Osservatorio letterario ANNO 14. – NN. 73/74 MARZ.-APR./MAGG ...
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essere “due mila miglia fuori del mappamondo”, di<br />
“sciarmante” c’è solo “l’appetito che abbiam d’aver, / se<br />
il loco non è abitato”. Petit, che ostenta francesismi a<br />
tutt’andare, intriso di buffo ed esasperato romanticismo<br />
(“io mi pasco d’aria”), è bilanciato dal Barone,<br />
personaggio più di pancia (“sento una fragranza come<br />
di pollo arrosto”). Ma questo profumo misterioso li fa<br />
cadere in un sonno profondo. Lindora e Brunoro<br />
trovano i due viaggiatori addormentati e li svegliano. È<br />
l’opera: quindi l’amore a prima vista è norma, meglio<br />
ancora se complicato. Petit s’infatua di Lindora che,<br />
però, sembra invaghita del Barone, ed è corrisposta. La<br />
cameriera è esplicita: bastano due parole e “Caro,<br />
staremo insieme in gioia e in riso”. Il Barone è stupito<br />
di tanta confidenza e Petit aggiunge “Caro amico, se qui<br />
tutte le donne son così, / pur ma foè non torno più a<br />
Parì”. Brunoro spiega ai due forestieri dove sono<br />
capitati: terrorizzati dalla fama di Circe vogliono<br />
andarsene, ma il vascello che li ha condotti fin lì è<br />
sparito. Il Barone, presagendo la metamorfosi in<br />
animale, si augura spiritosamente che “almeno mi<br />
cangiasse in pappagallo. Pappagallo reale”. È ancora<br />
Brunoro a suggerire il modo di sfuggire alla maga:<br />
“Circe trasforma solo gl’incauti e folli amanti, / perché<br />
di lor s’annoia: attenti dunque a non innamorarvi”. Se il<br />
concetto non fosse chiaro, il servo lo ripete con un’aria:<br />
“Con un visetto languido così vi guarderà: / e voi con<br />
alterigia voltatevi di là. / e voi sprezzatela /<br />
e voi fuggitela. / Credete ad un amico di<br />
frottole nemico, / ad un ch’è sempre solito a dir la<br />
verità. / N’ho visti più di mille cangiati in orsi, in cani, /<br />
in serpi ed in tafani. / Solo perché s’accesero di quella<br />
sua beltà”. Nella scena successiva, la sesta, avviene il<br />
temuto incontro. Lindora attende con la padrona, e ha<br />
già deciso tutto: “Fra i due uno è francese certo: vi<br />
piacerà, signora. / L’altro è per me”. I due sono al<br />
cospetto della maga che dà subito disposizioni a<br />
Brunoro sulla giusta accoglienza agli ospiti: “Si preparin<br />
due camere a questi due signori. / Sian i letti di piume<br />
d’airone: / d’oro fino le pareti e il soffitto”. Brunoro fa<br />
dell’ironia: “E in mezzo una piramide d’Egitto”: la<br />
signora non coglie, e approva il suggerimento, benché,<br />
come confida “È ver che attendo quattro, cinque<br />
sovrani, / quindici duchi, ventidue marchesi, / ma il<br />
miglior trattamento io lo destino / a quel caro<br />
sembiante / e a quel visino”. I due rimangono turbati<br />
dall’avvenenza della maga che, benché si rivolga in<br />
modo suadente a entrambi, ha un occhio di riguardo<br />
nei confronti di Petit. Tuttavia, messi poc’anzi in guardia<br />
da Brunoro, stentano a slanciarsi nella passione. Circe,<br />
vedendoli titubanti e trattenuti, canta un’aria per<br />
scioglierli: “Il cor ch’io serbo in petto, / nel mondo<br />
egual non ha: / è un cor ch’è tutto affetto, / ma pieno<br />
d’onestà. / Caro italian bellissimo, / francese<br />
amabilissimo, / quanto mi piace, o dei, la vostra<br />
serietà”. Nella nona scena, Lindora, rimasta sola col<br />
Barone, gli confida che “Circe vuole invaghirvi: poi<br />
senza aver riguardi, / o compassione, cangiare in drago<br />
l’un, l’altro in leone”. E poi gli sussurra: “Zitto… udite: io<br />
spasimo per voi”. È fatta: secondo i patti, Lindora si<br />
occuperà di far fuggire i due e “per ricompensa” il<br />
Barone (assai volentieri) la sposerà. Il più è far<br />
disincantare il francese dalla “maga del demonio”:<br />
basta un colpo di “palosso” in testa e Petit è trascinato<br />
via dall’amico. L’astuta Lindora, nel frattempo, è riuscita<br />
a far addormentare l’odiata padrona, ma ciò non basta<br />
a farla fuori perché si sveglia, ed è l’occasione per un<br />
quartetto che vede Circe stranita, Petit e il Barone<br />
tremanti e Lindora finta alleata della maga. Però la<br />
padrona di casa è adirata: i due ospiti stavano per<br />
ucciderla, e quindi dovrebbero dare, almeno, delle<br />
spiegazioni. Le raccontano che si è trattato di un<br />
equivoco, e ci crede: poca fatica. C’è spazio, invece, per<br />
la curiosa dichiarazione del Barone nei confronti di<br />
Lindora. È l’aria più originale di questa “farsa”: un<br />
mirabolante paragone tra il cuore dell’innamorato e una<br />
casa, una “casa da galantuomo”: “V’è la sala a primo<br />
ingresso, / dove sono tutti schierati, / i sospiri<br />
innamorati / che il mio cor per voi farà: / v’è la camera<br />
d’udienza, / ma li cari milordini / con fibbioni e<br />
bastoncini / per mia fè non ce li voglio: / ci staranno i<br />
nostri affetti, / ci staran quei cari occhietti, / e i milordi<br />
se ne vadano / a girar per la città: / v’è il gabinetto /<br />
ove sta il letto, / su cui Lindora riposerà: / e cheto<br />
cheto, per non svegliarvi / il core appena respirerà: /<br />
v’è poi un altro luogo / che… che… che…”. Petit, invece,<br />
non sa come fare: ama Circe, ma sa quale sarà il suo<br />
destino: “Che sventurato amante! / Già in sì fatale<br />
istante / sento mancarmi il cor, / Cara speme… sì ti<br />
lascio, / non resisto al dolce affetto”. La maga, dopo<br />
l’aria del francese, per la prima volta nella sua vita<br />
(forse) si scopre “delusa e rifiutata” e non sa come<br />
reagire. Segue una buffa divinazione di Lindora,<br />
puntualizzata dal Barone che trasforma le parole<br />
“Zoroastro” in “pollastro” e “Cocito” in “cucina”: scopo è<br />
far tornare il vascello. Sparisce il magico giardino di<br />
Circe e ricompare il mare, con barca e marinai. Ciò<br />
capita perché la scaltra servetta aveva rubato l’anello a<br />
Circe, e quindi anch’ella, ora, è in grado di fare<br />
incantesimi. Nell’ultima scena Circe sembra Didone, e<br />
s’innalza in tutta la sua tragicità: tradita e abbandonata,<br />
rimane completamente sola e vede Petit, il Barone,<br />
Brunoro e Lindora salpare e andarsene. Nulla possono<br />
più le invettive e la magia della signora: senza l’anello<br />
sottrattole dalla serva liberata non può nulla.<br />
Amor rende sagace<br />
Chi frequenta il mondo dell’opera settecentesca e si<br />
accinge per la prima volta ad ascoltare “Amor rende<br />
sagace”, eseguita a Vienna il 1° aprile 1793, si renderà<br />
ben presto conto di una sensazione strana. L’opera di<br />
Domenico Cimarosa (1<strong>74</strong>9-1801), infatti, ha un che di<br />
“già sentito” che incuriosisce. E, infatti, al di là<br />
dell’intreccio nuziale, non nuovo al grande compositore<br />
italiano, questo “dramma giocoso” è il calco su cui sarà<br />
costruita la ben più celebre opera “Le astuzie<br />
femminili”, eseguita l’anno successivo. Insomma, molte<br />
parti sono identiche (più del 30% dell’intera opera), il<br />
nome di un personaggio è lo stesso (Bellina) e la storia<br />
sembra un autoplagio. Il libretto è dell’illustre veneto<br />
Giovanni Bertati (1<strong>73</strong>5-1815), nome di grido per quei<br />
tempi. Bene, sopraggiunta “Le astuzie femminili”,<br />
“L’amor rende sagace” cadde nell’oblio. La storia è<br />
decisamente tipica: un matrimonio di convenienza (c’è<br />
una “grandiosa eredità” in ballo) è un pericolo da<br />
evitare per Bellina, giovane innamorata dello<br />
squattrinato Riccardo. L’avvocato Graziano, infatti,<br />
leggendo le carte, non ha dubbi: a Bellina va l’intera<br />
88<br />
OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> XIV <strong>–</strong> <strong>NN</strong>. <strong>73</strong>/<strong>74</strong> <strong>MARZ</strong>.-<strong>APR</strong>./<strong>MAGG</strong>.-GIU. 2010