) e le citate wave prontamente attualizzate (Little Man,<br />

Summertearz).<br />

Per l’estate più virtuale che reale che stiamo vivendo, la chiave è naturalmente e dannatamente soul<br />

(Wildfire, Ritual Union) e questa è world music nel senso più aggiornato e positivo del termine.<br />

Assieme a SBTRKT, Ritual Union disco del momento.<br />

(7.3/10)<br />

Edoardo bridda<br />

a Berlino. Non ne risente la compattezza di un album da<br />

fruire nell’assieme improntato a un romanticismo torbido<br />

d’ambiguità, lungo il quale Almond - mai prima così<br />

devoto a Maestro Scott Walker e al giovane Brian Ferry<br />

- poggia la perfetta padronanza dei propri mezzi vocali<br />

sui rigogli d’archi e corde, piano ed elettronica concepiti<br />

da Michael. Idea stimolante sulla carta e tuttavia la<br />

seduzione iniziale lascia spazio a un eccesso di uniformità,<br />

a una proposta che in un’ora smarrisce pian piano<br />

incisività e forza persuasiva per divenire puro estetismo.<br />

Consegnando così un disco coraggioso, mediamente riuscito<br />

quantunque piuttosto monocorde.<br />

(6.7/10)<br />

gianCarlo turra<br />

marCEllo milanESE - liKE a WolF in a<br />

ChiCKEn ShaCK (hEllEluJa, luglio 2011)<br />

Genere: blues<br />

Il blues è da sempre una sorta di riserva protetta. Un’area<br />

franca in cui sondare un immaginario talmente radicato<br />

nel tempo e nello spazio da giustificare ogni genere<br />

di replica. Lo era in origine, quando sulle stesse dodici<br />

battute gli afroamericani costruivano storie e suoni non<br />

troppo dissimili tra loro, lo è ancor oggi che di blues non<br />

si parla quasi più se non nelle sezioni “classic” di qualche<br />

rivista musicale. Aggiungete il fatto che in una provincia<br />

dell’Impero come l’Italia gli stili e le musiche arrivano per<br />

forza di cose di riflesso filtrate da una reinterpretazione<br />

che non disdegna gli stereotipi, e capirete il significato di<br />

un disco come Like A Wolf In A Chicken Shack: un sentito<br />

omaggio a una passione che viene da lontano da parte<br />

di un affezionato cultore.<br />

A far selezione, in questi casi, è la credibilità. E Marcello<br />

Milanese, pur non avendo l’estro di un Jon Spencer o<br />

la carica innovativa del nostro Samuel Katarro, porta a<br />

termine il suo onesto lavoro filologico con convinzione,<br />

potendo tra l’altro vantare una ventina d’anni spesi a<br />

trafficare con slide guitars e affini.<br />

Nelle corde del musicista di Alessandria ci sono l’Eric<br />

Clapton unplugged, il delta del Mississipi, il timbro vocale<br />

di Howlin’ Wolf, oltre alla voglia di riallacciarsi a<br />

una tradizione musicale popolare che sa anche di soul,<br />

rock & roll, folk. Attraverso brani autografi e cover di Tom<br />

Waits (Jesus Gonna Be Here), June Carter (Ring Of Fire),<br />

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