Osservatorio letterario ANNO 14. – NN. 73/74 MARZ.-APR./MAGG ...
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abbattersi con violenza in uno schiaffo, di quelli che<br />
soltanto le donne passionali sanno vibrare. Il posto era<br />
fantastico per tuffarsi, dato che in un tratto la roccia<br />
curvava in una morbida insenatura entro cui le onde,<br />
nei rari casi in cui riuscivano a farsi largo, galleggiavano<br />
come agnelli chiamati a raccolta.<br />
Credo sia inutile dirvi che quel punto della scogliera era<br />
il favorito da noi ragazzi, cresciuti al caldo sole di<br />
mezzogiorno. Affacciandoti sullo specchio d’acqua,<br />
riuscivi chiaramente a scorgere il tuo viso. Ma il mio<br />
passatempo preferito era sondare il fondale con lo<br />
sguardo, scivolare sulle lucide pietre e sulla terra<br />
sottacqua e volteggiare fra le verdi alghe come un’agile<br />
anguilla. Quando ero solo e non c’era nessuno a<br />
ricordarmi l’esistenza del tempo, mi capitava di restare<br />
in muta contemplazione per ore e ore. Eppure sbaglio a<br />
parlarvi nel linguaggio degli uomini, sbaglio a parlarvi<br />
d’ore e di tempo. Vi basti sapere che un giovanotto era<br />
là, se ne stava muto, e per giorni che duravano secoli<br />
interi dimenticava sé stesso.<br />
Mia madre intanto girava per il villaggio chiedendo di<br />
me a tutti, che erano già le sette e mezza e la cena era<br />
pronta in tavola. Povera donna, quante gliene ho fatte<br />
passare! Mi trovava puntualmente disteso sulla pietra<br />
ancora calda con la testa fra le mani, a fissare l’acqua<br />
come se nascondesse il più prezioso dei tesori. Allora lei<br />
mi si avvicinava con quel passeggiar felino tipico delle<br />
donne della nostra isola e all’improvviso mi bisbigliava<br />
nelle orecchie: “Luigi, è ora di cena.” E lo diceva con<br />
una voce che sembrava la cosa più importante del<br />
mondo e per noi lo era davvero, da quando papà era<br />
morto quel silenzioso momento d’intimità chiamato<br />
cena era diventato il nostro rifugio, la nostra famiglia.<br />
Ma il giorno dopo ritornavo a quel santuario come la<br />
goccia di pioggia torna al mare. Per sprofondarvi, per<br />
scavarmi una nicchia con le mie stesse mani. E là vi<br />
trovai la sacerdotessa del mio cuore.<br />
Quando nuotavo così lontana da casa non avevo mai il<br />
coraggio di confessarlo. Nessuno mi avrebbe perdonato<br />
una simile imprudenza, o forse non mi avrebbero<br />
neppure creduta. Il mondo là fuori è meraviglioso, così<br />
pieno di luce. Penso che noi altri dovremmo smetterla<br />
di nasconderci e godere delle bellezze che il mondo ha<br />
da offrire.<br />
Risalivo le correnti come una bolla d’aria sale in<br />
superficie, lasciandomi dietro l’oscuro reame<br />
sprofondato negli abissi più cupi quando<br />
improvvisamente <strong>–</strong> da dietro una roccia <strong>–</strong> comparve<br />
l’azzurro. L’azzurro! Il vero colore del mare. L’avevo<br />
sempre immaginato azzurro il mare, mentre sognavo<br />
fra guanciali d’alghe innominabili. Ho potuto assaporare<br />
il gusto dell’acqua calda sulla mia pelle, proprio io che<br />
fin dalla nascita non avevo conosciuto che le tenebre<br />
della mia gente.<br />
Mi capitava di incontrare branchi di delfini durante i<br />
miei viaggi segreti, creature assai curiose e intelligenti.<br />
I saggi sostengono che una volta erano come noi, ma<br />
che tanto tempo addietro l’ebbrezza delle onde li<br />
chiamò e loro non seppero resistere al richiamo. Gli<br />
anziani ne parlavano con disprezzo, riferendosi a loro<br />
come ai “rinnegati”. Io, invece, li reputavo dei semplici<br />
animali, e stentavo a credere che ci fossero in qualche<br />
modo imparentati. Decisi allora di studiarli e apprendere<br />
di più sul loro conto.<br />
Uno dei passatempi preferiti dei delfini, e quello che mi<br />
aveva colpito di più, consisteva nel tuffarsi fuori<br />
dall’acqua in acrobazie spettacolari. Non riuscivo a<br />
capirne il motivo. Ero così curiosa di scoprire perché si<br />
impegnavano tanto in quel gioco, che provai a stabilire<br />
un contatto telepatico con uno di loro. Stentai a credere<br />
a quello che sentivo, quando la creatura mi rispose alla<br />
stessa maniera con cui mi ero rivolta a lui.<br />
Salve, creatura degli abissi.<br />
Saluti a te, creatura che vede il sole.<br />
Il delfino mi rispose nella lingua comune a tutte le<br />
creature del mare, la lingua dei flutti, le cui origini si<br />
perdono nel tempo. «Ahi! Il sole…»<br />
«Perché disperi?»<br />
«Il sole», mi disse, «un tempo assai remoto<br />
apparteneva alla mia gente. Si tratta dell’amuleto più<br />
splendente degli oceani dei mondi, un gioiello prezioso<br />
ed ultraterreno che la nostra Regina teneva sempre<br />
legato al collo, perché un tempo i delfini e gli atlantidei<br />
erano la stessa gente e il suo aspetto esteriore ricorda<br />
ancora le sembianze della tua razza. Il sole ci fu rubato<br />
dalla divinità della pioggia, perché esso gli serviva a<br />
catturare l’acqua facendola evaporare, per poi riversarla<br />
dove più gli piaceva. E da allora noi ci tuffiamo per<br />
raggiungerlo e riportarlo alla dimora della nostra<br />
Regina, ma devi sapere che quel dio crudele ha posto<br />
l’opale troppo in alto e noi non riusciamo nemmeno a<br />
sfiorarlo. Ora conosci il motivo per cui mi sono<br />
lamentato quando hai nominato il sole.»<br />
«… e so anche perché vi tuffate al di là.»<br />
«Abbiamo provato a mettere le ali, ma quelli fra noi che<br />
ci sono riusciti hanno dimenticato le proprie origini e<br />
solcano il cielo come i figli prediletti del nostro nemico.»<br />
«E la vostra regina? Come si adopera per recuperare il<br />
suo gioiello?»<br />
«Da quando il sole non riscalda più il suo collo, la<br />
regina non è più la stessa. Soffre, e la sua sofferenza fa<br />
soffrire tutti noi che l’adoriamo.»<br />
La sua storia mi commosse molto e decisi di aiutarlo a<br />
recuperare il sole. Ero facile a decisioni improvvise<br />
come quella, perché giovane e molto impulsiva. Quando<br />
avevo la vostra età mi sono sorbita tante di quelle<br />
ramanzine che avrei potuto collezionarle e farci un<br />
museo ben fornito. Non vi invito a seguire il mio<br />
esempio!<br />
«Ma come posso fare?» I miei dubbi erano ovvi.<br />
«Saltando. Guarda me.» Il delfino prese una lunga<br />
rincorsa e spiccò un salto così in alto che per un<br />
momento credetti lo avrebbe raggiunto davvero il sole.<br />
Quando tornò giù, però, non aveva recuperato il<br />
luminoso pendente.<br />
«Dovreste trovare un metodo migliore.» Pensai<br />
rapidamente alle idee più strampalate, e le elencai al<br />
mio nuovo amico senza provare nessuna vergogna.<br />
«Potremmo scendere negli abissi: devi sapere che da<br />
dove vengo io esistono vulcani capaci di scagliarti<br />
lontanissimo.»<br />
«Dei miei cugini ci hanno provato ma il getto d’acqua<br />
era così forte che li stordì, e al risveglio si trovarono<br />
arenati su una spiaggia di superficie.»-<br />
«Potremmo lanciare una freccia e colpire il sole.»<br />
OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> XIV <strong>–</strong> <strong>NN</strong>. <strong>73</strong>/<strong>74</strong> <strong>MARZ</strong>.-<strong>APR</strong>./<strong>MAGG</strong>.-GIU. 2010 13