in controluce nel silenzio immobile nel viola del tramonto con piramidi con la neve al tramonto con le nubi con l’acqua allo specchio ... e in altri tremila tramonti. Fonte: « Fiüma» di Ornella Fiorini, Publi Paolini Editore, Mantova 2009 pp. 96 (volume di poesie con CD); Progetti e Dintori, Edizioni Musicali SAGGISTICA GENERALE L’IMMAGINE DELL’ITALIA NELLA POESIA UNGHERESE DEL PRIMO NOVECENTO * Capitolo IV Il «MOTIVO DELLA TORRE» E IL SUO SIGNIFICATO SIMBO- LICO Torony [torre] è una parola spesso ricorrente nelle poesie ungheresi del periodo compreso tra il XIX e XX secolo. La troviamo, infatti, in un canto popolare risalente al 1840-1866 (la cronologia esatta è incerta) che in tono nostalgico recita: Sej, Nagyabonyban csak két torony látszik, de Majlandban harminckettő látszik. Inkább nézem az abonyi kettőt, mint Majlandban azt a harminckettőt 68 OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> XIV <strong>–</strong> <strong>NN</strong>. <strong>73</strong>/<strong>74</strong> <strong>MARZ</strong>.-<strong>APR</strong>./<strong>MAGG</strong>.-GIU. 2010 1 . ***
È uno dei «Katonadalok» [canti soldateschi] ungheresi, risalente al XIX secolo, provenienti nella maggior parte dai territori facenti parte dell’Impero Asburgico. Pochi versi ed ecco che abbiamo davanti gli occhi del soldato magiaro, occhi pieni di speranza e di nostalgia. Il povero paesano atterrito dalla selva degli edifici, dai monumenti e dalle opere che lo circondano, non fa altro che desiderare la quiete del suo paese. Le torri di Milano non lo riguardano e le torri ungheresi di Nagyabony sono lontane. La nostalgia si manifesta nell’impossibilità di poter vedere le due torri del proprio paese, piuttosto che le trentadue nella città di Milano. La nascita dei canti aventi relazione con l’Italia presso i popoli dell’Est europeo* va collegata intimamente agli avvenimenti storici, e quindi alle guerre, che inducevano l’Impero austriaco a concentrare forti riserve d’uomini nei territori italiani, in special modo nel Lombardo-Veneto, per mantenere intatta la propria supremazia. Il povero soldato che l’Austria mandava in Italia ad opprimere ogni moto di libertà, era contadino, non riusciva mai a darsi ragione degli avvenimenti di cui era testimone e protagonista. L’unico suo desiderio era di tornare al suo paese natale, fra la sua gente, alle sue occupazioni e di abbandonare la pericolosa vita del soldato che non aveva per lui alcuna attrattiva. Questo è lo stato d’animo delle truppe austriache forestiere, al tempo delle guerre del nostro Risorgimento. Alla nostalgia della patria è sempre poi unito, il sentimento nazionale. I due aspetti fondamentali dei «Katonadalok» [Canti popolari], sono: virile sopportazione della vita soldatesca e sentimento di vero, cosciente orgoglio nazionale. Nei canti che riguardano l’Italia si avverte la continuazione dell’ideale «Kuruc» [soldato], così detti dal nome turco di insorti o ribelli. I canti dei kuruc, risalgono alla ribellione della Transilvania. Ricordiamo che, alla fine del Seicento, non solo l’Ungheria passò alle dipendenze di Vienna, ma anche la Transilvania che, rimasta indenne dal dominio turco per la sua posizione geografica, venne incorporata nel dominio dell’Austria. Nel 1691 terminava non soltanto l’indipendenza ma anche ogni autonomia della regione. La perdita della indipendenza amareggiò profondamente la popolazione transilvana che, contro la volontà di Vienna, nel 1707 elesse un nuovo principe: Francesco II Rákóczi. Con la sua elezione cominciò la rivolta della Transilvania: in mezzo a questa guerra, vi fu una grande fioritura di canzoni, che, composte dagli stessi Kuruc, accompagnavano le loro marce o confortavano la malinconia sognante e sospirosa dei loro lontani rifugi 2 . Di torri ci parla Endre Ady nella poesia: A fölföldobott kő [Pietra gettata in alto] del 1906, dove leggiamo: Föl-földobott kő, földedre hullva, Kicsi országom, újra meg újra Hazajön a fiad. Messze tornyokat látogat sorba, Szédül, elbusong s lehull a porba, Amelyből vétetett 3 . […] *** Il poeta ci invita quasi a stare con lui sulla torre e provare ad avvertire quello stesso suo senso di stordimento dovuto alle vertigini, e con cuore triste, desiderare di scendere giù e tornare indietro, così come la pietra che gettata in alto, ricade sulla terra. Chiaramente, qui Ady si rivolge al suo paese natìo, a Érdmindszent, nella Transilvania. Il suo bel sogno era di ricongiungere lo spirito della sua gente allo spirito della scoperta Europa, viva, vivace. Far confluire il sentimento nazionale con l’universale e l’umano di cui vedeva nell’occidente progressista e progredito le più ampie aperture. La sua anima è pervasa da un senso di inquietudine che, mentre lo respinge nel fondo della sua patria, con geloso amore per la sua terra, allo stesso tempo dà spazio anche all’implacabile scontento di vedere che la sua terra è così lontana dal sole ideale che arride su altre terre, così immatura ed ancora così ignara dei nuovi dèi dell’anima moderna. Rileggendo la poesia Italia di Mihály Babits, del 1908, vediamo spuntare di nuovo la parola chiave: […] Itália! Vonzanak íveid s tűnt fényed palotái, árkádok, oszlopok, a sugaras terek, hol elszédülnek az ideges emberek; vonzanak a sötét toronylépcsők csigái 4 . […] *** Dietro la descrizione delle tortuose scale delle torri d’Italia, si nasconde il desiderio di esaltazione della propria terra, desiderio che nasce anche qui da un sentimento nostalgico. Analoghe emozioni ritroviamo poi anche nel diario di viaggio (1936) di Antal Szerb [A harmadik torony - La terza torre]. Qui l’autore descrive i propri ambigui sentimenti durante il viaggio nell’estate del 1936 nell’Italia fascista, dove ancora prima della nuova guerra avrebbe voluto rivedere «tutte quelle bellezze, per le quali vale la pena di vivere». Szerb, infatti, apre la prima pagina del diario con queste parole: […] Eszembe jutott, hogy okvetlenül Olaszországba kell mennem, amíg Olaszország még a helyén van, és amíg Olaszországba mehetek. Ki tudja, meddig mehetek még Olaszországba, meddig mehetek, mehetünk még egyáltalán valahová […] A külföldi utazás nem primaer életszükséglet, és a totális állam bizonyára előbb-utóbb ki fogja mondani az elvet, hogy az igazi hazafi nem hagyja el hazája területét, az igazi hazafi otthon ül. 5 Così seguendo il suo itinerario, Szerb arriva a Venezia, e qui sull’isola San Giorgio Maggiore, l’isola OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> XIV <strong>–</strong> <strong>NN</strong>. <strong>73</strong>/<strong>74</strong> <strong>MARZ</strong>.-<strong>APR</strong>./<strong>MAGG</strong>.-GIU. 2010 69
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