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Osservatorio letterario ANNO 14. – NN. 73/74 MARZ.-APR./MAGG ...

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simulacro in generale, ancora Bettini effettua<br />

un’importante distinzione fra i due concetti di “indice” e<br />

di “icona”: riprendendo Peirce, egli sostiene che,<br />

mentre l’icona (generalmente identificabile con il<br />

ritratto, sia esso dipinto o scolpito) è un segno che<br />

rinvia all’oggetto in virtù di una somiglianza con esso,<br />

l’indice è un segno che mostra di avere connessioni<br />

reali con l’oggetto, cioè di essere veramente parte di<br />

esso. Nel caso dei ritratti di cui mi sono occupata finora<br />

si può perciò affermare che «in questo tipo di immagini<br />

si tende esplicitamente a sovrapporre la natura di<br />

“indice” […] a quella di “icona”». 16<br />

Nel racconto di Guy De Maupassant La morta, viene<br />

posta in evidenza l’importanza che può essere assunta<br />

dallo specchio in quanto oggetto in grado di catturare e<br />

di mantenere imprigionate le vacue immagini di coloro<br />

che vi si riflettono, impedendo loro di svanire<br />

definitivamente. Dopo la morte dell’amata, il<br />

protagonista del racconto si ferma ad osservare lo<br />

specchio in cui ella era solita contemplarsi, nella<br />

speranza di trovarvi imprigionata l'immagine residua<br />

della donna:<br />

D’improvviso, mentre m’avviavo alla porta, passai<br />

davanti al grande specchio ch’ella aveva fatto collocare<br />

nell’ingresso per vedersi dalla testa ai piedi, ogni<br />

giorno, quando usciva, per vedere se tutto nel suo<br />

abbigliamento era in ordine, era giusto e bello, dagli<br />

stivaletti alla pettinatura.<br />

E mi fermai di colpo in faccia a quello specchio che<br />

l’aveva riflessa così di frequente, ah! Tante e tante<br />

volte che doveva averne conservato l’immagine.<br />

Ero lì in piedi, fremente, lo sguardo fisso sulla fragile<br />

lastra, su quel cristallo piano, profondo, ormai vacuo,<br />

ma che l’aveva contenuta intera, posseduta la par di<br />

me, posseduta quanto il mio sguardo appassionato. Mi<br />

sembrò di amare quello specchio <strong>–</strong> lo toccai <strong>–</strong> era<br />

freddo! 17<br />

Mentre, infatti, il ritratto costituisce un “pieno”, lo<br />

specchio è definibile come un “vuoto”, in quanto si<br />

tratta di una superficie in grado di catturare e<br />

trattenere in sé le immagini di ciò che vi si riflette.<br />

Questo particolare significato viene tra l’altro assunto<br />

dallo specchio anche nell’ambito della letteratura<br />

classica. In una famosa elegia de Il libro di Cinzia,<br />

Properzio racconta l’apparizione in sogno del fantasma<br />

della donna amata, adirata a causa della distruzione del<br />

proprio ritratto, fatto fondere dalla nuova amante del<br />

poeta; lo spirito di Cinzia chiede a Properzio di impedire<br />

che il suo specchio venga utilizzato dalla sostituta. È<br />

importante che lo specchio resti “vuoto” dell’effigie della<br />

nova domina, trovandosi ancora “imprigionata” in esso<br />

l’immagine di Cinzia. Antiche tradizioni popolari<br />

attribuiscono infatti agli specchi il magico potere di<br />

catturare e trattenere in sé i riflessi dei loro padroni.<br />

A differenza del ritratto dipinto o della statua,<br />

l’immagine riflessa dallo specchio si avvicina<br />

maggiormente all’originale soprattutto perché, come<br />

sostiene nuovamente Bettini, risulta sempre aequeva ad<br />

esso, mentre le immagini-simulacro (comprese le<br />

fotografie) hanno generalmente la funzione di fermare<br />

lo scorrere del tempo fissando un determinato<br />

momento. Comunque la distruzione dell’immagine di un<br />

defunto, questa costituisce una vera profanazione del<br />

ritratto, che equivale a una condanna all’oblio nei<br />

confronti di chi vi è raffigurato.<br />

Il ritratto assume la valenza di figura residua, oltre<br />

che in Uno spirito in un lampone e in Un corpo, anche<br />

nella novella di Camillo Boito Il demonio muto, il cui<br />

protagonista, il vecchio Carlo, narra le proprie insolite<br />

avventure, in forma epistolare, ad un nipote, al quale<br />

vorrebbe inizialmente lasciare in eredità uno dei ritratti<br />

dei propri antenati. Tutti i ritratti in questione<br />

rappresentano ciò che resta dei parenti defunti di Carlo<br />

e, con il loro aspetto inusuale ed inquietante, incutono<br />

spavento. In particolare, il ritratto del Beato Antonio,<br />

prozio di Carlo, risulta particolarmente perturbante, in<br />

quanto il suo sguardo sembra talora animarsi e<br />

guardare severamente Carlo, dando all’uomo<br />

l’inquietante sensazione di essere osservato. In questa<br />

novella l’effetto perturbante è generato, oltre che dalla<br />

presenza di una chitarra stregata (il “demonio muto”<br />

del titolo), anche dal ritorno dell’eguale, che si<br />

manifesta attraverso la forte somiglianza fisica fra Carlo<br />

ed il suo illustre antenato. Una donna empia (descritta<br />

dal protagonista come una strega), la quale, molti anni<br />

prima, aveva salvato da un rogo purificatore la chitarra<br />

maledetta, riconosce in Carlo un sosia perfetto del<br />

Beato Antonio, ossia una sua immagine speculare, un<br />

suo doppio, che, analogamente a lui, è destinato ad<br />

entrare in contatto sia con la donna abbietta che con lo<br />

strumento musicale stregato:<br />

[La strega] mi guardò nel volto con attenzione<br />

minutissima, e invasa da una crescente contentezza: -<br />

È lui <strong>–</strong> esclamò <strong>–</strong> lui stesso. Ecco il naso aquilino, il<br />

fronte alto, le labbra sottili, le folte sopracciglia, gli<br />

occhi neri. È lui, lui, proprio lui!<br />

Nel sottopormi a questo esame la vecchia decrepita<br />

s’accostava al mio viso, vicino vicino, giacché il<br />

crepuscolo cominciava a imbrunire. Sentivo l’acre<br />

respiro di quel cadavere ischeletrito. <strong>–</strong> Lo stesso<br />

sguardo <strong>–</strong> continuava <strong>–</strong> e la stessa voce! È lui, proprio<br />

lui-. E intanto si faceva il segno della croce, e mi<br />

baciava il lembo della cacciatora.<br />

- Avrei dato <strong>–</strong> ripigliò <strong>–</strong> tutta la poca vita che mi<br />

resta per trovare un discendente del Santo. Ora posso<br />

morire in pace. Restituirò al nipote ciò che ho rubato<br />

all’avo. 18<br />

Il ritratto si carica, nelle opere narrative scapigliate,<br />

anche del dualismo fra vita e morte, Bello e Brutto,<br />

divino e demoniaco. Si consideri, a questo riguardo, la<br />

novella di Arrigo Boito Iberia (1868), impregnata di<br />

misteriose valenze simbolico - esoteriche, i cui due<br />

protagonisti, i cugini Estebano ed Elisenda, contraggono<br />

un matrimonio a dir poco insolito, nell’atmosfera sinistra<br />

di un buio oratorio, all’interno di un altrettanto sinistro<br />

castello in cui si trova un antico dipinto raffigurante il<br />

matrimonio di due loro antenati. Sotto al quadro, ormai<br />

in rovina, i giovani innamorati sembrano rievocare,<br />

attraverso i loro gesti ed il loro stesso aspetto esteriore,<br />

il remoto evento riprodotto:<br />

Le figure del quadro sono quasi interamente sommerse<br />

in una caligine che arriva loro alla bocca, né più<br />

s’indovina quale fosse lo sposo, e quale fosse la sposa<br />

OSSERVATORIO LETTERARIO Ferrara e l’Altrove <strong>A<strong>NN</strong>O</strong> XIV <strong>–</strong> <strong>NN</strong>. <strong>73</strong>/<strong>74</strong> <strong>MARZ</strong>.-<strong>APR</strong>./<strong>MAGG</strong>.-GIU. 2010 77

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