Osservatorio letterario ANNO 14. – NN. 73/74 MARZ.-APR./MAGG ...

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più, diventa esempio classico del paesaggio, della bellezza fatta dall’uomo, paradigma di coniugazione, diventa l’amoamas-amat, nella città trabocca la serenità delle tegole dal color rosso mattone che vive come una nostalgia inconsapevole anche in colui che ancora non l’ha mai vista e, chi viene per la prima volta a Venezia, si sente come l’abbia già vista”. 7 Ibidem, p. 652: “Sono seduto sopra il paesaggio italiano, al tramonto, gli azzurri nella parte inferiore del cielo, le sfumature del rosso sono più taglienti, più sonore, più lontane, entra dentro di me la serenità del dolce infinito paesaggio italiano, per la prima volta sono felice durante il mio viaggio . Felice nel senso più antico della parola, per cui il bambino non può essere felice interamente. Non mi manca nulla. La Terza Torre è proprio la mia, non è di Mussolini. Mi appartengo. Mi basto solo per me stesso. Lì sulla parte inferiore della Terza Torre ho compreso tutto: la mia solitudine sui treni, negli alberghi, nei ristoranti, tra i gitanti, durante tutto il mio percorso, dovunque, sono stato solo con la collettività, dovevo essere a contatto con la collettività italiana. Ho preservato la mia solitudine da loro e dal futuro dell’Europa, che a mio parere simboleggia. Ho preservato la mia solitaria felicità da quel branco di esseri felici, perché loro sono i più forti. Non riesco a trasmettere a nessuno la felicità che provo sulla terza torre. Non posso dare me stesso proprio a nessuno, né ad un ideale né ad uno stato”. 8 Péter Sárközy, Roma, la Patria comune, saggi italoungheresi, a cura di Armando Gnisci e Franca Sinopoli, Lithos Editrice, Roma 1996, cit., p. 5. 9 A harmadik torony, op. cit., pp. 646-654. 10 Tibor Melczer, “Liberalismo, Cattolicesimo, Nazionalismo ed Europeismo nell’opera di Mihály Babits”, contenuto in AA VV., Venezia, Italia e Ungheria tra Decadentismo e avanguardia, a cura di Zs. Kovács-Sárközy, Akadémiai Kiadó, Budapest 1990, cit., p. 327. 11 Ivi, p. 330. 6) Fine * Tesi di laurea (testo) Luigia Guida - Bologna - * N.d.R.: NB. In Italia continuano ad usare erroneamente le espressioni Est-Europa, est-europeo, paesi dell’Est per gli ex paesi del Patto di Varsavia del blocco sovietico confondendo le nozioni politiche con quelle geografiche. (N.b. L'Europa è una regione geografica della Terra costituita principalmente da una penisola situata nella parte occidente del continente Eurasia. In conseguenza a fattori storicoculturali, è comunque considerata essa stessa un continente. Il confine naturale dell’Europa è costituito per un lungo tratto dal mare: è delimitata a nord dal mare Glaciale Artico, ad ovest dall'oceano Atlantico, a sud dal mar Mediterraneo, a sud-est dal mar Nero e dal Caucaso, ad est dal mar Caspio, dalla catena montuosa degli Urali e dal fiume Ural.) Sia l’Ungheria d’oggi che l’Ungheria storica (Austria-Ungheria dell’Impero d’Asburgo) geograficamente è situata nel Centro-Europa: Europa d’oggi Europa nel 1914 (fino al Trattato di pace di Trianon) Immagine satellitare dell'Europa Posizione dell'Europa nel mondo 72 OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l’Altrove ANNO XIV – NN. 73/74 MARZ.-APR./MAGG.-GIU. 2010
L’IMMAGINE SPECULARE NELLA LETTERATURA SCAPIGLIATA E DINTORNI Molti protagonisti della letteratura scapigliata sono caratterizzati da una personalità narcisistica, che li porta inesorabilmente ad una drammatica divisione dell’Io. Questa patologica scissione di personalità è uno degli elementi più caratteristici della letteratura moderna, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, ossia da quando la soggettività inizia a sostituire l’oggettività e le problematiche del singolo individuo prendono il posto di quelle sociali, che avevano caratterizzato il Romanticismo italiano. Dopo il crollo delle illusioni vissuto dagli intellettuali italiani in seguito alla formazione del Regno d’Italia (1861), gli scrittori iniziarono ad analizzare se stessi, i propri sentimenti e la propria psiche; ciò diede origine al romanzo psicologico, che, come sostenuto da Sigmund Freud, «deve la sua peculiarità in genere alla tendenza che lo scrittore moderno ha di scindere il proprio Io, mediante auto osservazione, in Io parziali, personificando in più eroi i conflitti che agitano la propria vita interiore». 1 Ripiegandosi su se stessi ed auto-analizzandosi, gli scrittori della Scapigliatura creano opere letterarie i cui protagonisti sono vittime di un Io molteplice, contrapposto a tanti Altri che lo circondano, ma che solo in apparenza ne sono separati. Gli antagonisti di questo Io, infatti, non sono, in realtà, che sue proiezioni speculari e frammentarie. Si presentano spesso come personificazioni dei demoni interiori dell’Io principale, cioè dei suoi conflitti emotivi e disturbi psicologici. Questi personaggi passano da un naturale, fisiologico amore verso se stessi ad un patologico individualismo e al totale rifiuto dell’alterità, assumendo in tal modo un atteggiamento che sarà comune alla società e a larga parte della letteratura contemporanea. Il raggiungimento, infatti, di una dimensione puramente individuale dell’esistenza porterà ad una drammatica difficoltà comunicativa, nonostante lo sviluppo di tecnologie (mezzi di trasporto e telecomunicazioni) finalizzate ad una riduzione fisica delle distanze. In questo panorama generale acquista particolare importanza, in ambito letterario, il tema dell’immagine speculare (e, quindi, del doppio e del sosia), vista come metafora dello sdoppiamento dell’Io e dell’interesse, talora patologico, dell’Io nei confronti di se stesso. Nel momento in cui l’individuo si chiude in se stesso e, fuggendo i rischi della vita, rifiuta il contatto con l’alterità, «l’Altro appare come un pericolo, come fonte di incertezza e di imprevedibilità. È per questo che l’Altro deve essere ricondotto a modelli noti, riportato alle proprie personali sicurezze, essere, in qualche modo, copia conforme». 2 Perdendo di fatto la propria originaria unicità, l’Altro diventa un sosia dell’Io. La simbologia dello specchio ha origini remote, essendo strettamente legata alla mitologia e, specificamente, al mito greco di Narciso. Nella versione trasmessa da Ovidio, la storia del giovane, morto a causa dell’impossibile amore nei confronti della propria immagine riflessa dall’acqua, trova un significativo parallelo in quella, ad essa strettamente intrecciata, della ninfa Eco. Mentre il dualismo di Narciso è, però, essenzialmente visivo, ossia legato alla presenza di un’immagine riflessa, nel caso della ninfa si può parlare di un dualismo di tipo auditivo. Colpevole di superbia, dato che rifiuta di concedersi a coloro che lo amano, Narciso viene colpito dalla maledizione di un suo innamorato non corrisposto, il quale lo condanna a non poter mai possedere l’oggetto del proprio amore; Eco, invece, è vittima di un incantesimo messo in atto dalla dea Giunone, che la costringe alla ripetizione delle ultime parole dell’altro. L’acqua riflette, come uno specchio, l’immagine di Narciso, così come la voce di Eco riflette specularmente le ultime parole pronunciate da chiunque ella oda. Il giovane si innamora della propria immagine speculare, cioè del proprio doppio, di se stesso; a causa di questa ossessiva passione egli impazzisce e muore, finendo così nell’Ade, in cui ancora continua a specchiarsi in una superficie riflettente, ossia nelle acque dello Stige. Nel mondo dei vivi rimane invece sotto forma di fiore (appunto il narciso). Analogamente, la ninfa, addolorata per essere stata rifiutata dall’amato, scompare fisicamente dal mondo terreno, ma di lei resta comunque la voce, vale a dire un riflesso di tipo auditivo. Sia Eco che Narciso divengono quindi figure residue, a causa di un processo di obliterazione del loro corpo: essi scompaiono, ma senza morire del tutto, ossia mantenendo una propria parziale presenza. Ciò accomuna questi due personaggi mitologici alle anime che, nel Paradiso dantesco, il poeta incontra nel cielo della Luna, cioè gli spiriti di coloro che furono inadempienti ai voti; essi si presentano talmente diafani ed evanescenti da dare a Dante l’erronea impressione di essere immagini riflesse da vetri o da acque trasparenti (Par. III, vv. 10 – 24): Quali per vetri trasparenti e tersi, o ver per acque nitide e tranquille, non si profonde che i fondi sien persi, tornan d’i nostri visi le postille debili sì, che perla in bianca fronte non vien men tosto a le nostre pupille; tal vid’io più facce a parlar pronte; per ch’io dentro a l’error contrario corsi a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte. Subito sì com’io di lor m’accorsi, quelle stimando specchiate sembianti, per veder di cui fosser, li occhi torsi; e nulla vidi, e ritorsili avanti dritti nel lume de la dolce guida, che, sorridendo, ardea ne li occhi santi. 3 Secondo la versione di Pausania, meno nota rispetto a quella tramandata da Ovidio, Narciso non sarebbe innamorato della propria immagine speculare, bensì di una propria sorella gemella, Narcisa, a lui molto simile sia per carattere che per aspetto fisico ed abbigliamento. Alla morte della gemella, il giovane, distrutto dal dolore ed incapace di accettare la triste realtà, girovaga per i boschi nel disperato tentativo di ritrovare Narcisa e, giunto presso una fonte, specchiandovisi ha l’impressione di rivederla. 4 Questa versione del mito, a cui, agli inizi del Novecento, Pascoli si ispirò per la stesura del poemetto I gemelli (1904), venne anche ripresa, in ambito scapigliato, da un originale racconto di Luigi Gualdo, Narcisa (1868), la cui protagonista celebra la propria bellezza ricoprendo di OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l’Altrove ANNO XIV – NN. 73/74 MARZ.-APR./MAGG.-GIU. 2010 73
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